LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19266-2015 proposto da:
AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI NIGERIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALGARDENA N. 3, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO DE SANCTIS, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
M.D.M.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 10538/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/01/2015 R.G.N. 10319/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/03/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO.
RILEVATO
CHE:
1. la Corte d’Appello di Roma ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto in minima parte il ricorso, proposto da M.D.M. nei confronti dell’Ambasciata della Repubblica Federale di Nigeria, ed ha condannato l’Ambasciata al pagamento in favore dell’appellante della complessiva somma di Euro 169.566,82, a titolo di differenze retributive maturate in relazione al rapporto di lavoro subordinato intercorso fra le parti dal 13 luglio 1993 al 10 giugno 2005;
2. la Corte territoriale ha rilevato che l’appellata, rimasta contumace in primo grado, non aveva contestato con la necessaria specificità le circostanze dedotte nel ricorso introduttivo quanto alle mansioni di autista espletate dal ricorrente, alla durata del rapporto ed all’orario di lavoro, in relazione al quale ha ritenuto che lo stesso fosse stato provato limitatamente alla prestazione resa per cinque giorni alla settimana dalle ore 7 alle ore 18;
3. ha escluso, invece, che dalle deposizioni testimoniali fosse emersa la prova del lavoro prestato nei giorni festivi e sino alle ore 23 almeno per tre giorni a settimana;
4. il giudice d’appello ha conseguentemente condannato l’Ambasciata al pagamento della somma sopra indicata, quantificata sulla base della disposta consulenza tecnica d’ufficio;
5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Ambasciata della Repubblica Federale di Nigeria sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, ai quali non ha opposto difese M.D.M., rimasto intimato.
CONSIDERATO
CHE:
1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denuncia l’omesso esame di fatto controverso e decisivo per il giudizio e sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto decidere la controversia sulla base delle prove raccolte, non potendo affidare al consulente tecnico d’ufficio né valutazioni giuridiche né accertamenti di fatto;
2. la seconda censura denuncia, ex art. 360 c.p.p., n. 3, la violazione degli artt. 115 e 61 c.p.c. perché il giudice d’appello erroneamente ha valorizzato la non contestazione sebbene il giudizio fosse stato incardinato prima dell’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 che ha modificato il richiamato art. 115 c.p.c.;
2.1. aggiunge che i fatti “inventati, irreali ed inesistenti” erano stati contestati attraverso il deposito di documentazione e precisa ancora che l’Ambasciata non aveva installato sistemi marcatempo e non poteva indicare “a sua volta testimonianze di persone altrettanto compiacenti”;
3. con la terza critica si addebita alla Corte territoriale la violazione degli artt. 116 e 117 c.p.c. in quanto avrebbe dovuto disporre l’interrogatorio non formale della parte e l’integrazione della prova testimoniale;
4. infine con il quarto motivo è denunciata, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 432 c.p.c., dell’art. 2099 c.c., dell’art. 36 Cost. perché, così come aveva fatto il Tribunale ricorrendo alla liquidazione equitativa, doveva essere dato spazio a valutazioni di convenienza e di bilanciamento tra le pretese delle parti e non pervenire ad una “abnorme” quantificazione, disposta senza che fosse emersa la prova certa dello straordinario;
5. il primo motivo è inammissibile in tutte le sue articolazioni;
5.1. le Sezioni Unite di questa Corte da tempo hanno affermato che il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo;
5.2. hanno aggiunto che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
5.3. hanno precisato, infine, che il motivo è validamente formulato solo qualora il ricorrente indichi il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. S.U. n. 8053/2014 e negli stessi termini Cass. S.U. n. 34476/2019, Cass. S.U. n. 33679/2018; Cass. S.U. n. 9558/2018);
5.4. le richiamate condizioni non ricorrono nella fattispecie ed il motivo, che non evidenzia alcun fatto storico decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte territoriale, si risolve nella critica alla valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito, valutazione che non può essere rivista nel giudizio di legittimità in quanto, all’esito delle modifiche apportate al codice di rito dal D.L. n. 83 del 2012, “il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. n. 11892/2016 e negli stessi termini Cass. n. 23153/2018);
5.5. quanto, poi, alla dedotta violazione dell’art. 61 c.p.c. il motivo, oltre ad essere formulato senza il necessario rispetto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4 (la consulenza tecnica non è trascritta nelle parti rilevanti, non è stata depositata unitamente al ricorso e l’Ambasciata ricorrente non ha fornito indicazioni sulla localizzazione della stessa nel fascicolo processuale), svolge considerazioni non specificamente riferibili al decisum, perché la Corte territoriale ha ritenuto provate le mansioni e la durata della prestazione lavorativa sulla base delle dichiarazioni testimoniali, valutate anche alla luce del principio di non contestazione, ed ha poi affidato al consulente tecnico d’ufficio la sola quantificazione del corrispettivo dovuto in relazione ai parametri retributivi previsti dal CCNL per i dipendenti delle ambasciate, ossia un’indagine di carattere tecnico contabile;
6. il secondo motivo, con il quale l’Ambasciata addebita al giudice d’appello di avere erroneamente richiamato il principio di non contestazione, sebbene il giudizio fosse stato instaurato in data antecedente l’entrata in vigore dell’art. 115 c.p.c., come modificato dalla L. n. 69 del 2009, non considera che il principio in parola nel processo del lavoro discende dalle caratteristiche del rito, ed in particolare dal combinato disposto degli artt. 414 e 416 c.p.c., tanto che, ben prima della riformulazione dell’art. 115 c.p.c., le Sezioni Unite di questa Corte avevano affermato che “nel processo del lavoro, le parti concorrono a delineare la materia controversa, di talché la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto rende inutile provare il fatto stesso perché lo rende incontroverso, mentre la mancata contestazione dei fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria opera unicamente sulla formulazione del convincimento del giudice” (Cass. S.U. n. 11353/2004);
6.1. per il resto il motivo è inammissibile perché si risolve anch’esso in una critica alla valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito, al quale unicamente compete apprezzare l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019 e negli stessi termini Cass. n. 27490/2019);
7. ad analoghe conclusioni si giunge quanto alla terza censura che attraverso la deduzione del vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 116 e 117 c.p.c., insiste nel sollecitare un giudizio di fatto, non di diritto, che esula dai limiti e dallo scopo del giudizio di legittimità, che resta quello di assicurare “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto delle diverse giurisdizioni”;
7.1. è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui una censura relativa all’errata applicazione dell’art. 116 c.p.c. non può essere formulata per lamentare un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice d’appello, perché la violazione può essere ravvisata solo qualora il ricorrente alleghi che siano state poste a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o che il giudice abbia disatteso delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. fra le più recenti Cass. n. 18092/2020; Cass. n. 1229/2019, Cass. n. 23940/2017, Cass. n. 27000/2016);
8. infine è infondato anche il quarto motivo con il quale si sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto fare ricorso alla valutazione equitativa e non applicare il CCNL per i dipendenti delle ambasciate;
8.1. è ius receptum il principio secondo cui, ove il lavoratore domandi l’adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., il giudice del merito, anche se il datore di lavoro non aderisca ad una delle organizzazioni sindacali firmatarie, ben può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, che rappresenta il più adeguato strumento per determinare il contenuto del diritto alla retribuzione;
8.2. inoltre è stato precisato che costituisce specifico onere del datore di lavoro quello di indicare gli elementi dai quali risulti l’inadeguatezza, in eccesso, delle retribuzioni contrattualmente previste in considerazione di specifiche situazioni locali o della qualità della prestazione offerta dal lavoratore (Cass. n. 24092/2009; Cass. n. 5519/2004; Cass. n. 27591/2005), sicché nella fattispecie l’Ambasciata non poteva limitarsi a denunciare “l’abnormità” del compenso e ad invocare un “bilanciamento tra le pretese delle parti”, senza indicare le ragioni per le quali anche una retribuzione inferiore a quella contrattuale sarebbe stata egualmente proporzionata alla qualità e quantità della prestazione resa;
9. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato e, conseguentemente, occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente;
9.1. non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità perché M.D.M. non si è costituito in giudizio, rimanendo intimato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 24 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021
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