Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.22924 del 13/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21908/2020 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in Este presso lo studio del suo difensore avv Eva Vigato;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Per il Riconoscimento Della Protezione Internazionale Siracusa Sez Caltanissetta, Ministero Dell’interno *****, Procura Generale Repubblica Corte Cassazione;

– intimato –

avverso la sentenza n. 280/2020 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 22/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

FATTO E DIRITTO

Il Tribunale di Caltanisetta rigettava il ricorso proposto da M.A., cittadino del Pakistan, avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria. Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere aver abbandonato il Pakistan il 2.5.2015 per il timore di essere ucciso dagli esponenti del partito di maggioranza del villaggio di provenienza.

Il Tribunale riteneva scarsamente credibile il racconto offerto dall’istante, avendo, lo stesso, allegato delle circostanze che non risultano logicamente credibili e apparivano contraddittorie ed in ogni caso prive di qualsivoglia riscontro, oltre che carenti di specifici riferimenti da cui desumere un concreto pericolo di persecuzione e rigettava tutte le domande di protezione per carenza dei relativi presupposti.

La Corte con sentenza nr 280/2020 rigettava l’appello, condividendo la valutazione di non credibilità del racconto, già espressa dalla Commissione Territoriale e dal Tribunale di Caltanissetta, in quanto la narrazione era del tutto generica, apodittica, priva di logica e coerenza interna e di riferimenti obiettivi, oltre che inverosimile. Il racconto del richiedente, oltre a essere non credibile, non consentiva il riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria. Avverso tale sentenza il ricorrente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero degli Intero si è costituito formalmente.

Con il primo motivo si contesta la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 in relazione all’art. 132 disp. att. c.p.c., comma 2, n. 4 e all’art. 118 disp. att. c.p.c. – nullità della sentenza per motivazione apparente violazione ex art. 360, comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 1 al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, degli art. 16 Dir nr 2013/327 UE per avere il giudice violato i canoni di interpretazione degli elementi istruttori nonché del principio devolutivo dell’atto di appello.

Si lamenta che la Corte di appello non avrebbe adempiuto al dovere di collaborazione officiosa in spregio ai criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 per carenza di istruttoria, illogicità dei criteri interpretativi e mancato approfondimento del racconto fornito dal richiedente.

Con un secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 1 ed al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 comma 1 e all’art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, degli art. 16 Dir nr 2013/327 UE per avere il giudice omesso di valutare coerentemente la situazione socio-politica del Paese di provenienza.

Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 118 disp. att. c.p.c. – nullità della sentenza per motivazione apparente violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omesso esame di un fatto decisivo, il tutto in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11 e 29, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis per non avere il giudice valutato alla stregua del narrato e della documentazione in atti la vulnerabilità in relazione alle condizioni di vita del ricorrente allegate in giudizio.

– Data la loro stretta connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente; essi sono inammissibili.

Le censure cumulano frammentarie denunce di nullità del provvedimento impugnato, di omesso esame di un fatto decisivo e controverso e una violazione e/o falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Al riguardo questa Corte ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi di fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. n. 7628 del 2020; Cass. n. 11222 del 2018; Cass. n. 27458 del 2017); o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro.

Nel caso in esame, il ricorrente sottopone all’esame di questa Corte una serie di aspetti diversi, alcuni prospettati in diritto, altri in fatto, alcuni riguardanti la protezione sussidiaria, altri la protezione umanitaria con riferimento a profili differenti; con la inevitabile conseguenza di riversare nel ricorso l’intero contenuto delle fasi di merito, devolvendo al sindacato della Corte di cassazione l’individuazione degli eventuali vizi invalidanti la decisione impugnata.

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa, mira (del tutto inevitabilmente ed impropriamente) a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inevitabilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 26874 del 2018).

Sotto altro profilo, poi, va rilevato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 26110 del 2016; Cass. n. 195 del 2016). Sicché, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Quanto poi alle censure riferite alla violazione del parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (peraltro erroneamente evocato con riferimento alla asserita omissione del procedimento ermeneutico; ovvero al difetto di motivazione), costituisce principio consolidato che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017). Viceversa, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non v’e’ alcuna idonea e specifica indicazione.

Peraltro, è principio altrettanto consolidato che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre” non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).

Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie, che appare congrua e coerentemente supportata) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire al rapporto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

Va dunque sottolineato come il controllo affidato a questa Corte non equivalga alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche da Cass. n. 25332 del 2014). Sicché, in ultima analisi, tale motivo si connoterebbe quale riproposizione, notoriamente inammissibile in sede di legittimità, di dogllianze di merito che attengono all’apprezzamento motivatamente svolto dalla Corte di merito (Cass. n. 24817 del 2018).

Viceversa,il ricorrente proietta il giudizio di legittimità verso un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e le vicende processuali, quanto gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi, e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).

Ma compito della Cassazione non e’, infatti, quello di condividere o non condividere la ricostruzione degli accadimenti contenuti nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (Cass. n. 3267 del 2008); dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che appunto, nel caso di specie, è dato riscontrare (Cass. n. 9275 del 2018).

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna determinazione in punto spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, intimato e che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; nulla per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2021

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