LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 34631-2019 proposto da:
D.C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA, 42, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO DE PAOLIS, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO ERMINI;
– ricorrente –
contro
B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO 22, presso lo studio dell’avvocato PIETRO DI TOSTO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2348/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MELONI MARINA.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Roma con sentenza in data 8/4/2019 ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma in data 25/1/2017 in sede di separazione personale tra i coniugi D.C.S. e B.M. ed in particolare ha addebitato la separazione al marito ed aumentato l’assegno da 1.100,00 a 1.500,00 Euro mensili dovuto dal D.C. a titolo di contributo al mantenimento della moglie lasciando altresì immutate le ulteriori statuizioni.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione D.C.S. affidato a tre motivi.
B.M. resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto il giudice territoriale non ha dichiarato inammissibile l’appello che non conteneva le ragioni dalle quali sarebbe emerso che l’assegno di Euro 1.100,00 non era sufficiente.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 156 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice territoriale, senza tener conto delle situazioni economiche delle parti ha deciso in modo del tutto arbitrario l’entità dell’assegno di mantenimento a carico del marito per la moglie.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 156,1414,2232 e 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, ritenuto il D.C. titolare dell’impresa Cronos Funeraria mentre in realtà sono titolari di diritti ed azioni della società la Cattolica srl e la Stella Polare 2 srl.
Il primo motivo è infondato e deve essere respinto.
Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. S.U. 7199/2017; Cass. 13535/2018). Nella specie il motivo di appello della B., integralmente trascritto nel ricorso, è specifico, in quanto critica il punto della sentenza di primo grado sulla misura dell’assegno di separazione, ampiamente argomentando sulle diverse condizioni economiche delle parti, e tali allegazioni sono state recepite dalla Corte d’appello, che non è incorsa, pertanto in ultrapetizione.
Il secondo motivo di ricorso (violazione art. 132 c.p.c., artt. 156 e 2232 c.c.) è in parte infondato, in parte inammissibile. E’ infondato in relazione alla violazione dell’art. 132 c.p., poiché la sentenza è ampiamente e congruamente motivata, ben oltre il “minimo costituzionale”, essendo pervenuta a determinare l’assegno di separazione, comparando le condizioni economiche dei coniugi: il ricorrente, già dipendente delle Poste Italiane spa (dalle quali ha ricevuto Euro 93.650,00 come incentivo per l”esodo volontario), svolge attività imprenditoriale con il fratello nella agenzia delle pompe funebri fittiziamente intestata alla B. ed è proprietario esclusivo della casa di abitazione. La B. che paga Euro 700,00 mensili per canone di locazione non dispone di alcun reddito.
Il motivo è altresì inammissibile in quanto censura la valutazione di merito della Corte di Appello la quale non rinvia acriticamente alla decisione di prime cure, essendo la Corte pervenuta al convincimento di stabilire una somma di 1.500,00 Euro come assegno di mantenimento alla moglie all’esito di una comparazione delle condizioni reddituali di entrambi i coniugi, che la ha indotta a ritenere che B.M. non è autosufficiente anche in riferimento al pregresso tenore di vita.
In tema di valutazione delle prove, invero, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. Pertanto non può il giudice di legittimità riesaminare gli atti ed i documenti in base ai quali la Corte distrettuale ha stabilito il tenore di vita endofamiliare, trattandosi di valutazione di merito incensurabile, una volta escluso il vizio di motivazione.
Quanto al terzo motivo di ricorso relativo alla pretesa intestazione fittizia delle quote societarie intestate in parte alla moglie – peraltro, il ricorso sul punto difetta anche di autosufficienza, poiché non indica chi siano gli intestatari delle altre quote – è ben vero che non è configurabile la simulazione del contratto sociale, essendo le ragioni di nullità ex art. 2232 c.c. tassative a tutela dei terzi, ma, nella specie, la Corte territoriale non ha affatto dichiarato la simulazione del contratto sociale, ma ha accertato in fatto la qualità di socio di fatto – effettivo percettore degli utili – in capo al D.C.. Per cui sul punto il ricorso non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Alla luce dei richiamati principi il ricorso è pertanto infondato in ordine a tutti i motivi e deve essere respinto con condanna del soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente che liquida in Euro 3.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sesta sezione della Corte di Cassazione, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021