LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9830-2015 proposto da:
L.B.A., V.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CUNFIDA 20, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO OLIVETI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE BONDI’;
– ricorrenti –
contro
***** IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato SERGIO LIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1631/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 10/10/2014 R.G.N. 2020/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/03/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.
RILEVATO
CHE:
1. la Corte d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese che aveva accolto i ricorsi, poi riuniti, proposti da V.M., L.B.A., C.B. e A.G., ha rigettato le domande proposte nei confronti del *****, volte ad ottenere il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata alle dipendenze dell’ente locale prima del passaggio alla società d’ambito e la conseguente attribuzione degli aumenti periodici previsti dal CCNL Federambiente, da calcolare a far tempo dall’anno 1995;
2. la Corte territoriale ha, in sintesi, osservato che l’accordo quadro del 20 aprile 2004 e il coevo accordo decentrato, nel garantire il mantenimento dell’anzianità giuridica e la conservazione del trattamento economico in godimento, non potevano essere interpretati nei termini sollecitati dagli appellati, ossia per conseguire un miglioramento retributivo mediante l’applicazione retroattiva di un istituto, la progressione economica per anzianità, non previsto dalla contrattazione dell’ente di provenienza;
3. ha, pertanto, ritenuto che correttamente la società cessionaria aveva garantito il livello retributivo raggiunto e riconosciuto gli scatti di anzianità solo a partire dal periodo successivo all’assunzione;
4. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso L.B.A. e V.M. sulla base di tre motivi, ai quali il COINRES ha replicato con controricorso, illustrato da memoria.
CONSIDERATO
CHE:
1. con il primo motivo i ricorrenti addebitano alla Corte territoriale il “mancato rilievo dell’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c. come sostituito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 54, comma 1…” e rilevano che il COINRES si era limitato a riproporre le difese articolate nel primo grado di giudizio senza confutare in modo specifico le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata;
2. con la seconda censura, intitolata “violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum e contraddittorietà della motivazione”, si sostiene che non poteva il giudice d’appello, in assenza di uno specifico motivo, porre a fondamento della pronuncia un’interpretazione della D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 202, comma 6, e dell’art. 2112 c.c. diversa da quella fornita dal Tribunale, perché sui capi non impugnati si era formato giudicato interno;
3. il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 2112 e 1362 c.c., della direttiva 77/187/CE, dell’accordo quadro regionale e di quello decentrato perché ha errato la Corte territoriale nel sostenere che la contrattazione applicata dall’ente di provenienza non prevedesse l’istituto degli scatti di anzianità, che, invece, i ricorrenti avevano percepito dalla data dell’assunzione D.P.R. n. 266 del 1987, ex art. 47 e conservato ai sensi dell’art. 28 del CCNL 16.2.1999 con il quale era stata operata la trasformazione degli aumenti periodici in retribuzione individuale di anzianità;
3. il primo motivo è infondato perché, anche a voler prescindere dall’erronea invocazione di una disposizione processuale non applicabile alle controversie in materia di lavoro, per le quali l’appello è disciplinato dall’art. 434 c.p.c., sollecita, quanto al requisito della specificità dei motivi, un’interpretazione dell’art. 342 c.p.c., come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, che è stata smentita dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui “l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata ” (Cass. S.U. n. 27199/2017);
3.1. il Tribunale di Termini Imerese aveva ritenuto fondata la domanda sul rilievo che l’applicazione dell’art. 2112 c.c., richiamato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 202, comma 6, comportasse “il mantenimento dell’anzianità conseguita presso il precedente datore di lavoro e con essa un trattamento economico e di carriera non inferiore a quello dei colleghi con pari anzianità e qualifica dell’impresa cessionaria”;
3.2. questa argomentazione, che costituisce la ratio decidendi della pronuncia, è stata specificamente contestata dall’appellante, il quale nell’atto d’appello ha, in sintesi, osservato che all’esito del trasferimento il cessionario è tenuto solo a garantire la conservazione del livello retributivo già raggiunto, sicché il riconoscimento dell’anzianità non può implicare il diritto alla ricostruzione della carriera, tanto più che ciò determinerebbe la valorizzazione di periodi antecedenti alla sottoscrizione del contratto collettivo nonché una disparità di trattamento con i lavoratori assunti direttamente dalla società d’ambito, per i quali gli scatti di anzianità potevano maturare solo dalla data dell’assunzione;
3.3. non è sufficiente per escludere la specificità del motivo la circostanza che nel gravame non sia stato espressamente richiamato l’art. 2112 c.c., perché la censura, nel circoscrivere con esattezza la questione devoluta, è chiaramente volta a contestare l’interpretazione che della norma aveva dato il giudice di prime cure;
4. parimenti infondata è la seconda censura giacché il principio della necessaria specificità dei motivi di appello va coordinato con quello espresso dall’art. 113 c.p.c., riassunto dal brocardo iura novit curia, e pertanto, una volta che l’impugnazione sia idonea ad introdurre nel giudizio di appello la questio iuris, quest’ultima può e deve essere risolta dal giudice anche sulla base di argomenti giuridici diversi da quelli prospettati dalle parti (cfr. in termini Cass. 7190/2010);
4.1. né si può sostenere che si sarebbe formato giudicato interno sull’interpretazione dell’art. 2112 c.c. data dal Tribunale perché il giudicato si determina “su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame” (Cass. n. 12202/2017);
5. quanto al merito della questione controversa la pronuncia impugnata è conforme alla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte la quale, disattendendo l’isolato precedente richiamato dal Tribunale di Termini Imerese, ha affermato che “nel caso di trasferimento di azienda, il riconoscimento, in favore dei lavoratori dell’azienda ceduta, dell’anzianità maturata presso il cedente non implica che il cessionario debba corrispondere gli scatti in riferimento a tale anzianità, ove presso il datore di lavoro precedente non esistesse il diritto a percepire gli scatti periodici di anzianità, essendo questi dovuti solo a partire dal periodo lavorativo regolato dalla contrattazione applicata presso il cessionario” (Cass. n. 14208/2013; Cass. n. 25021/2014; Cass. n. 23618/2018; Cass. n. 32070/2019);
5.1. il richiamato orientamento è stato applicato, in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di causa, da Cass. n. 4681/2019 con la quale si è precisato che l’accordo decentrato del 10.12.2004 e l’accordo quadro del 20.4.2004 non vanno oltre la previsione del mantenimento dell’anzianità e della conservazione della posizione giuridica economica in essere alla data del trasferimento;
5.2. si tratta di un’interpretazione pienamente rispettosa del diritto dell’Unione perché anche la Corte di Giustizia, nell’interpretare la direttiva 77/187/CE, ha precisato che quest’ultima ha il solo scopo di impedire che i lavoratori coinvolti nel trasferimento non subiscano un peggioramento retributivo sostanziale e “non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento d’impresa” (Corte di Giustizia 6.9.2011 in causa c- 108/10, Scattolon, punto 77);
6. il ricorso non sviluppa argomenti che possano indurre a rimeditare l’orientamento già espresso, al quale va data continuità, e, nella parte in cui sostiene che l’anzianità dei ricorrenti era stata valorizzata anche nell’ente di provenienza, attraverso l’istituto della retribuzione individuale di anzianità, prospetta una questione, alla quale non fa cenno la sentenza impugnata, che implica un accertamento di fatto quanto all’asserita corresponsione di detto emolumento al momento del passaggio dall’ente locale al consorzio;
6.1. trova, pertanto, applicazione il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nel giudizio di legittimità, qualora la sentenza impugnata non affronti il tema indicato nel motivo, il ricorrente ha l’onere, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di completezza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (cfr. fra le tante Cass. n. 32804/2019; Cass. n. 2038/2019; Cass. n. 15430/2018);
6.2. a tanto i ricorrenti non hanno provveduto sicché la censura, in parte qua, deve essere ritenuta inammissibile;
7. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo;
8. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dai ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella udienza camerale, il 24 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021
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