LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7970-2015 proposto da:
A.S.L. – AZIENDA SANITARIA LOCALE ***** LANCIANO-VASTO-CHIETI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO n. 12/D, presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI MANGIA;
– ricorrente –
contro
F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO n. 61, presso lo studio dell’avvocato FORTUNA ANTETOMASO, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO ALESSANDRINI;
– controricorrente –
e sul ricorso 9118-2016 proposto da:
F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO 61, presso lo studio dell’avvocato FORTUNA ANTETOMASO, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO ALESSANDRINI;
– ricorrente principale –
contro
A.S.L. – AZIENDA SANITARIA LOCALE ***** LANCIANO-VASTO-CHIETI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO n. 12/D, presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI MANGIA;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 716/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 18/09/2014 R.G.N. 830/2013 per il ricorso R.G.N. 7970/2015;
avverso la sentenza n. 982/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 01/10/2015 R.G.N. 830/2013 per il ricorso R.G.N. 9118/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/03/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;
i P.M. rispettivamente in persona dei Sostituti Procuratori Generali Dott. FRESA Mario, e Dott. GIACALONE GIOVANNI, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, hanno depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’ Appello di L’Aquila con la sentenza parziale n. 716/2014 ha accolto l’appello di F.G. avverso la sentenza del Tribunale di Chieti che aveva rigettato il ricorso e ha dichiarato il diritto dell’appellante ad essere risarcito dall’Azienda Sanitaria Locale ***** Lanciano Vasto – Chieti dei danni subiti in conseguenza del pensionamento anticipato, rinviando alla sentenza definitiva la quantificazione del risarcimento.
2. La Corte territoriale, respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello, ha rilevato in punto di fatto che il F. aveva instaurato in data 6 giugno 2003 un primo giudizio per ottenere il risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale cagionato dalla condotta illecita tenuta dal datore di lavoro, che aveva determinato l’insorgenza della patologia dalla quale il ricorrente era affetto (disturbo dell’adattamento con ansia ed umore depresso misto cronico). L’inadempimento, il danno ed il nesso causale erano stati accertati dal Tribunale di Chieti con sentenza n. 127/2008, passata in giudicato.
Pendente il giudizio, la ASL aveva avviato l’8 luglio 2003 l’iter per l’accertamento dell’idoneità al lavoro del dipendente ed il procedimento si era concluso il 30 settembre 2003 con l’atto di collocamento in quiescenza del F., ritenuto non idoneo in modo assoluto e permanente a svolgere le mansioni proprie della qualifica rivestita.
3. Il giudice d’appello ha escluso l’eccepita improcedibilità o inammissibilità della domanda sul rilievo che il danno da pensionamento anticipato era sorto in epoca successiva alla proposizione del primo giudizio, con la conseguenza che non poteva essere richiesto in quella sede.
Ha poi ritenuto fondata l’azione risarcitoria in quanto risultava documentalmente provato che quella stessa patologia insorta a seguito della condotta illecita del datore aveva determinato l’incapacità lavorativa e, quindi, un danno patrimoniale, da quantificare tenendo conto delle differenze fra le retribuzioni perse sino al raggiungimento del limite di età ed il trattamento pensionistico, del minor importo ricevuto a titolo di trattamento di fine servizio, dell’incidenza negativa sui ratei di pensione.
4. Con la sentenza definitiva n. 482/2015 la Corte, richiamate le conclusioni alle quali era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, ha condannato la Asl al pagamento della complessiva somma di Euro 83.986,43, per le retribuzioni perse fino all’età pensionabile, e di Euro 19.807,57 a titolo di differenze sul trattamento di fine rapporto.
5. Con un primo ricorso iscritto al n. 7970/2015 è stata domandata dalla Asl ***** di Lanciano – Vasto – Chieti la cassazione della sentenza parziale sulla base di tre motivi, ai quali F.G. ha resistito con tempestivo controricorso.
6. Per la cassazione della sentenza definitiva il F. ha proposto ricorso iscritto al n. 9118/2016 affidato ad un unico motivo al quale ha opposto difese la ASL che, in via incidentale, ha riproposto le censure formulate avverso la pronuncia parziale.
7. In entrambi i giudizi la Procura Generale ha concluso D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8 bis, convertito in L. n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso n. 7970/2015, l’accoglimento del ricorso principale iscritto al n. 9118/2016, la dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione incidentale proposta dalla ASL in quest’ultimo giudizio.
8. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente occorre disporre la riunione del giudizio iscritto al n. 9118/2016 R.G. a quello n. 7970/2015 R.G., in ragione dell’orientamento consolidato di questa Corte, condiviso dal Collegio, secondo cui “i ricorsi per cassazione proposti contro sentenze che, integrandosi reciprocamente, definiscono un unico giudizio (come, nella specie, la sentenza non definitiva e quella definitiva) vanno preliminarmente riuniti, trattandosi di un caso assimilabile a quello previsto dall’art. 335 c.p.c. – della proposizione di più impugnazioni contro una medesima sentenza” (Cass. n. 9192/2017 e negli stessi termini Cass. n. 17603/2019).
2. Il ricorso principale della ASL proposto avverso la sentenza non definitiva denuncia, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 348 bis c.p.c. perché l’appello proposto dal F. doveva essere dichiarato inammissibile, in quanto privo di una parte argomentativa idonea a confutare e contrastare con la necessaria specificità il percorso motivazionale seguito dal primo giudice. In via subordinata l’azienda ricorrente sostiene che l’impugnazione non aveva “ragionevole probabilità di accoglimento” in quanto fondata su principi contrastanti con le posizioni espresse dalla dottrina e con orientamenti giurisprudenziali consolidati.
3. La seconda censura, rubricata “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare del principio della Cassazione in materia di unitarietà del diritto al risarcimento del danno”, addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto l’azione proponibile, nonostante che nel primo giudizio non fosse stata formulata alcuna riserva in ordine alla richiesta di ulteriori voci di danno. La ricorrente richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che il principio della unitarietà del risarcimento del danno impedisce una successiva azione anche nell’ipotesi in cui l’ulteriore pretesa prospetti profili diversi rispetto a quelli già apprezzati nel precedente giudicato.
4. La terza critica denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. nonché la violazione “del principio della cassazione in materia di risarcimento del danno patrimoniale”. Premesso che il danno biologico non si traduce automaticamente anche in un pregiudizio patrimoniale, la ricorrente deduce che ha errato la Corte territoriale nel ritenere che il pensionamento anticipato fosse dipeso dalla condotta del datore di lavoro già qualificata illecita e che in assenza di quest’ultima la prestazione lavorativa sarebbe stata resa sino al 65^ anno di età. Evidenzia che nel primo giudizio il consulente tecnico d’ufficio aveva ritenuto che il F. presentasse una “fragilità psichica di base” ed aveva quantificato nella misura del solo 12% l’invalidità, sicché non poteva il giudice d’appello ritenere sufficiente, ai fini della prova del nesso causale fra inadempimento e pensionamento anticipato determinato dalla inidoneità al lavoro, il verbale della visita medica effettuata dal Servizio di Medicina Legale e del Lavoro della ASL di Chieti.
5. F.G. con l’unico motivo di ricorso, formulato avverso la sentenza definitiva ed iscritto al n. 9118/2016 R.G., denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – violazione art. 277 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, sub 5)” e addebita alla Corte territoriale di non avere deciso su tutte le domande proposte, avendo erroneamente limitato il risarcimento al danno patrimoniale verificatosi nel periodo 1/10/2003 – 16/12/2015 ed alle differenze sul trattamento di fine servizio. Con il ricorso introduttivo e con l’atto d’appello era stato domandato anche il danno pensionistico derivato dal mancato raggiungimento dell’anzianità contributiva massima e questo danno, riconosciuto nella sentenza parziale ma non in quella definitiva, era stato quantificato dal consulente tecnico d’ufficio.
6. Nel giudizio iscritto al n. 9118/2016 la ASL, con ricorso incidentale, ha riproposto i motivi di censura già formulati avverso la sentenza non definitiva ed ha poi svolto considerazioni sull’inammissibilità e sull’infondatezza del ricorso avversario.
7. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile perché formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.
La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012).
La parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perché la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 20924/2019; Cass. n. 15367/2014; Cass. n. 21226/2010).
Dal principio di diritto discende che, qualora, come nella fattispecie, il ricorrente assuma che l’appello doveva essere dichiarato inammissibile per difetto della necessaria specificità dei motivi di impugnazione, la censura potrà essere scrutinata a condizione che vengano riportati nel ricorso, nelle parti essenziali, la motivazione della sentenza di primo grado e l’atto di appello (Cass. n. 29495/2020).
Non è neppure sufficiente per assicurare la completezza del ricorso che il ricorrente assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, indicando la sede nella quale l’atto processuale è reperibile, perché l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5 richiede che al giudice di legittimità vengano forniti tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (Cass. 28.9.2016 n. 19048).
Nel caso di specie l’Azienda ricorrente si è limitata ad argomentare sulle ragioni della dedotta violazione dell’art. 434 c.p.c., ma non ha riportato nel ricorso, quantomeno nelle parti essenziali, il contenuto della sentenza di primo grado e dell’impugnazione e l’omissione si traduce in una non completa individuazione dell’error in procedendo.
8. E’, invece, ammissibile e fondato il secondo motivo.
Quanto al primo aspetto rileva il Collegio che il requisito di specificità dei motivi, imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 4, non va inteso in senso formale e non rende necessaria la previa individuazione, nel titolo, delle norme di legge che si assumono violate, ma comporta solo l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’irnpugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocabilmente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c. (Cass. S.U. n. 17931/2013).
L’Azienda ricorrente nella rubrica ha denunciato la “violazione del principio dell’unitarietà del diritto al risarcimento del danno” e nel corpo del motivo ha illustrato la censura, anche attraverso il rinvio per relationem alla giurisprudenza dli questa Corte in tema di infrazionabilità dell’azione risarcitoria, sicché il requisito di specificità non può essere escluso per il solo fatto che non siano state individuate le norme, sostanziali e processuali, sulle quali quell’orientamento, con chiarezza invocato, riposa.
8.1. L’unitarietà del diritto al risarcimento del danno, che si traduce sul piano processuale nel principio dell’infrazionabilità della domanda risarcitoria, da tempo è stata affermata da questa Corte (cfr. fra le tante Cass. n. 15523/2019; Cass. n. 2038/2019; Cass. n. 11789/2017; Cass. n. 22514/2014), che ne ha tratto quale conseguenza l’inammissibilità dell’azione, successivamente proposta in relazione al medesimo fatto illecito, nei casi in cui il diritto al risarcimento era già stato fatto valere con una prima iniziativa assunta in sede giudiziale (Cass. n. 17019/2018; Cass. n. 22503/2016).
Sempre sul principio dell’unitarietà riposa, poi, l’orientamento secondo cui nell’ambito di un giudizio risarcitorio la domanda, in assenza di una specifica diversa manifestazione di volontà dell’attore, comprende tutti i possibili pregiudizi causalmente riconducibili all’inadempimento o al fatto illecito, con la conseguenza che, da un lato, alle indicazioni delle voci contenute nell’atto introduttivo si deve riconoscere un valore meramente esemplificativo (Cass. n. 15523/2019), dall’altro la domanda stessa si intende estesa ai pregiudizi che si produrranno nel corso del giudizio (Cass. n. 11789/2017) e, pertanto, è consentita a chi agisce, non solo la modifica quantitativa dell’originaria domanda, ma anche l’allegazione di un pregiudizio diverso ed ulteriore rispetto a quello inizialmente dedotto, se manifestatosi a giudizio già instaurato e derivato dal medesimo fatto illecito (Cass. n. 2038/2019; Cass. n. 9453/2013; Cass. n. 16819/2003).
In tal modo il principio dell’unitarietà della domanda, del diritto e del processo risarcitorio è stato armonizzato con quello della necessaria integralità del risarcimento, assicurata dalla possibilità concessa al danneggiato di far valere anche i danni non ancora apprezzabili al momento dell’instaurazione del giudizio e verificatisi in corso di causa.
Il bilanciamento così realizzato produce, poi, effetti sulla delimitazione dell’efficacia oggettiva del giudicato perché, una volta affermata l’unitarietà del danno e ritenuta ammissibile la deduzione anche dei pregiudizi verificatisi in pendenza del giudizio, questi ultimi, se non espressamente dedotti, rilevano ai finii del deducibile, e ciò impedisce che gli stessi possano essere fatti valere in un successivo giudizio risarcitorio, nel quale si discuta degli effetti della medesima condotta inadempiente o illecita, esauritasi al momento dell’instaurazione della prima controversia.
L’unitarietà del danno e l’infrazionabilità della domanda risarcitoria, declinate nei termini sopra esposti, comportano, quindi, che una nuova domanda risarcitoria sarà proponibile nei soli casi in cui si sia protratta la condotta illecita ed il danno sia riferibile ad un’azione sopravvenuta, oppure qualora si manifesti a giudizio già concluso, non un mero sviluppo o un aggravamento del danno già insorto, bensì una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella esteriorizzatasi con l’esaurimento dell’azione del responsabile (in questi casi, infatti, secondo Cass. S.U. n. 580/2008 e Cass. S.U. n. 5023/2010 il diritto al risarcimento acquista una sua autonomia rispetto a quello relativo alle conseguenze pregiudizievoli già verificatesi, autonomia che rileva ai fini della decorrenza del termine di prescrizione).
In tal senso questa Corte si è già espressa, quanto al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento degli obblighi che gravano sul datore di lavoro, ed è pervenuta alla dichiarazione di inammissibilità della seconda domanda, sia in relazione ad azioni successive con le quali erano stato dedotti danni ulteriori verificatisi in conseguenza della medesima condotta vessatoria (Cass. n. 5308/2016), sia con riferimento alla domanda risarcitoria avente ad oggetto il danno pensionistico derivato dall’illegittimo demansionamento, ritenendo, in quest’ultimo caso, irrilevante che al momento dell’instaurazione del primo giudizio il rapporto fosse ancora in corso ed il danno conseguenza non si fosse manifestato (Cass. n. 26078/2007).
9. Dai richiamati principi, condivisi dal Collegio e qui ribaditi, discende l’erroneità della pronuncia impugnata (sentenza non definitiva n. 716/2014) che ha ritenuto ammissibile la successiva domanda risarcitoria, per il solo fatto che il giudizio di inidoneità al lavoro ed il pensionamento anticipato fossero intervenuti, rispettivamente, il 3 ed il 30 settembre 2003, quando già era stato depositato, il 13 giugno dello stesso anno, il primo ricorso.
La sentenza del Tribunale di Chieti, passata in giudicato, che aveva accertato la responsabilità dell’Azienda in relazione alla patologia (disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso – invalidità quantificata nella misura del 12%) poi valorizzata ai fini del giudizio di inidoneità, è intervenuta il 14 febbraio 2008, a distanza di oltre quattro anni dal pensionamento, sicché era in quel giudizio che il ricorrente, in forza del principio dell’unitarietà del danno e del divieto di frazionamento della domanda risarcitoria, avrebbe dovuto far valere anche il pregiudizio patrimoniale derivato dalla perdita della capacità di lavoro specifica, atteso che la lesione dell’integrità psico-fisica si era già verificata ed era cessata la condotta illecita tenuta dal datore.
L’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale è assorbente rispetto al terzo motivo ed ai ricorsi proposti avverso la sentenza definitiva, perché, una volta ritenuto violato il principio dell’unitarietà del danno e dell’infrazionabilità del risarcimento, entrambe le pronunce gravate devono essere cassate senza rinvio ex art. 382 c.p.c., comma 3, in quanto la causa non poteva essere proposta.
10. La complessità delle questioni giuridiche e l’esito alterno dei gradi di merito giustificano l’integrale compensazione fra le parti delle spese di lite dell’intero processo.
Vanno poste a definitivo carico di F.G. le spese della consulenza tecnica d’ufficio.
L’accoglimento del ricorso proposto avverso la sentenza n. 716/2014 e l’assorbimento delle impugnazioni inerenti la sentenza definitiva n. 982/2015, rendono inapplicabile il raddoppio del contributo unificato previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i giudizi, accoglie il secondo motivo del ricorso principale della ASL e dichiara inammissibile il primo motivo. Assorbe il terzo motivo del ricorso principale ed i ricorsi proposti avverso la sentenza definitiva. Cassa senza rinvio ex art. 382 c.p.c., comma 3, le sentenze impugnate e la sentenza di primo grado perché la causa non poteva essere proposta. Compensa integralmente fra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito e del presente giudizio di cassazione. Pone a definitivo carico di F.G. le spese della consulenza tecnica d’ufficio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2021
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