Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.22753 del 12/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 22909/2014 proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliata in via dei Portoghesi n. 12 Roma;

– ricorrente –

contro

D.F.F. rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Della Valle elettivamente domiciliato in Roma piazza G Mazzini n. 8;

– controricorrente –

Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 2235/14/14 depositata i1 09.04.2014.

Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella camera di consiglio del 03/12/2020.

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dei Lazio n. 2235/14/14 depositata il 9/04/2014.

La vicenda trae origine dalla notifica, in data *****, dell’avviso di accertamento ***** emesso ai sensi del D.P.R. n., art. 41-bis, con cui l’Ufficio procedeva, nei confronti del contribuente D.F.F., commercialista, a recuperare maggior IRPEF per l’anno 2003.

Giove ricordare che il resistente era stato socio dello Studio di consulenza legale e tributaria (SCLET) dal 1997 sino al recesso in data *****, allorquando gli era stata erogata la somma di Euro 101.091,24.

Di tale somma egli dichiarava solo 41.655,00, avendone dedotto il costo fiscale della partecipazione ed i contributi versati alla cassa dei dottori commercialisti. L’Ufficio riteneva che la somma dovesse essere invece dichiarata per intero come reddito di natura professionale.

Il Contribuente opponeva l’avviso e la CTP di Roma rigettava il ricorso, mentre il Giudice d’appello ne accoglieva il gravame.

L’Ufficio ricorre deducendo due motivi.

Ha resistito il contribuente con controricorso.

CONSIDERATO

che:

Lo scostamento lamentato dall’Ufficio tra la somma ricevuta e quella dichiarata riguarda due voci: il costo fiscale di partecipazione ed i contributi versati alla cassa dei dottori commercialisti, L’Ufficio contesta tali voci negandone la deduzione dall’importo totale sul presupposto che l’intera somma ricevuta dal contribuente si riferisse esclusivamente ai servizi resi allo studio e quindi costituisse integralmente reddito di natura professionale.

A fondamento della pretesa impositiva, l’Ufficio inserisce nel corpo del ricorso stralcio dell’avviso d’accertamento, dal quale si evince che l’atto che aveva formalizzato la cessazione del rapporto era costituito dal verbale di assemblea degli ***** del ***** della SCLET. In esito a tale assemblea veniva stabilita l’erogazione della somma di Euro 101.091,27 a titolo di indennità di recesso.

L’avviso di accertamento, senz’altro aggiungere sul contenuto del citato verbale oltre che il titolo dell’erogazione, come indennità di recesso, afferma che gli emolumenti si riferissero “esclusivamente alla valorizzazione dei servizi professionali”. Senza precisare se quel verbale d’assemblea specificasse le componenti individuate, la cui somma aveva dato luogo all’importo indicato.

L’Ufficio ha cioè attribuito natura esclusivamente reddituale alla dazione, senza mettere a disposizione del collegio, sotto forma di allegato o incorporandolo nel ricorso, il documento assembleare relativo alla fase del recesso, verosimilmente indicante i termini delle posizioni emerse nella circostanza e il contenuto della interlocuzione che aveva infine portato alla quantificazione della somma concordata. Del resto, quella riunione concludeva una non breve collaborazione durata sette anni, ciò che induce almeno ad ipotizzare non si sia limitata ad enunciare l’erogazione dell’importo, ma anche ad indicare, non solo la circostanza che l’aveva determinata, cioè recesso, ma anche la natura e la causale unica o le causali plurime della somma stessa.

Per la rilevanza cognitiva e valutativa, che quel documento poteva assumere per la Corte, l’indisponibilità dello stesso è da ritenere una privazione significativa inferta dalla ricorrente.

In tal modo essa è incorsa in violazione del principio di autosufficienza, non adeguatamente assolto con l’inserimento in ricorso di un assai parziale stralcio dell’avviso di accertamento, nel quale il verbale assembleare del ***** è solo citato, restandone ignoto il contenuto.

Il ricorso dell’Ufficio è perciò inammissibile. Alla soccombenza segue la condanna alle spese.

Non ricorrono i presupposti per il versamento del c.d. doppio contributo ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per essere la soccombente Agenzia delle Entrate ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, quale amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00 oltre ad Euro 200,00 per esborsi, al 15% forfettario e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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