LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5982-2015 proposto da:
S.P., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA G.
MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato MARIO VINCOLATO, rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO BUDINI;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CHIETI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II N. 209, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SILVESTRI, rappresentato e difeso dagli avvocati PATRIZIA TRACANNA, MARCO MORGIONE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 827/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 16/10/2014 R.G.N. 892/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/03/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.
RILEVATO
che:
1. con sentenza n. 827/2014, pubblicata in data 16 ottobre 2014, la Corte d’appello di L’Aquila, in riforma della decisione del Tribunale di Chieti, accoglieva l’opposizione proposta dal Comune di Chieti avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da S.P., dipendente del Comune, collocata a riposo a far data dall’1/6/2010, per il pagamento dell’importo di Euro 9.904,68 a titolo di indennità sostitutiva per n. 147 giorni di ferie non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro e per l’effetto revocava tale decreto ingiuntivo;
2. riteneva la Corte territoriale che i tabulati provenienti dall’Amministrazione avessero una valenza meramente descrittiva e non anche certificativa della situazione individuale della dipendente, contenendo una mera ricognizione informale del numero di giorni di ferie residuo, come risultante dal sistema informatico dell’Ente (non potendosi escludere la possibile erroneità dei dati immessi nel sistema informatico, “verosimilmente dovuta alla mancata bonifica di dati assai risalenti”);
in ogni caso evidenziava che tali tabulati non tenessero conto della disciplina di cui all’art. 18 del c.c.n.l. 1994/1997 secondo cui: – solo in caso di indifferibili esigenze di servizio che non abbiano reso possibile il godimento delle ferie nel corso dell’anno, le stesse devono essere fruite entro il primo semestre dell’anno successivo; – solo in caso di motivate esigenze di carattere personale il termine può essere prorogato al mese di aprile dell’anno successivo a quello di spettanza; – i giorni di recupero festività soppresse devono essere fruiti nell’anno di maturazione;
rilevava, inoltre, sulla base della analitica ricostruzione della posizione della S. come effettuata dall’appellante (che trovava puntuale riscontro nelle domande di ferie prodotte dal Comune di Chieti, tutte sottoscritte dalla S., in cui erano puntualmente riportati sia l’anno di imputazione delle ferie sia il periodo di fruizione, oltre che nella determinazione datoriale n. 1110 del 2.4.2010), che la dipendente: – aveva goduto nell’anno 2007 di tutte le ferie residue – 12 giorni – relative agli anni 2004, 2005 e 2006; – nell’anno 2008 delle ulteriori ferire residue relative al 2006 oltre a 14 giorni dell’anno 2007; – al momento della cessazione del rapporto (1.6.2010) doveva ancora usufruire di 14 giorni residui di ferie relativi all’anno 2007, dell’intero periodo feriale relativo agli anni 2008 e 2009 (28 giorni + 28 giorni) e di ulteriori 10 giorni di ferie maturati nel corso dell’anno 2010 (evidenziando che, quanto al periodo dal 29.3.2010 all’1.6.2010, alla predetta era stata concessa una proroga del periodo di conservazione del posto di lavoro per giorni 90, dopo una lunga assenza per malattia che non faceva maturare ferie come previsto dall’art. 21, comma 7, lett. d) del c.c.n.l. 1994/1997);
riteneva che, a fronte di un complessivo numero di 78 giorni di ferie residue, la S. avesse ricevuto, alla cessazione del rapporto, un indennizzo per un numero di giorni di ferie finanche superiore (di due giorni) a quello effettivamente dovuto;
rilevava che la stessa ricorrente avesse limitato la richiesta di indennità sostitutiva agli anni dal 2007 al 2010 e, sul punto, considerava infondata la tesi dell’appellata secondo la quale, al contrario, non vi fosse alcuna limitazione temporale nella domanda della lavoratrice del 9-14.6.2010 in cui si chiedeva testualmente l’erogazione dell’indennità sostitutiva “delle ferie maturate e non godute periodo anno 2007-2008-2009-2010” dal momento che per il periodo anteriore al 2007 nessun giorno di ferie poteva essere residuato;
richiamava, da ultimo, gli orientamenti applicativi dell’ARAN in tema di monetizzazione delle ferie (ed in particolare quelli n. 1424 del 7.8.2012 e n. 484 del 5.6.2011) secondo cui, in materia di `monetizzazioné delle ferie, “la regola generale sancita dall’art. 18 del c.c.n.l. del 6.7.1995 è che essa può aver luogo solo all’atto della cessazione del rapporto di lavoro ed esclusivamente con riferimento a quelle non godute dal dipendente per rilevanti ed indifferibili ragioni di servizio, risultanti da atto formale avente data certa (comprovante la richiesta del dipendente di fruizione delle ferie e l’impossibilità di assegnazione delle stesse da parte del datore di lavoro per le ragioni di servizio di cui si è detto)” ed evidenziava che la S. non avesse prodotto alcun atto formale di data certa comprovante la sua richiesta di fruizione delle ferie e l’impossibilità di assegnazione delle stesse da parte del Comune di Chieti per rilevanti ed indifferibili esigenze di servizio;
3. S.P. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a due motivi, cui il Comune di Chieti ha opposto difese con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., comma 2, (in relazione agli artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5);
valorizza la circostanza che il tabulato prodotto a fondamento della domanda fosse stato formato dal Comune di Chieti in base alle rilevazioni effettuate dal sistema informatico;
sostiene che la Corte territoriale avrebbe contrapposto ad un documento ufficiale del Comune di Chieti, che non era mai stato contestato e del quale non era stata provata l’erroneità, un ragionamento presuntivo;
2. il motivo è inammissibile;
le censure non intercettano il decisum della Corte territoriale che, dopo aver dato atto che il Comune aveva dedotto l’erroneità del tabulato, ha ben spiegato le ragioni per le quali quest’ultimo non potesse avere valenza certificativa;
neppure è idoneamente censurato il passaggio argomentativo in cui la Corte d’appello ha dato conto di tutte le fonti di prova utilizzate, specificamente esaminate, ed ha compiuto un preciso accertamento della situazione della S., verificando gli elementi emergenti dall’indicato tabulato (privo di valenza certificativa, riportante un mero dato sintetico finale, mancante di ogni riferimento partitario a ciascun anno, sprovvisto di sottoscrizione, recante solo in calce un timbro del Comune di Chieti – v. pag. 16 dello stesso ricorso per cassazione -) alla luce delle ulteriori emergenze di causa;
così la Corte territoriale, richiamando puntualmente le varie domande di ferie della dipendente ed i periodi di fruizione delle stesse oltre che le formali determinazioni del Comune, ha analiticamente indicato il residuo di giorni di ferie per gli anni 2007, 2008, 2009 e 2010 (come riportato nello storico di lite), rilevato che per gli anni anteriori al 2007 non vi fosse stata alcuna specifica domanda né vi potesse essere “in ragione della effettiva integrale fruizione delle ferie maturate negli anni 2004, 2005 e 2006 (avvenuta nel corso degli anni 2007 e 2008)” ed ha concluso che non sussistesse più alcun credito in favore della S. atteso che quest’ultima, al momento della cessazione del rapporto, aveva ricevuto un indennizzo per un numero di giorni di ferie non godute finanche superiore (di due giorni) a quello effettivamente spettante;
né è configurabile una qualche violazione di legge nella mera circostanza che la Corte territoriale abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, non emergendo, peraltro, che la stessa abbia giudicato sulla base di prove giammai introdotte ritualmente e ammesse di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (v. ex aliis Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598; Cass. 10 giugno 2016, n. 11892) ovvero abbia apprezzato liberamente una prova legale, oppure si sia ritenuta vincolata da una prova liberamente apprezzabile (Cass., Sez. Un., n. 11892/2016 cit.; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965);
ed allora, nonostante la formale denuncia di una violazione di legge, la ricorrente, in realtà, lamenta una erronea ricognizione del materiale istruttorio, operazione, questa, inammissibile in sede di legittimità;
3. con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., comma 2, (in relazione agli artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5);
sostiene che il Comune non avesse mai eccepito che sussisteva il divieto di monetizzazione e che la Corte territoriale lo avrebbe posto a fondamento della decisione in violazione del principio dispositivo e, sempre in violazione di tale principio, avrebbe osservato che, in base alla normativa contrattuale e dell’orientamento espresso dall’ARAN, la monetizzazione delle ferie non poteva essere concessa in difetto di indifferibili e rilevanti ragioni di servizio risultanti da atto formale che, nella specie, non era stato prodotto;
4. il motivo è inammissibile in quanto attiene ad una ratio decidendi aggiuntiva posta dalla Corte territoriale a sostegno del decisum di infondatezza della domanda che comunque già resta ferma per quanto evidenziato con riguardo all’inammissibilità del primo motivo di ricorso afferente alla ritenuta insussistenza di un residuo ferie non godute ulteriore rispetto a quelle indennizzate;
come da questa Corte già precisato, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in toto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano;
ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (cfr. Cass., Sez. Un., 8 agosto 2005, n. 16602; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 11 maggio 2018, n. 11493);
5. da tanto consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
6. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
7. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 24 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2021