LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11167-2019 proposto da:
***** SRL, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BERTOLONI 44, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DE VERGOTTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO MANFREDI;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** SRL, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CARDENA’ CLAUDIA;
– controricorrente –
contro
C.S.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2027/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 02/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DI MARZIO MAURO.
RILEVATO
che:
1. – ***** Srl ricorre per due mezzi, nei confronti di C.S. e del Fallimento ***** Srl avverso sentenza del 2 ottobre 2018 della Corte d’appello di Ancona di rigetto del reclamo avverso la dichiarazione di fallimento.
2. – Il Fallimento resiste con controricorso.
Non spiega difese il C..
CONSIDERATO
che:
3. – Il primo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. fallimentare, art. 15, comma 3, omesso esame di un punto controverso e decisivo oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla mancata prova della notifica all’indirizzo pec della società fallita risultante dalla visura CCIAA e conosciuta dal Tribunale di Ancona.
Il secondo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. fallimentare, art. 15, per quanto concerne la soglia di fallibilità, nullità della sentenza e/o del procedimento in relazione alla L. fallimentare, art. 6.
Ritenuto che:
4. – 11 ricorso è inammissibile.
4.1. – Il primo mezzo è inammissibile.
La società ricorrente sostiene che non risulterebbe ritualmente effettuato il tentativo di notificazione presso l’indirizzo pec della medesima, *****: ed indirizza la propria censura avverso la parte di sentenza (trascritta a pagina 5 del ricorso) con la quale la Corte d’appello ha affermato essere, “in ogni caso”, “del tutto condivisibili le ragioni spese dalla Curatela e dalla reclamato C. nelle rispettive memorie di costituzione a suffragio della certa ritualità delle notifiche”.
Ma la Corte territoriale ha fatto precedere tale affermazione da quella, invece non trascritta e comunque ignorata in ricorso, secondo cui: “Poiché la Corte ha operato una complessiva rivalutazione di tutti i presupposti legittimanti la dichiarazione di fallimento, ritenendo sussistenti i primi e legittima la seconda, è evidente l’assorbimento di ogni questione relativa all’instaurazione del contraddittorio processuale in fase prefallimentare. In ogni caso…”.
E cioè, il rigetto del motivo di reclamo concernente la ritualità della notificazione del ricorso per dichiarazione di fallimento è sostenuto da una duplice ratio decidendi:
-) per un verso viene affermato che l’accertamento in ordine ai presupposti per la dichiarazione di fallimento avrebbe rilievo assorbente rispetto al profilo della ritualità di detta notificazione;
-) per altro verso viene sostenuto che, “in ogni caso”, e cioè ad abundantiam, la notificazione del ricorso per dichiarazione di fallimento era valida, secondo quanto affermato dal giudice di primo grado.
Ora, la prima delle due rationes non è attinta dalla censura: e, in altri termini, ***** Srl non spiega perché sarebbe errato il ragionamento della Corte territoriale secondo cui l’accertamento concernente la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento assorbirebbe, e cioè priverebbe di rilievo decisionale, la questione dell’instaurazione del contraddittorio in fase pre fallimentare. E non ha bisogno di essere rammentato che una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, onera il ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione (tra le tantissime di recente Cass. 14 agosto 2020, n. 17182).
4.2. – Il secondo mezzo è inammissibile.
Sostiene in breve la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe ritenuto la legittimazione del creditore istante pur in presenza di un credito contestato, errando altresì nel giudicare varcata la soglia di fallibilità, con particolare riguardo all’ammontare dei debiti accertati nei confronti della società.
Quanto al primo aspetto il motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1.
Come già ricordato dalla Corte d’appello, in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, la L. fallimentare, art. 6, laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521; Cass. 28 novembre 2018, n. 30827, tra le tante). La dichiarazione di fallimento presuppone cioè un’autonoma delibazione incidentale, da parte del tribunale fallimentare, compatibilmente con il carattere sommario del rito, circa la sussistenza del credito dedotto a sostegno dell’istanza, quale necessario postulato della verifica della legittimazione del creditore a chiedere il fallimento. In tale ambito il giudice deve valutare non solo le allegazioni e le produzioni della parte istante ma anche i fatti rappresentati dal debitore che valgano a dimostrare l’insussistenza dell’obbligazione addotta o la sua intervenuta estinzione. (Cass. 27 ottobre 2020, n. 23494).
Orbene tale valutazione incidentale è stata compiuta dalla Corte d’appello, la quale ha osservato trattarsi di “un credito del C. (sub iudice) derivante da un chiaro inadempimento della ***** S.r.l. al contratto preliminare intercorso tra le parti stesse con l’obbligo dell’appellante di pagamento del doppio della caparra versata (Euro 20.000,00). Del tutto priva di supporto probatorio appare la riconvenzionale proposta dalla ***** Srl nel menzionato procedimento in cui è convenuta per la restituzione del doppio della caparra. E comunque, poiché il credito del C. risulterebbe comunque maggiore di quello azionato in riconvenzione dalla reclamante, deve in ogni caso ritenersi sussistente la piena legittimazione alla proposizione dell’istanza di fallimento da parte del reclamato C.”.
La società ricorrente replica il ricorso affermando che il C. si sarebbe “visto rigettare dal Giudice, tutte le istanze a riconoscimento del credito”, ma non è dato comprendere in che cosa (letto rigetto si sarebbe sostanziato, indipendentemente dal rilievo che gli atti del giudizio di merito tra il C. e la società, cui quest’ultima allude, non sono neppure localizzati, sicché la censura è senz’altro inammissibile per difetto di autosufficienza, sia dal versante contenutistico, sia da quello della indicazione specifica della documentazione posta a sostegno della censura medesima, ex art. 366 c.p.c., n. 6.
Per il resto la censura è inammissibile poiché è totalmente versata in merito, in quanto diretta a ribaltare la motivata valutazione adottata dalla Corte territoriale nel ritenere la sussistenza dei requisiti di fallibilità. In particolare il motivo (pagina 20) richiama i bilanci, ma non ne indica specificamente il contenuto e neppure li localizza; si riferisce al ripianamento di una perdita, ma anche a tal riguardo non è autosufficiente (pagina 20-21 del ricorso); scivola in pieno merito laddove osserva che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente valorizzato il dato secondo cui la vendita dell’immobile ad una terza società era avvenuta in un contesto ampiamente vantaggioso per essa ricorrente; si riferisce, incomprensibilmente, ed è cioè anche in questo caso in mancanza del requisito dell’autosufficienza, al fatto che la sentenza impugnata non avrebbe considerato le argomentazioni difensive del reclamante in ordine ad una cessione di credito ed al trasferimento di non meglio identificati immobili ad una non meglio identificata Fava (pagina 22); si sofferma sul fatto che la società fosse titolare anche di un altro immobile (pagina 23), senza che riesca a comprendersi il senso di una simile osservazione, dal momento) che ciò concernerebbe semmai l’entità del patrimonio sociale, ma non l’attitudine di essa a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni con mezzi ordinari; è del tutto generica e versata in merito laddove assume che il giudice avrebbe errato nel valutare l’attivo patrimoniale, i ricavi lordi e i debiti (pagine 23-24).
5. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del Fallimento, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021