LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MELONI Marina – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26181/2020 proposto da:
A.E., rappresentato e difeso dall’avv. Chiara Bellini del foro di Vicenza ed elett.te dom.to presso lo studio del difensore in Vicenza, Viale Sant’Agostino n. 134;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno; Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona – Sezione di Vicenza, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domiciliano per legge;
– intimati –
avverso la sentenza n. 5421/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 2/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/05/2021 dal consigliere Dott. EUGENIA SERRAO.
RILEVATO
CHE:
1. La Corte d’Appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Venezia, che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino nigeriano A.E., il quale aveva dichiarato alla Commissione territoriale di essere originario di Ekuku Agbor e di essere fuggito dal Paese di origine per timore delle conseguenze di un incidente stradale nel quale sarebbe rimasto coinvolto e che avrebbe causato la morte di due donne, una delle quali in stato di gravidanza; i parenti delle donne gli avrebbero rivolto minacce di morte, visto il mancato pagamento del risarcimento da loro preteso; in seguito, mentre lavorava alle dipendenze di un taglialegna, la caduta di un ramo avrebbe ucciso un passante, costringendolo a fuggire per evitare le ritorsioni dei familiari.
Il Tribunale aveva ritenuto il narrato non credibile ed aveva escluso la sussistenza di una situazione personale rilevante ai fini della protezione richiesta.
2. La Corte d’Appello ha condiviso il giudizio di non credibilità del richiedente sul presupposto della genericità del racconto e dell’inverosimiglianza delle vicissitudini narrate nel loro susseguirsi; ha escluso che il richiedente possa validamente allegare la fuga per evitare le conseguenze di condotte penalmente rilevanti quando avrebbe potuto trasferirsi in altra zona o regione eventualmente dopo aver denunciato alle autorità locali le minacce ricevute; ha rimarcato la natura privatistica dei fatti narrati; ha analiticamente descritto la situazione socio-politica della Nigeria, indicando le relative fonti di cognizione (C.O.I. aggiornati a novembre 2018); ha ritenuto di confermare il provvedimento del Tribunale anche sul punto inerente alla protezione umanitaria secondo il principio per il quale un adeguato grado di integrazione nel nostro Paese non esclude la comparazione effettiva con la situazione del Paese di origine e con i pericoli correlati al rimpatrio, nella specie esclusi dalla situazione generale del Paese d’origine.
Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’intimato Ministero dell’Interno si è costituito ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
CHE:
3. Va preliminarmente scrutinata la questione, rilevabile d’ufficio, relativa alla tempestività del ricorso per cassazione.
3.1. La sentenza impugnata risulta pubblicata il 2/12/2019 ed il ricorso notificato telematicamente in data 6/10/2020 (cfr. documentazione informatica relativa alla notifica a mezzo PEC prodotta dal ricorrente in allegato al ricorso) risulta tempestivo, tenendo conto dei termini di sospensione feriale e della sospensione dei termini processuali dal 9 marzo all’11 maggio 2020 disposta dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dal D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40, poiché “nelle controversie in materia di protezione internazionale celebrate ratione temporis secondo il rito sommario introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello deve essere proposto nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della decisione, come previsto in via generale dall’art. 327 c.p.c., comma 1, non essendovi disposizioni particolari che riguardino l’impugnazione delle pronunce di gravame all’esito di un procedimento sommario, e non trovando applicazione il disposto dell’art. 702 quater c.p.c., che attiene alla proposizione dell’appello contro le ordinanze di primo grado” (Cass. 14821/2020).
3.2. Il ricorso risulta per tale profilo ammissibile.
4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia cumulativamente la violazione e falsa applicazione delle norme relative alle tre protezioni internazionali previste perché la Corte ha ritenuto insussistenti i presupposti per concedere il diritto al rifugio e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 5, 7 e 14 nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19 e D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett.c-ter in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.
4.1. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per aver ritenuto non credibile il ricorrente in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 nonché violazione del dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma n. 3.
4.2. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione di legge perché la Corte ha violato il principio di non refoulement di cui all’art. 3 CEDU ed all’art. 33 della Convenzione di Ginevra ratificato con L. n. 722 del 1954 in base al quale nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.
5. Il ricorso è inammissibile.
Le censure si risolvono in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., primo 2 comma, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., sez. un., n. 8053/2014). A tal riguardo occorre anzitutto osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. ord. 26921/2017). La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5 non impone tuttavia al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incoerente o incredibile anche perché i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3 sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.
5.1. Nella fattispecie il giudice di merito ha escluso per le ragioni anzidette la attendibilità del racconto, per cui non vi era alcun motivo per riconoscere al ricorrente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria di cui alle prime due lettere del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Si rileva, in proposito, che la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi.
5.2. Con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e lett. b), è necessario invece osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass.20 marzo 2014, n. 6503): il che, nel caso in esame va negato proprio in ragione della mancanza di riscontri quanto a una vicenda personale che conferisca specificità e concretezza a un tale rischio. L’ipotesi di cui alla lett. c) dell’art. 14, che si configura anche in mancanza di un diretto coinvolgimento individuale dello straniero nella situazione di pericolo, è stata, poi, motivatamente esclusa dal giudice di merito, il quale ha adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria officiosa che incombe sul giudice, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, avendo così ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona nei casi previsti dall’art. 14, lett. c) e cioè “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. La Corte di Appello ha verificato che alcuni attacchi terroristici sono concentrati nella zona nord-est della Nigeria, mentre per il resto del Paese si è in presenza di una situazione di criticità di ordine pubblico o di pubblica sicurezza interna, ma non di una situazione di conflitto armato generalizzato. Tale giudizio è supportato dall’indicazione di fonti informative c.d. privilegiate, aggiornate all’epoca della decisione, ai sensi del D.Lgs. n. 24 del 2008, art. 8, comma 3. In particolare, il giudice di merito ha rispettato l’onere di specificare le fonti in concreto utilizzate e il contenuto dell’informazione da esse tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alla parte la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese e della zona di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449 del 2019; Cass. n. 13897 del 2019). In proposito, occorre ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S. C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Sez. 1, n. 26728 del 21/10/2019, Rv.655559). Ove manchi tale specifica allegazione, è precluso a questa Corte procedere ad una revisione della valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito. Solo laddove nel motivo di censura vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il predetto giudice ha deciso siano state effettivamente superate da altre e più aggiornate fonti qualificate, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede. In definitiva, va data continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (Sez.1, n. 4037 del 18/02/2020, Rv.657062).
5.3. In ordine al rigetto della domanda di protezione umanitaria il motivo si rivela inammissibile, in quanto censura l’accertamento di merito compiuto dalla Corte di Appello in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente, valutazione in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede. Non utile peraltro nella specie si mostra il riferimento al principio di non refoulement di cui agli artt. 3 CEDU e 33 Convenzione di Ginevra, atteso che il pericolo per il richiedente di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti nel suo paese, è stato escluso dal giudice di merito.
6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non segue alcuna statuizione sulle spese, in assenza di difese delle parti intimate.
7. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater (Sez. U, 4315/2020).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2021