LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 10156/2020 r.g. proposto da:
S.S.P., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco Lanzilao, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, al viale Angelico n. 38;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata il 17/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 08/04/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.
FATTI DI CAUSA
1. S.S.P. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 350/2020, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del Tribunale della stessa città che – come già la commissione territoriale – aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale (sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria) o di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.
1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto del racconto del richiedente, peraltro ritenuto generico e poco credibile, nonché della situazione socio-politica del suo Paese di provenienza (Senegal), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:
I) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio politiche del Pese di origine: omesso esame delle fonti informative; omessa applicazione dell’art. 10 Cost.; violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14”;
II) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Difetto di motivazione e travisamento dei fatti”;
III) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – La Corte di appello ha omesso di valutare l’applicabilità al ricorrente della protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. 14 luglio 2017, n. 110, che ha introdotto il reato di tortura, ed ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. ed all’art. 3 CEDU. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.. Omesso esame delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del Paese di provenienza. Omesso esame delle fonti informative circa la situazione socio economica del Paese”.
2. Allo scrutinio di tali doglianze deve anteporsi la questione, avente valore pregiudiziale, concernente la validità, o non, dell’attestazione di conformità allegata dall’odierno difensore del ricorrente alla copia digitale del provvedimento impugnato. Trattasi, infatti, di questione di particolare rilievo perché attiene ad uno dei requisiti di procedibilità dell’impugnazione, il cui vizio è rilevabile ex officio.
2.1. Detta attestazione, datata 29 marzo 2020, risulta priva della sottoscrizione autografa del menzionato difensore. Deve trovare applicazione, dunque, il principio, sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata redatta in formato elettronico e sottoscritta digitalmente, e necessariamente inserita nel fascicolo informatico -, priva di attestazione di conformità del difensore D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16-bis, comma 9-bis, convertito dalla L. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca la conformità della copia informale all’originale;
nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio” (cfr. Cass., SU, n. 8312 del 2019, rv. 653597-02. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche le successive Cass. n. 15712 del 2019 e Cass. n. 3727 del 2021).
2.2. Posto, allora, che, nella specie, la copia analogica della sentenza impugnata, formata digitalmente, è corredata da un’attestazione di conformità all’originale priva di sottoscrizione autografa del difensore di S.S.P., che l’intimato Ministero dell’Interno è rimasto tale e che il medesimo difensore nemmeno ha depositato, entro la data dell’odierna adunanza in camera di consiglio, un’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica della decisione impugnata debitamente sottoscritta, il proposto ricorso non può che essere dichiarato improcedibile.
3. Non vi è necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato. Va dato atto, invece, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021