Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.22763 del 12/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2083/2014 R.G. proposto da:

Società LKTS s.p.a., in liquidazione (già Ktesios s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio Mariottino, in virtù di procura conferita in calce al ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio Signoriello, in Roma, Via Pinciana, n. 25;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 624/28/2014, depositata il 4 febbraio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 aprile 2021 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

RILEVATO

che:

1. Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della Ktesios s.p.a., società di intermediazione nel settore creditizio, iscritta all’elenco speciale di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 107, specializzata nella realizzazione di operazioni di prestito personale, rientranti nella categoria del credito al consumo, a fronte di cessione del quinto dello stipendio da parte di dipendenti pubblici e privati, per l’anno 2003, sulla base di processo verbale di constatazione. In particolare, si procedeva alla ripresa a tassazione della somma di Euro 234.102,39, in quanto somme indeducibili perché relative alla svalutazione di crediti che, però, erano coperti da garanzia assicurativa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71, comma 3, all’epoca vigente (ora 106 Tuir). Per tali crediti era obbligatoria la copertura assicurativa di cui al D.P.R. n. 180 del 1950, nei casi di morte del soggetto finanziato o di perdita del lavoro, a tutela quindi dell’intermediario finanziario. Inoltre, si evidenziava che la società contribuente, avendo già dedotto il premio pagato all’assicurazione, avrebbe beneficiato di una doppia deducibilità, ove le si fosse consentito di dedurre anche le svalutazioni sui crediti verso la clientela. Del resto, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71 (poi 106), faceva riferimento a crediti non coperti da garanzia assicurativa, per escluderne la deducibilità, non contemplando ipotesi di copertura “selettiva” dei rischi di gestione. Seppure, dunque, la garanzia assicurativa non copriva tutti i rischi di tali crediti, essendone esclusi i casi di insolvenza del datore di lavoro e di versamento da parte di questi di minore importi, riguardando l’assicurazione esclusivamente il caso di morte dell’assicurato e di perdita del lavoro, tuttavia la percentuale di svalutazione deducibile (0,60%) non potrebbe applicarsi sull’ammontare complessivo dei crediti commerciali, ma dovrebbe applicarsi sulla quota parte di essi corrispondente alla parte di rischio non garantito dal contratto assicurativo, e per questo difficilmente stimabile e foriera di valutazioni soggettive discrezionali. Nell’avviso di accertamento, si recuperava a tassazione, quale accantonamento non ammesso in deduzione, la somma di Euro 186.058,03, ottenuto dalla differenza tra l’accantonamento portato in deduzione per Euro 234.302,39 e l’accantonamento deducibile nell’esercizio per ad Euro 48.544,36.

2. La Commissione tributaria di primo grado accoglieva il ricorso della società evidenziando che solo la totale assenza del rischio di insolvenza impediva la rilevanza dei crediti ai fini dell’accantonamento al fondo svalutazione. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 106, consentiva, dunque, la deduzione delle svalutazioni effettuate a fronte anche di rischi alle ragioni di credito solo “parziali”, determinando poi il quantum dell’accantonamento deducibile misura forfettaria (0,60%). I crediti della Ktesios erano, però, caratterizzati solo da una parziale assenza di rischi di insolvenza, in quanto il D.P.R. n. 180 del 1950, art. 54, prevedeva l’obbligatoria assicurazione dei crediti derivanti da finanziamenti erogati a fronte della cessione del quinto dello stipendio, limitatamente a due soli rischi, ossia la morte o la perdita dell’impiego del soggetto destinatario di finanziamento. Tutte le convenzioni stipulate dalla contribuente garantivano soltanto dal rischio morte o da quello della perdita definitiva dell’impiego, restando la società esposta a tutti gli altri rischi e, in particolare, a quelli connessi all’insolvenza del datore di lavoro che doveva versare le rate di rimborso, previa trattenuta sullo stipendio del dipendente debitore. Inoltre, la Ktesios era esposta ai rischi connessi alla riduzione dello stipendio e la documentazione prodotta dimostrava l’esistenza di ipotesi di morosità del datore di lavoro. Essendo, quindi, la garanzia assicurativa soltanto parziale non poteva escludersi l’accantonamento deducibile dei crediti assicurati. Tra l’altro, la ratio dell’esclusione della deducibilità era quella di evitare un “doppia deduzione”: ossia quella del premio assicurativo e quella per l’accantonamento del fondo svalutazione. Ma, nella specie, la società non aveva mai dedotto i premi assicurativi.

3. La Commissione tributaria regionale accoglieva, invece l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate rilevando che l’esistenza della copertura assicurativa, in base alla legge, dei crediti della società contribuente escludeva la possibilità della svalutazione degli stessi, che operava solo in caso di totale assenza di copertura di garanzia assicurativa, non essendo invece prevista la svalutazione in caso di “copertura selettiva”.

4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente, depositando anche memoria 5. L’Agenzia delle entrate si è “costituita” al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO

che:

1. Con un unico motivo di impugnazione la società deduce la “violazione ed errata applicazione delle norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” in quanto il giudice d’appello ha emesso una pronuncia del tutto contraria alle norme imperative che disciplinano la fattispecie, e segnatamente al D.P.R. n. 917 del 1986 (ora 106), art. 71. In particolare, secondo la ricorrente il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71, esclude la deducibilità della svalutazione dei crediti risultanti in bilancio soltanto nel caso in cui il relativo importo sia “integralmente” coperto da garanzia. Ciò significa che l’esclusione dal monte dei crediti svalutati concerne soltanto le posizioni creditorie che non presentano alcun rischio di insolvenza. Soltanto la totale assenza dal rischio di insolvenza impedisce la rilevanza dei crediti ai fini dell’accantonamento al fondo di svalutazione. Inoltre, affinché un credito non rilevi ai fini del monte crediti previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71, è necessaria, accanto alla totale assenza di rischi insolvenza, anche la deduzione del premio assicurativo, quale onere alternativo rispetto all’accantonamento. In realtà, però, il D.P.R. n. 180 del 1950, art. 54, prevede che i crediti derivanti da finanziamenti erogati a fronte della cessione del quinto dello stipendio sono garantiti limitatamente a soli due rischi: quelli derivanti dalla morte; quelli connessi alla perdita dell’impiego del soggetto destinatario del finanziamento. Nelle convenzioni stipulate dalla società con le compagnie di assicurazione si esclude la copertura nei casi di morosità, costituiti dal mancato o ritardato versamento delle quote, oltre che per la perdita temporanea o riduzione temporanea del diritto allo stipendio. Pertanto, con esclusione dei soli rischi di morte e di perdita definitiva dell’impiego, la società contribuente resta integralmente esposta a tutti gli altri rischi; lo schema tipico del contratto di finanziamento, a fronte della cessione del quinto dello stipendio, prevede che il datore di lavoro del soggetto finanziato corrisponda direttamente le rate di rimborso alla società, trattenendo il corrispondente importo dello stipendio. Pertanto, la società contribuente resta totalmente esposta ai rischi connessi all’insolvenza del datore di lavoro. Del resto, gli stessi verificatori hanno ammesso che la garanzia non opera in “alcune particolari circostanze”. I rischi possono derivare anche da pratiche di finanziamento che non si sono perfezionate, nonostante Ktesios abbia erogato degli anticipi ai dipendenti finanziati. Tali anticipi, infatti, non trovano copertura assicurativa, perché questa ha effetto solo a decorrere dalla data in cui è eventualmente erogato il saldo del finanziamento. Inoltre, non vi è nella specie una doppia deduzione, in quanto il pagamento degli oneri assicurativi rappresenta per la contribuente esclusivamente una movimentazione finanziaria, che non comporta alcun effetto sul conto economico. Infatti, Ktesios non imputa al proprio conto economico il “premio assicurativo”, rappresentando lo stesso una mera “anticipazione finanziaria”, per conto del soggetto finanziato a fronte della cessione del quinto dello stipendio. L’onere assicurativo, dunque, costituito dal premio è posto contrattualmente a carico di Ktesios, ma, in realtà, incide sul cedente (cliente), in quanto tale onere concorre alla determinazione del tasso annuo effettivo globale (“TAEG”). Il soggetto assicurato è il cedente, che, di conseguenza, è gravato dei costi e destinatario dei benefici originati dal contratto di assicurazione.

1.1. Il motivo è fondato.

1.2. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71, comma 3, all’epoca vigente, dalla 10 dicembre 2000 al 31 dicembre 2003, prevede che “per gli enti creditizi e finanziari di cui al D.Lgs. n. 27 gennaio 1992, n. 87, le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l’importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela, compresi i crediti finanziari concessi a Stati, banche centrali o enti di Stato esteri destinati al finanziamento delle esportazioni italiane o delle attività ad esse collegate, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,60% del valore dei crediti risultanti in bilancio, aumentato dell’ammontare delle svalutazione dell’esercizio. L’ammontare complessivo delle svalutazioni che supera lo 0,60% è deducibile in quote costanti nei nove esercizi successivi”.

1.3. Pertanto, deve accertarsi se tale norma, nella parte in cui esclude la deducibilità delle svalutazioni dei crediti, nel caso in cui l’importo non sia “coperta da garanzia assicurativa”, faccia riferimento soltanto ad una garanzia che copre tutti i rischi del credito (“garanzia integrale”), oppure anche ad una forma di garanzia assicurativa che copre solo alcuni dei rischi del credito (“garanzia selettiva”), ma non tutti i rischi.

Secondo l’Agenzia delle entrate, infatti, per escludere la deducibilità della svalutazione dei crediti è sufficiente che gli stessi siano oggetto di apposita garanzia, anche se la stessa non copre tutti i rischi di realizzazione del credito. La norma non consentirebbe interpretazioni diverse dal dato letterale.

Per la contribuente, invece, per escludere la deducibilità della svalutazione dei crediti è necessario che gli stessi siano oggetto di idonea garanzia, che copra tutti i rischi di realizzazione del credito, senza lasciarne fuori taluni.

1.4. La fattispecie in esame e’, dunque, quella del finanziamento erogato da una società finanziaria in favore di dipendenti pubblici o privati, a fronte della cessione del quinto dello stipendio da parte dei dipendenti, con pagamento effettuato dal datore di lavoro previa trattenuta dallo stipendio. La società finanziaria agisce quale società procuratrice della banca, svolgendo le attività di raccolta delle operazioni, l’istruttoria ed anticipando i finanziamenti, oltre alla gestione degli incassi e delle quote di rientro e la gestione dei rapporti con l’assicurazione. La Ktesios, dunque, anticipa l’importo netto del finanziamento direttamente al cliente, salvo poi chiedere alla banca il rimborso di un ammontare superiore a quello erogato, comprendente un margine di utile, a titolo di provvigione. L’ente erogatore e’, invece, la banca che rimborsa alla Ktesios il finanziamento erogato oltre una somma maggiore a titolo di provvigione. L’impresa di assicurazione, poi, garantisce l’operazione dai rischi di morte del dipendente e di perdita dell’impiego. La garanzia è costituita da una polizza assicurativa obbligatoria stipulata con una assicurazione, il cui beneficiario, per il residuo credito, è il contraente della polizza.

1.5. Va, anzitutto, chiarito che la polizza assicurativa, nella specie, copre soltanto una parte dei rischi di realizzazione del credito. Infatti, il D.P.R. n. 180 del 1950, art. 54, stabilisce che “le cessioni di quote di stipendio o di salario consentite a norma del presente titolo devono avere la garanzia dell’assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego od altre malleverie che ne assicurino il ricupero nei casi in cui per cessazione o riduzione di stipendio o salario o per la liquidazione di un trattamento di quiescenza insufficiente non sia possibile la continuazione dell’ammortamento o il ricupero del residuo credito”.

1.6. Per questa Corte, peraltro, in tema di determinazione del reddito di impresa, non è deducibile la svalutazione dei crediti il cui inadempimento sia garantito anche con modalità diverse dalla stipula di un contratto di assicurazione, dovendosi intendere l’espressione credito coperto da “garanzia assicurativa”, utilizzata dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 71 (ora 106), non in senso restrittivo, nel suo significato tecnico giuridico, bensì in senso lato, quale credito rispetto al cui inadempimento il contribuente è comunque garantito con esclusione del relativo rischio – così statuendo, la S.C. ha riformato la sentenza impugnata che aveva ritenuto deducibile la svalutazione del credito agrario erogato dalla contribuente, ritenendolo non garantito, negando l’equiparabilità ad una copertura assicurativa della fideiussione prestata dalla sezione speciale del Fondo Interbancario, prevista dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 45 ormai abrogato, comma 4 (Cass., sez. 5, 30 aprile 2014, n. 9433; anche Cass., 22 agosto 2002, n. 12379; Cass., n. 24422/08; Cass., n. 23734/2013).

1.7. Si e’, quindi, precisato che in base alla dizione della legge la deduzione si applica ai crediti “per l’importo non coperto da garanzia assicurativa”, sicché, a contrario, sono esclusi dalla deduzione i crediti che siano coperti da garanzia assicurativa, quelli cioè assicurati contro il rischio di insolvenza, e, nel caso di “assicurazione parziale”, nei limiti dell’importo effettivamente assicurato (Cass., sez. 5, 22 agosto 2002, n. 12379).

1.8. Inoltre, per questa Corte, in tema di imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, gli accantonamenti iscritti nel fondo di copertura di rischi su crediti sono deducibili, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 71, anche nell’ipotesi in cui il credito sia stato oggetto di cessione “pro solvendo”, come accade nello sconto bancario di titoli rappresentativi di crediti: se è vero, infatti, che in tal caso il cedente non è più titolare del credito, è altrettanto vero, però, che il trasferimento dello stesso in favore del cessionario è risolutivamente condizionato all’inadempimento del debitore ceduto, il quale comporta la retrocessione del credito, e, nello sconto bancario, autorizza la banca a riaddebitare il capitale e le spese al creditore che ha portato i titoli allo sconto; nessun rilievo, in proposito, assume il carattere solo eventuale della retrocessione, bastando il relativo rischio a dar rilevanza al momento economico dell’operazione, in ossequio alla “ratio” dell’art. 71 cit., che esclude la deducibilità per i soli crediti coperti da garanzia assicurativa, in quanto assicurati contro il rischio dell’insolvenza, e non anche per quelli per i quali tale rischio rimane a carico esclusivo del cedente (Cass., 23 ottobre 2006, n. 22785). Infatti, l’istituto dello sconto bancario di titoli rappresentativi di crediti serve a rendere liquido immediatamente (detratta la percentuale di sconto in favore della banca) l’importo dei crediti sottoposti a termine, ma, in caso di successiva insolvenza del debitore ceduto, la banca cessionaria “riaddebita” l’importo del capitale e delle spese al creditore che aveva portato i titoli allo sconto. La sussistenza del rischio di insolvenza da parte del debitore ceduto integra la ratio del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71.

1.9. Si è anche ritenuto che, in tema di imposte dirette e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, è deducibile, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, art. 106, (già art. 71), la svalutazione del credito derivante da un preliminare di vendita immobiliare, in cui sia prevista una “caparra confirmatoria”, in quanto, da un lato, anche un negozio solo obbligatorio può essere fonte di ricavi e, dall’altro lato, la caparra confirmatoria ha esclusivamente la funzione di determinare preventivamente il danno e non comporta la copertura del credito con “garanzia assicurativa” e la conseguente esclusione del relativo rischio d’insolvenza (Cass., sez. 5, 19 settembre 2014, n. 19762). La copertura da “garanzia assicurativa”, individuata dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71, comma 3, non va intesa in senso restrittivo, nel suo specifico significato tecnico giuridico (il cui rischio è coperto in virtù della stipula di un contratto di assicurazione con pagamento di un premio), ma in senso lato, quale credito rispetto al cui inadempimento il contribuente e’, comunque, garantito con esclusione dal relativo rischio (Cass., sez. 5, 18 settembre 2015, n. 18395).

1.10. Nella specie, invece, la cessione del quinto dello stipendio deve essere garantita (assicurazione obbligatoria), per legge, ai sensi del D.P.R. n. 180 del 1950, art. 54, per l’ipotesi del decesso del lavoratore o per la perdita dell’impiego, mentre restano “scoperti” altri rischi di “insolvenza”, come accade nelle ipotesi di dichiarazione di fallimento del datore di lavoro oppure nei casi in cui quest’ultimo non versi al finanziatore le somme che ha trattenuto dallo stipendio del lavoratore.

Va premesso che il D.P.R. n. 917 del 1906, art. 71 (poi D.P.R. n. 917 del 1986, art. 106, comma 3) ha come finalità quella di consentire la deduzione di poste meramente “prudenziali”, in modo da temperare il criterio generale di determinazione del reddito di impresa, in base al quale va attribuita rilevanza alle poste reddituali solo se ne accerta l’esistenza o è determinabile in modo obiettivo il loro ammontare. Per la dottrina, quindi, sono stati previsti meccanismi che consentono la detrazione di costi ed oneri futuri, se di competenza dell’esercizio, adeguando il reddito fiscale a quello economico. Si attribuisce in tal modo rilievo ai fini fiscali alla maturazione di oneri incerti il cui rischio deve essere ripartito in più esercizi. Gli accantonamenti deducibili ovviamente sono tassativi e le esigenze di certezza del diritto tributario fanno riconoscere la deducibilità delle somme solo entro rigorosi parametri quantitativi, ispirati ad una logica forfettaria. Si vuole, così, avvicinare il reddito fiscale a quello contabile, per adeguarlo al reddito calcolato tenendo conto del principio di competenza economica. Per contenere i margini di incertezza nella determinazione del reddito imponibile, poi, sono stati previsti limiti predeterminati agli accantonamenti deducibili. Per tale ragione le svalutazioni dei crediti sono deducibili, in ciascun esercizio, nel limite dello 0,50% del valore nominale o di acquisizione dei crediti e comunque entro il limite del 5% del valore risultante in bilancio alla fine dell’esercizio.

La ratio del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71, comma 3 (poi D.P.R. n. 917 del 1986, art. 106) è quella di impedire che i crediti “coperti integralmente” da assicurazione possano concorrere al complessivo ammontare dei crediti da considerare ai fini della determinazione dell’accantonamento deducibile. Infatti, in caso di assicurazione che copra integralmente il rischio di insolvenza i relativi crediti non possono essere inclusi nel montante delle svalutazioni su crediti deducibili, appostati nel fondo di accantonamento. Soltanto, dunque la completa assenza del rischio di insolvenza impedisce che i crediti siano inseriti nel montante delle svalutazioni creditorie deducibili. I crediti assicurati, e nei limiti dell’importo assicurato, per quelli assicurati solo parzialmente, non sono deducibili in quanto non sussiste per l’impresa un concreto rischio di mancato realizzo e, dunque, non avrebbe giustificazione il riconoscimento fiscale della eventuale svalutazione imputata in bilancio. Sono, dunque, esclusi dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71 (ora art. 106) i crediti assistiti da qualsiasi forma di garanzia, per l’ammontare in relazione al quale non sussistono rischi di inesigibilità o di mancata riscossione. Peraltro, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71, comma 3, consente la deducibilità anche delle svalutazioni effettuate a fronte di rischi solo “parziali” alla realizzazione del credito, determinando poi la consistenza dell’accantonamento deducibile in forma forfettaria, nella misura dello 0,60%.

Nella specie, risulta pacificamente che le convenzioni stipulate dalla società contribuente a garanzia del rischio derivante dal finanziamento in favore dei lavoratori, a fronte della cessione del quinto dello stipendio da parte degli stessi, sono limitate a garantire soltanto il rischio da decesso del lavoratore o la perdita dell’impiego del lavoratore destinatario del finanziamento. La contribuente, allora, rimane esposta a tutti gli altri rischi e, soprattutto, al rischio di insolvenza del datore di lavoro che deve versare le rate di rimborso, previa trattenuta sullo stipendio del dipendente. Inoltre, un altro rischio è quello connesso alla riduzione dello stipendio, anch’esso non considerato nelle convenzioni. Se, dunque, il datore di lavoro, pur effettuando la trattenuta sullo stipendio del lavoratore, non versa poi le relative somme alla società contribuente che ha effettuato il finanziamento, quest’ultima non riceve alcuna copertura assicurativa per il credito che rimarrà insoddisfatto. Se, allora, la garanzia è soltanto parziale con riferimento a tale tipologia di crediti, gli stessi non possono essere esclusi dall’accantonamento deducibile dei crediti assicurati.

1.11. Nella circolare n. 471 del 20 novembre 2008 dell’Unione Finanziarie Italiane (UFI), avente ad oggetto la “svalutazione dei crediti derivanti dalle operazioni di cessione del quinto”, si prevede che le disposizioni di cui al D.P.R. n. 180 del 1950, art. 54, sono finalizzate “sì alla tutela del soggetto cessionario ma fondamentalmente coprono quello del creditore e dei suoi familiari. E’ evidente, infatti, che, in assenza di copertura assicurativa, il dipendente licenziato e i suoi familiari si troverebbero nelle condizioni di dovere far fronte al debito senza, però, poter più contare sugli emolumenti oggetto del “gravamento” della trattenuta, effettuata in forza della concessione del finanziamento mediante cessione del quinto di quote stipendiati. Le polizze assicurative stipulate dalle società finanziarie non coprono “sempre e totalmente” il rischio assicurato e non riportano mai a priori l’entità del credito che la compagnia di assicurazione si obbliga a rimborsare alla società contraente, proprio perché la garanzia assicurativa va a coprire soltanto una quota parziale, non quantificabile in via preventiva poiché, per l’appunto, connessa al verificarsi di specifici eventi e a qualsiasi stato di insolvenza del debitore.

1.12. Inoltre, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 106, comma 3 (in vigore dal 1 gennaio 2004 al 3 ottobre 2005), richiamava integralmente il contenuto dello stesso D.P.R., vecchio art. 71, comma 3, prevedendo che “per gli enti creditizi e finanziari di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l’importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela,… sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,60% del valore dei crediti risultati in bilancio, aumentato dell’ammontare delle svalutazioni dell’esercizio.

Successivamente, per il periodo dal 4 ottobre 2005 al 21 agosto 2008, la norma ha diminuito la percentuale di deducibilità portandola allo 0,40%.

Con ulteriore modifica legislativa, dal 22 agosto 2008 al 4 agosto 2009, la percentuale di deducibilità è stata ridotta allo 0,30%.

Quindi, dal 5 agosto 2009 al 31 dicembre 2013, con il D.L. 1 luglio 2009, n. 78, è stato aggiunto all’art. 106, il comma 3-bis, con riferimento ai “nuovi crediti di cui al comma 3 erogati a decorrere dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2009, limitatamente all’ammontare che eccede la media dei crediti erogati nei due periodi di imposta precedenti, diversi da quelli assistiti da garanzia o da misure agevolative in qualsiasi forma concesse dallo Stato, da enti pubblici ed altri enti controllati direttamente o indirettamente dallo Stato”. In tal caso le percentuali di deducibilità sono state elevate allo 0,50%.

L’ultima modifica è intervenuta dal 1 gennaio 2014 al 26 giugno 2015 (art. 1, comma 160, lett. c) della legge di stabilità 2014), con l’eliminazione del limite di deducibilità indicato nell’importo “non coperta da garanzia assicurativa”. Si prevede, quindi, all’art. 106, comma 3, che “per gli enti creditizi e finanziari di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, le svalutazioni e le perdite su crediti verso la clientela iscritti in bilancio a tale titolo, diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso, sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono contabilizzate e nei quattro successivi”.

Pertanto, con la riforma del 2014 si è provveduto a: eliminare il divieto di deducibilità relativamente all’importo dei crediti “coperto da garanzia assicurativa”; abolire il “plafond annuale” di deducibilità dello 0,30 (o 0,50) percento, con conseguente venir meno della necessità di calcolo del “Monte crediti” annuale e relativa eliminazione; eliminare il regime di deduzione agevolata per nuovi crediti di cui al comma 3-bis; prevedere un regime di deduzione automatica e frazionata in cinque periodi di imposta delle svalutazioni. 1.13. Va poi, evidenziata un’altra peculiarità del rapporto che si instaura tra la società finanziatrice, l’assicurazione, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ed il datore di lavoro.

In linea generale, si ritiene che nel caso in cui un credito di una società sia garantito da un’assicurazione, previo pagamento del relativo premio di assicurazione, non si possa dedurre sia l’accantonamento del credito svalutato, sia il premio assicurativo pagato.

In particolare, con la risoluzione del 19 aprile 1979, n. 217, del Ministero delle Finanze, si è precisato che la deducibilità dei premi relativi a polizze per la copertura delle perdite su crediti esclude la possibilità di considerare come componente negativo del reddito di impresa anche la quota degli accantonamenti per rischi su crediti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, art. 66. Si è evidenziato che gli accantonamenti inscritti in apposito fondo del passivo a correzione dei crediti risultanti dall’attivo del bilancio costituiscono, per l’impresa, una mera facoltà che, se esercitata, consente la deduzione della parte degli accantonamenti stessi imputabili all’esercizio di competenza. Trattasi, dunque, di condotta “facoltativa” della contribuente, sicché l’eventuale copertura dei rischi per perdite su crediti tramite contratti di assicurazione deve considerarsi come una implicita rinuncia all’esercizio di tale facoltà, relativamente all’importo dei crediti compresi nella garanzia contrattuale. E’ questa la ragione per cui per formare l’ammontare complessivo dei crediti, su cui va commisurata la percentuale deducibile in ogni periodo di imposta, non concorre l’importo dei crediti convenzionalmente garantito dalla polizza. Infatti, si è precisato che “la duplice deducibilità… si risolverebbe in una deduzione della quota accantonata che, per la parte di essa commisurata ai crediti coperti da polizza, non troverebbe fondamento nell’effettiva sussistenza del rischio. In relazione a quanto sopra osservato, non sembra dubbio che i premi citati in premessa possano essere considerati come componenti negativi del reddito di esercizio della società che li paga e che l’ammontare dei crediti cui si riferiscono gli stessi premi debba essere escluso dalla base deducibile a norma dell’anzidetto art. 66, a nulla rilevando le particolari caratteristiche della polizza”.

Si vuole in tal modo evitare che alla medesima somma sia applicata la deduzione relativa al premio ed alla svalutazione.

Le medesime considerazioni sono state poi riprese nella successiva risoluzione del Ministero delle Finanze del 30 dicembre 1993 n. 701, ove si è precisato che vi è un particolare trattamento dei crediti garantiti, se la garanzia ha originato un costo, come premio assicurativo, che è fiscalmente deducibile. In tal caso, tali crediti devono essere esclusi ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71, “in quanto la deduzione di detti costi si pone in alternativa all’inclusione dei crediti garantiti nella base di commisurazione dell’accantonamento di cui trattasi”.

Deve, dunque, tenersi conto del divieto di “doppia deduzione”, nel senso che non può operarsi sia la deduzione da parte della società delle somme versate come premio all’assicurazione, sia dei crediti indicati in bilancio come svalutati e quindi facenti parte del fondo accantonamenti.

Nella fattispecie in esame, invece, la società contribuente non ha mai dedotto i costi relativi al versamento del premio in favore dell’assicurazione, per la garanzia dei crediti derivanti dalla concessione di finanziamenti a fronte di cessione del quinto dello stipendio da parte dei lavoratori. Ciò, per la semplice considerazione che solo formalmente il premio assicurativo viene a gravare sulla società contribuente, che, in realtà, fornisce solo una mera “anticipazione finanziaria” per il pagamento del premio, che ricade in realtà proprio sul lavoratore. Infatti, la somma che il lavoratore dipendente deve restituire alla società finanziatrice include al proprio interno anche il costo del premio assicurativo. Non si verifica, in alcun modo, quindi, il fenomeno della doppia deduzione, sia del costo del premio, sia dei crediti inseriti nel fondo accantonamento perché svalutati.

1.14. Il bilancio della società, poi, è stato ritenuto conforme alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione dalla società di revisione KPMG in data 28-42004 (Cass., sez. 5, 26 febbraio 2010, n. 4737).

2. La Commissione regionale, quindi, è incorsa in errore, laddove ha ritenuto che “l’esistenza della copertura assicurativa ex lege dei crediti della società esclude la possibilità della svalutazione degli stessi che vale solo in caso di totale assenza di copertura di garanzia assicurativa non essendo prevista la svalutazione in caso di copertura selettiva”.

In realtà, come detto, la copertura assicurativa ex lege, che trae origine dal D.P.R. n. 180 del 1950, art. 54, non fornisce una copertura globale dei rischi di realizzo del credito in favore della società contribuente finanziatrice, rimanendo scoperti i rischi derivanti dal mancato pagamento delle somme da parte del datore di lavoro, che pure le ha trattenute direttamente sullo stipendio del dipendente, oltre che dall’insolvenza stessa del datore di lavoro e dalla diminuzione dell’importo dello stipendio.

Per tale ragione, si ritiene che sia possibile per gli enti finanziari la deducibilità delle svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, nel caso in cui l’importo non sia integralmente coperto dalla garanzia assicurativa, ma resti scoperto il rischio di insolvenza del datore di lavoro, come pure quello della diminuzione dell’importo dello stipendio. E’ vero che l’insolvenza del datore di lavoro non è ipotizzabile in caso di pubblico dipendente, ma tale rischio di insolvenza sussiste con riferimento ai datori di lavoro privati.

3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71, comma 3, all’epoca vigente (ora art. 106 TUIR, comma 3), laddove prevede che per gli enti creditizi e finanziari di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l’importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle operazioni di regolazione del credito alla clientela, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,60% del valore dei crediti risultati in bilancio, aumentato dell’ammontare delle svalutazioni dell’esercizio, consente la deducibilità dei crediti svalutati, nel caso in cui l’importo non sia integralmente coperto dalla garanzia assicurativa, come avviene nel caso di garanzia ex lege di cui al D.P.R. n. 180 del 1950, art. 54, che limita la garanzia soltanto all’assicurazione sulla vita ed al rischio di perdita dell’impiego, restandone esclusa l’ipotesi dell’insolvenza del datore di lavoro, come pure quelle di perdita temporanea o riduzione temporanea dello stipendio”. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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