Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.22750 del 12/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giusep – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14960-2014 proposto da:

I.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI MONSERRATO 34, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO DI FOGGIA, rappresentato e difeso dall’avvocato DELIO IORIO;

– ricorrente –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE ***** – AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 125/2013 della COMM. TRIB. REG. della CAMPANIA, depositata il 19/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

CONSIDERATO

che:

Dall’esposizione in fatto contenuta nella sentenza, nel ricorso e nel controricorso emerge che l’Agenzia delle Entrate aveva emesso nei confronti di I.F. avviso di accertamento con cui rettificava, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, per l’anno 2003, l’imposta dovuta ai fini irpef, iva e irap, oltre sanzioni.

Tale atto era impugnato dal contribuente, fra l’altro e per quanto qui ancora interessa, sotto il profilo della sua illegittimità in quanto era stato emesso prima della scadenza del termine dilatorio di 60 giorni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

La Ctp respingeva il ricorso.

In sede di gravame la Ctr accoglieva l’appello limitatamente all’Irap, ritenendo che non sussistesse il presupposto impositivo della autonoma organizzazione professionale, confermando per il resto la legittimità dell’accertamento.

Contro la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione il contribuente, che ripropone la questione della nullità dell’accertamento per mancato rispetto del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Si costituisce con controricorso l’Agenzia delle Entrate chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente, deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non essendo sufficiente, secondo la tesi prospettata, ad integrare i motivi di urgenza la circostanza che la pretesa fiscale altrimenti si sarebbe prescritta.

La L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale.

Ma il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (Cass., S.U., n. 18184 del 2013).

Ciò premesso, il quesito al quale questa Corte è chiamata a dare risposta nel presente ricorso attiene alla natura dei casi di particolare e motivata urgenza che, secondo la norma richiamata, giustificano l’adozione di atto impositivo prima della scadenza del termine di sessanta giorni – a decorrere dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di accesso o ispezione nei locali dell’impresa – entro il quale è concesso al contribuente comunicare osservazioni o richieste che gli Uffici impositori devono valutare.

La norma non indica quali sono i casi di particolare e motivata urgenza che giustificano la deroga all’osservanza del termine e, nella fattispecie, i giudici di appello hanno ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, notificato in data *****, a distanza di soli 4 giorni dal processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza, visto che la pretesa si sarebbe prescritta il *****.

Vero è che le ragioni che giustificano la deroga alla volontà del legislatore non possono essere integrate solo dall’imminente decorso dei termini utili all’accertamento in quanto, diversamente opinando, si verrebbe a giustificare un ritardo tutt’altro che occasionale ma fisiologico al modus operandi degli Uffici finanziari che spesso, senza alcun motivo eccezionale o imprevedibile, portano a compimento l’accertamento a ridosso dello spirare dei termini, svuotando così la norma della sua funzione di garanzia; ma nel caso non può trovare applicazione tale giurisprudenza in quanto, come, quantomeno implicitamente, ma in modo chiaro, il giudice di appello ha evidenziato, il processo verbale era stato redatto dalla G. di F. il *****, nell’ambito di indagini penali.

Assume poi valore decisivo il rilievo che, come risulta dallo stesso ricorso (e dal controricorso), l’avviso conteneva la motivazione dell’urgenza, là dove era precisato che “il presente atto, in deroga alla L. n. 212 del 2000, art. 12, Statuto del contribuente, viene notificato prima del termine dei 6o giorni, trattandosi di rilevante pretesa tributaria per la quale sono applicabili ex D.Lgs. n. 472 del 1997, le misure cautelari a tutela degli interessi erariali”.

Deve ritenersi che l’espresso richiamo alla sussistenza dei requisiti per l’applicabilità delle misure cautelari di cui al citato D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 22, (ipoteca e sequestro conservativo, che possono essere chieste dall’Ufficio per “fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito”) sia idoneo a sorreggere la motivazione della specifica ragione d’urgenza richiesta dalla norma, considerata anche l’elevata entità degli importi accertati (secondo la giurisprudenza di questa Corte, giustificano, ad esempio, l’emissione dell’avviso di accertamento ante tempus le gravi condotte penali tributarie, la partecipazione a frodi fiscali, lo stato di insolvenza, ecc.: cfr. Cass. n. 2587 del 2014, Cass. n. 9414 del 2014, e Cass. n. 14287 del 2014, Cass. n. 17211 del 2018, Cass. n. 15843 del 2020).

In conclusione, avendo la Ctr applicato la disciplina vigente correttamente, nonostante la non completezza della motivazione, la questione di diritto non avrebbe potuto essere risolta nel senso preteso dalla ricorrente e quindi può trovare applicazione l’art. 384 c.p.c., u.c..

Il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del grado, liquidate in Euro 17000, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo contributivo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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