Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.22832 del 12/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2261-2020 proposto da:

D.D., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO VARALI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2224/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 30/05/2019 R.G.N. 1832/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 30 maggio 2019, ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da D.D., cittadino del Mali, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;

2. la Corte ha valutato il narrato del richiedente asilo – che aveva dichiarato di essere stato costretto a fuggire dal Mali a causa delle persecuzioni ricevute dai familiari, sorte a seguito della sua decisione di volersi convertire alla fede cristiana – generico e scarsamente credibile, perché non aveva specificato i motivi che lo avevano spinto ad abbandonare la religione di famiglia, scelta che avrebbe dovuto essere “necessariamente preceduta e poi accompagnata da una riflessione esistenziale”, né era stato in grado di riferire alla Commissione alcun elemento caratterizzante il credo cristiano; aggiungeva trattarsi comunque di vicenda privata; quanto al riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte ha escluso che nel luogo di provenienza dell’istante (sud del Mali) vi fosse una situazione di violenza indiscriminata per un conflitto armato interno o internazionale sulla scorta delle fonti internazionali indicate; circa la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la Corte non ha ravvisato una situazione di vulnerabilità soggettiva, riguardo le condizioni di salute documentate dall’istante;

3. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento impugnato il soccombente con 3 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

CONSIDERATO

CHE:

1. il primo motivo di ricorso denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonché nullità della sentenza per motivazione apparente, per non avere la Corte territoriale ritenuto credibile la volontà del ricorrente di convertirsi “sulla base di un’idea preconcetta e personale del credo religioso”, senza neanche considerare che ai fini della protezione internazionale richiesta le minacce persecutorie possono provenire anche da soggetti privati, qualora lo Stato non voglia o non possa intervenire a reprimere le condotte illecite degli agenti non statuali, come avvenuto nella specie;

il secondo motivo lamenta che la Corte territoriale avrebbe falsamente applicato il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), “in violazione dei criteri legali di valutazione degli elementi di prova con riferimento ai riscontri esterni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, omettendo di prendere in considerazione le fonti disponibili e prodotte e limitandosi ad un giudizio parziale e comunque personale e apodittico sulla credibilità del racconto”;

2. i due motivi, esaminabili congiuntamente per connessione, sono fondati;

questa Corte (Cass. n. 15219 del 2020) infatti ha osservato che “in tema di protezione internazionale, il sindacato sul percorso individuale seguito per abbracciare un determinato credo religioso e sul livello di conoscenza dei relativi riti non rientra nell’ambito della valutazione di merito devoluta al giudice per apprezzare la credibilità della storia riferita dal richiedente”; si è aggiunto che, “da un lato, tale valutazione postula conoscenze teologiche che non appartengono al bagaglio culturale naturale del giudice civile. Dall’altro lato, essa trasferisce l’apprezzamento sulla credibilità e attendibilità del richiedente la protezione, anche parzialmente, su un piano para-teologico che certamente è estraneo all’ambito valutativo affidabile, in un Paese laico, al giudice. Infine, va considerato che la mutevolezza delle modalità dell’atteggiarsi della fede personale, che costituisce una delle primarie modalità della libera estrinsecazione della personalità umana e non è quindi suscettibile, per sua natura, di essere imbrigliata in ambiti e regole predefinite – salvi i soli limiti generali di ordine pubblico e sicurezza nazionale – rende il concetto stesso di conoscenza delle pratiche religiose di un determinato culto estremamente vago e, come tale, non idoneo a fondare alcun giudizio oggettivamente apprezzabile” (in termini: Cass. n. 5225 del 2020);

per altro verso, se è vero che le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave solo ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (Cass. n. 23281 del 2020), il timore di essere ucciso per la conversione ad un credo religioso osteggiato dai congiunti trascende l’ambito della vicenda familiare e impone al giudice di verificare in concreto se lo Stato di origine sia in grado di offrire alla persona minacciata adeguata protezione (cfr. Cass. n. 6879 del 2020; Cass. n. 12333 del 2017) ovvero se non contrastino le minacce in quanto frutto di regole consuetudinarie locali (Cass. nn. 6573 e 6879 del 2020);

inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “In tema di protezione internazionale, gli atti di violenza domestica, così come intesi dall’art. 3 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, quali limitazioni al godimento dei diritti umani fondamentali, possono integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), in termini di rischio effettivo di “danno grave” per “trattamento inumano o degradante”, qualora risulti che le autorità statuali non contrastino tali condotte o non forniscano protezione contro di esse, essendo frutto di regole consuetudinarie locali” (Cass. n. 4933 del 2021; Cass. n. 23017 del 2020);

per accertare ciò occorre che il giudice si avvalga di informazioni tratte da fonti internazionali accreditate ed aggiornate (tra molte Cass. n. 28349 del 2020), oltre che pertinenti al caso (cfr. Cass. n. 23017 del 2020); invero, in tema di protezione internazionale, quando il richiedente alleghi il timore di essere soggetto nel suo paese di origine ad una persecuzione a sfondo religioso o comunque ad un trattamento inumano o degradante fondato su motivazioni a sfondo religioso, il giudice deve effettuare una valutazione sulla situazione interna del Paese di origine del richiedente, indagando espressamente l’esistenza di fenomeni di tensione a contenuto religioso, senza che in direzione contraria assuma decisiva rilevanza il fatto che il richiedente non si sia rivolto alle autorità locali o statuali per invocare tutela, potendo tale scelta derivare, in concreto, proprio dal timore di essere assoggettato ad ulteriori trattamenti persecutori o umanamente degradanti (Cass. n. 28974 del 2019);

3. conclusivamente, dichiarato assorbito il terzo mezzo in quanto l’eventuale riconoscimento delle protezioni maggiori esime l’esame delle censure relative al diniego della protezione umanitaria, vanno accolti i primi due motivi di ricorso, con cassazione del provvedimento impugnato in relazione ad essi e rinvio al giudice indicato in dispositivo, che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo a nuovo esame ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella udienza camerale, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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