Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.22902 del 13/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19006-2020 r.g. proposto da:

O.O.C., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Francesco Tartini, con cui elettivamente domicilia in Roma, via Casale Strozzi n. 31, presso lo studio dell’Avvocato Barberio;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia, depositata in data 19.11.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8/4/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

CHE:

1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da O.O.C., cittadino della Nigeria, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 3.9.2017 dal Tribunale di Venezia, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato e vissuto a Benin City, nell’Edo State; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perché timoroso di essere arrestato dalla polizia per il suo orientamento omossessuale, dopo essere stato sorpreso dal padre con il suo fidanzato e dopo essere stato denunciato alla polizia dal genitore.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile, lacunoso, generico e contraddittorio; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito all’Edo State, stato nigeriano di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perché il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano, non rilevando comunque a tal fine il solo profilo dell’integrazione.

2. La sentenza, pubblicata il 19.11.2019, è stata impugnata da O.O.C. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione degli artt. 25 e 102 Cost., dell’art. 158 c.p.c. e del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 110, con conseguente nullità della sentenza impugnata, in ragione, per un verso, dell’illegittima presenza nel collegio giudicante della corte di appello di un giudice ausiliario non togato (per la quale questa Corte di Cassazione aveva anche sollevato questione di legittimità costituzionale innanzi alla Consulta) e, per altro verso, per la presenza comunque nel medesimo collegio di un giudice del distretto non specializzato applicato “a rotazione” nei collegi giudicanti in materia di protezione internazionale.

1.2 Il motivo è infondato.

In relazione al primo profilo di censura, occorre ricordare che è intervenuta da ultimo la sentenza n. 41/2021 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, artt. 62,63,64,65,66,67,68,69,70,71 e 72 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in L. 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dal D.Lgs. 13 luglio 2017, n. 116, art. 32 (Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della L. 28 aprile 2016, n. 57).

La Consulta ha infatti osservato che – allo scopo di evitare, nell’immediato, un pregiudizio all’amministrazione della giustizia – è possibile nell’attuale contesto normativo – che vede una riforma in progress della magistratura onoraria (D.Lgs. n. 116 del 2017), la cui completa entrata in vigore è già differita per vari aspetti al 31 ottobre 2025 (art. 32 di tale decreto legislativo) e che è attualmente oggetto di iniziative di ulteriore riforma, all’esame del Parlamento (d.D.L. n. S1516, testo unificato dei d.D.L. numeri 1438, 1555, 1582 e 1714) – dichiarare l’illegittimità costituzionale della normativa censurata nella parte in cui non prevede che essa si applichi fino al completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi contemplati dal citato D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 32. Il Giudice delle Leggi ha così riconosciuto – per l’incidenza dei concorrenti valori di rango costituzionale – una temporanea tollerabilità costituzionale, rispetto all’evocato parametro dell’art. 106 Cost., commi 1 e 2, della normativa denunciata di incostituzionalità, rimanendo – anche con riguardo ai giudizi a quibus – “legittima la costituzione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio e nel rispetto di tutte le altre disposizioni, sopra richiamate, che garantiscono l’indipendenza e la terzietà anche di questo magistrato onorario” (così, expressis verbis, Corte Cost. n. 41/2021).

Ne consegue che il profilo di nullità della sentenza impugnata per la denunciata illegittimità di costituzione del collegio giudicante, ai sensi dell’art. 158 c.p.c., deve ritenersi infondata proprio in ragione del pronunciamento della Corte Cost. da ultimo ricordato.

1.3 Del pari infondata deve essere considerata l’ulteriore censura di irregolare costituzione del collegio giudicante in quanto integrato da un giudice non specializzato del distretto della corte di appello e collocato a rotazione nel collegio nelle materie di protezione internazionale, posto che il giudice integrante il collegio è un magistrato togato appartenente al distretto della corte di appello e per il quale non è dato comprendere il profilo di illegittimità denunciato, potendo in realtà il collegio di corte di appello essere integrato anche da altri magistrati togati appartenenti al distretto e non essendo rilevabile alcuna vizio di costituzione del giudice denunciabile ai sensi dell’art. 158 c.p.c..

Del resto, è affermazione costante nella giurisprudenza di questa Corte quella secondo cui la irregolare costituzione del giudice si determina solo nelle ipotesi in cui vi sia un difetto così grave da rivelare la totale carenza di legittimazione del giudice o dei singoli componenti del collegio, ovvero la loro assoluta inidoneità a far parte di un organo giurisdizionale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 15342 del 12/06/2018).

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c., e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 35bis, n. 9, in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per vizio di motivazione apparente, sempre in relazione al rigetto della protezione sussidiaria.

3.1 Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente.

Le censure così proposte sono in realtà inammissibili.

In ordine al diniego di tutela sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, rileva la Corte che la sentenza impugnata contiene plurime citazioni di fonti di conoscenza internazionali (COI), sulla cui base ha ritenuto, con valutazione in fatto (qui non più censurabile se non nei ristretti limiti del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio qui non dedotto), il Delta State paese non interessato da un conflitto avente le caratteristiche delineate dalla norma in esame, così come interpretata dalla giurisprudenza eurounitaria e nazionale.

Sul punto, giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha anche recentemente precisato che, in tema di protezione internazionale, il conflitto armato interno, tale da comportare minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ricorre in situazione in cui le forze armate governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati antagonisti, o nella quale due o più gruppi armati si contendono tra loro il controllo militare di un dato territorio, purché detto conflitto ascenda ad un grado di violenza indiscriminata talmente intenso ed imperversante da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nella regione di provenienza – tenuto conto dell’impiego di metodi e tattiche di combattimento che incrementano il rischio per i civili, o direttamente mirano ai civili, della diffusione, tra le parti in conflitto, di tali metodi o tattiche, della generalizzazione o, invece, localizzazione del combattimento, del numero di civili uccisi, feriti, sfollati a causa del combattimento correrebbe individualmente, per la sua sola presenza su quel territorio, la minaccia contemplata dalla norma (cfr. Cass. ord. nn 5675 e 5676, pubblicate il 2 marzo 2021).

Le deduzioni difensive del ricorrente, peraltro genericamente formulate, sviluppano le loro censure sulla base di una descrizione della situazione interna del paese di provenienza che non è comunque riconducibile al paradigma applicativo dell’invocata protezione sussidiaria, e cioè l’esistenza di un conflitto interno nei termini sopra delineati.

4. Il quarto mezzo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, 4, vizio di motivazione apparente e nullità della sentenza, in relazione alla domanda di protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6.

5. Il ricorrente propone infine una quinta doglianza con la quale deduce vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, rispetto alla situazione generale di insicurezza della Nigeria e all’omessa consultazione di fonti COI aggiornate.

6. Il sesto motivo declina vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione sempre alla pronuncia sulla domanda di protezione internazionale.

7. Gli ultimi tre motivi – tutti riferiti al diniego dell’invocata protezione umanitaria – possono essere trattati congiuntamente e devono essere dichiarati inammissibili.

7.1 In ordine alle deduzioni difensive declinate sul profilo del “conflitto a bassa intensità”, questa Corte ha già avuto modo di affermare che “Nel regime normativo precedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 (conv. nella L. n. 132 del 2018), se i presupposti necessari al riconoscimento della protezione umanitaria devono essere individuati autonomamente rispetto a quelli previsti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (non essendo tra loro sovrapponibili), i fatti storici posti a fondamento della positiva valutazione della condizione di vulnerabilità ben possono essere gli stessi già allegati per ottenere il riconoscimento delle protezioni maggiori, rientrando, invero, nei poteri di qualificazione giudiziale dei fatti la possibile riconduzione all’una o all’altra forma di protezione degli stessi. Ne consegue che, nel giudizio comparativo da svolgersi ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, può rilevare anche una situazione generalizzata di violazione di diritti umani ovvero di conflitto, ancorché di livello minore rispetto a quella rilevante per la concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, fatti quest’ultimi da valutarsi comparativamente in rapporto all’integrazione del richiedente nel paese di accoglienza” (cfr. Cass. n. 2039/2021). Tuttavia, l’allegazione da parte del richiedente della situazione generale del paese di provenienza dovrà, proiettare – per essere positivamente apprezzata dal giudice del merito nella valutazione comparativa tra integrazione nel paese di accoglienza e la situazione del paese di provenienza – un riflesso individualizzante rispetto alla vita precedente del richiedente protezione, tale da evidenziare le condizioni di vulnerabilità soggettive necessarie per il riconoscimento dell’invocata tutela protettiva umanitaria, non potendosi ritenere pertinenti né rilevanti allegazioni generiche sulla situazione del paese di provenienza del richiedente in ordine alla privazione dei diritti fondamentali ovvero in ordine alla condizione di pericolosità interna che siano scollegate dalla situazione soggettiva dello stesso richiedente. L’assolvimento del predetto onere allegatorio innesca, come necessaria conseguenza, l’obbligo di cooperazione istruttoria del giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 3, per l’approfondimento di quelle condizioni del paese di provenienzà, incidenti sulla situazione di vulnerabilità, allegate dal richiedente protezione (v. Cass. n. 2039/2021, cit. supra).

Orbene, rileva il Collegio che le deduzioni difensive del ricorrente risultano formulate sul punto qui da ultimo in discussione in modo del tutto generico e senza indicare un rischio individualizzante ovvero un rifletto negativo sulla vita del richiedente in caso di rimpatrio.

A ciò deve aggiungersi che le deduzioni difensive del ricorrente sono svolte in fatto ed implicano una rivalutazione di merito della ricorrenza dei presupposti applicativi dell’invocata tutela umanitaria che non è demandabile a questa Corte di legittimità.

Ne discende il complessivo rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2021

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