Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.22865 del 12/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12952/2020 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Paolo Centore, in Caserta che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****;

– resistente –

avverso la sentenza n. 703/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 07/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n.703/2019 la Corte di appello di Caltanissetta ha rigettato l’appello proposto da A.M., cittadino del *****, avverso l’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese a causa di possibili ritorsioni da parte di alcuni componenti dell’associazione terroristica ***** per l’uccisione ad opera dei suoi fratelli di due membri di tale organizzazione. La Corte territoriale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto riguardo anche alle condizioni generali del *****, ove non esisteva conflitto armato. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito solo formalmente.

Con un primo motivo si deduce nullità della sentenza per error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., all’art. 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2 e all’art. 111 Cost., comma 6 in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3.

Si lamenta che il giudice di appello non avrebbe svolto una approfondita analisi giuridica degli elementi da cui sostiene di aver tratto il proprio convincimento relativamente alla mancanza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Con un secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 in combinato disposto D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e con D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 27, comma 1 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si rileva che il giudice di appello avrebbe aderito alla motivazione del Tribunale formando il proprio convincimento sulla base esclusivamente del fumus persecutionis a danno del ricorrente senza applicare il principio dell’onere probatorio attenuato limitandosi a richiamare fonti non aggiornate in merito alla zona di provenienza del richiedente.

Si sostiene che in tal moto la decisione impugnata sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 omettendo una adeguata disamina specifica della situazione soggettiva ed oggettiva del ricorrente con riferimento alla zona di provenienza del richiedente in comparazione con gli altri fattori di vulnerabilità oggettivi e soggettivi prospettati nel ricorso introduttivo.

Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 1 e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3 ratione temporis vigenti in combinato disposto con il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e con il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 dell’art. 2 e 36 Cost dell’art. 8CEDU in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si lamenta che il giudice del gravame non avrebbe operato quella valutazione comparativa quantunque richiamata nel corpo della motivazione richiesta dalla legge ai fini della concessione della protezione umanitaria.

Il primo ed il terzo motivo che afferiscono alla medesima questione (mancata concessione della protezione umanitaria) e vanno trattati congiuntamente sono inammissibili.

Questa Corte ha premesso che la protezione umanitaria costituisce una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (cfr. Cass. n. 23604 del 2017; conf. Cass. n. 252 del 2019).

A tale fine, peraltro, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, allo scopo di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. n. 12537 del 2020; cfr. Cass. n. 4455 del 2018).

Poste tali premesse, nella specie la Corte distrettuale ha esplicitamente scrutinato, e respinto, con motivazione che soddisfa il minimo costituzionale (Cass. 2014 nr 8053), la domanda dell’odierno ricorrente volta al riconoscimento della protezione umanitaria. La sentenza impugnata ha qualificato, in primo luogo, come inattendibile il racconto del richiedente protezione internazionale segnalando le lacune e le contraddizioni del racconto reso dallo stesso. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

Peraltro, in materia di protezione internazionale il positivo superamento del vaglio di credibilità soggettiva del richiedente protezione condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è preliminare all’esercizio da parte del giudice del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che il richiedente non è in grado di provare, in deroga al principio dispositivo (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 11267 del 2019; Cass. n. 16925 del 2018). E la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, che è censurabile in cassazione nei limiti di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5; doglianza che, ovviamente, non potrebbe consistere nella prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di questione attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019).

Quanto all’accezione oggettiva della condizione di vulnerabilità del richiedente protezione umanitaria, il ricorso non si confronta con la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di appello escludono per la zona di provenienza del richiedente, *****, la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata e diffusa idonea ad esporre la popolazione civile ad un grave pericolo per la vita o l’incolumità fisica per il solo fatto di soggiornarvi.

Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

Va evidenziato, in relazione alla dedotta violazione del D.Lgs. n. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).

Il motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, – è inammissibile perché volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna della ***** giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che nel paese africano di provenienza del richiedente non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata, e ciò sulla base della consultazione di qualificate fonti di informazione internazionale.

La Corte d’Appello ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate dalle quali ha tratto la convinzione che il Gambia non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benché la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito e anche non idonea, quanto ai fatti rappresentati (Cass. n. 14283/2019).

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte va dichiarata l’inammissibilità del ricorso:

Nessuna determinazione in punto spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

P.Q.M.

La corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; nulla per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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