Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.22932 del 16/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26064-2015 proposto da:

L.S., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO GRISTINA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 239/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 16/04/2015 R.G.N. 368/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/03/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza in data 16 aprile 2015 n. 239 la Corte d’Appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da L.S. nei confronti del MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (in prosieguo: il MINISTERO) per il risarcimento dei danni subiti per la ritardata iscrizione nell’elenco degli invalidi con diritto al collocamento obbligatorio, avvenuta soltanto a seguito di azione giudiziaria avverso il verbale della Commissione medica competente, che non aveva riconosciuto il requisito sanitario.

2. La Corte territoriale osservava che la dedotta responsabilità del MINISTERO era di natura extracontrattuale da attività amministrativa.

3. L’accertamento del fatto che la L. avesse i requisiti sanitari per l’iscrizione alle liste del collocamento obbligatorio – avvenuto in via giudiziaria ed incontestabile – non bastava a fondare la responsabilità del MINISTERO ai sensi dell’art. 2043 c.c., occorrendo anche l’accertamento dell’elemento soggettivo.

4. Nella fattispecie di causa la L. non aveva mai allegato negligenze o significative carenze dell’originario accertamento sanitario, del quale, peraltro, era omessa persino la allegazione documentale.

5. Mancando l’elemento soggettivo della responsabilità extracontrattuale, era irrilevante l’accertamento del danno.

6. Comunque, per completezza argomentativa, la Corte territoriale osservava che l’appellante nulla aveva dedotto quanto al rigetto delle generiche allegazioni del danno non patrimoniale; quanto al danno patrimoniale per la perdita di incarichi di insegnamento, la circostanza che la L. aveva ottenuto incarichi di insegnamento temporanei anche nei due anni precedenti alla iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio affievoliva la sua pretesa di correlare la assunzione in ruolo alla avvenuta iscrizione nell’elenco degli invalidi.

7. Inoltre la L. neppure aveva documentato la sua posizione nella graduatoria per le supplenze.

8. Erano del tutto generiche le allegazioni svolte circa la collocabilità presso qualunque altra pubblica amministrazione o soggetto privato.

9. Le spese del primo grado erano state poste giustamente a carico della L., parte soccombente.

10. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza L.S., articolato in quattro motivi, cui ha resistito con controricorso il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 1226 c.c., censurando la sentenza impugnata per non avere effettuato una liquidazione equitativa del danno.

2. Si deduce che la mancata iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio nell’anno 1998 aveva determinato la perdita della possibilità di essere assunta dallo Stato, da altre amministrazioni pubbliche o da soggetti privati e di avere una progressione in carriere diversa da quella poi avvenuta, invocandosi il notorio, la prova in re ipsa ed i titoli di studio conseguiti.

3. Il motivo è inammissibile; esso coglie una pronuncia dichiaratamente resa dalla Corte territoriale ad abundantiam, “per completezza argomentativa”.

4. La ratio decidendi della sentenza impugnata e’, invece, quella della mancanza di allegazione e di prova dell’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano ovvero della colpa della pubblica amministrazione per il ritardo nella iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio; l’esame della censura non potrebbe, dunque, condurre alla cassazione della sentenza, con conseguente difetto di interesse della parte ricorrente al suo esame.

5.Con il secondo mezzo si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla richiesta di “ctu per determinare le somme spettanti alla ricorrente per mancato guadagno, diversa progressione di carriera, perdita di chances e per tutte le voci di danno richieste” e sulla domanda di esercizio dei poteri istruttori d’ufficio “al fine di acquisire dagli uffici competenti la documentazione relativa alle graduatorie provinciali degli invalidi civili nelle province di Firenze e di Livorno per gli anni dal 1998 al 2004, nonché quelle, per lo stesso periodo e per le stesse province, dei provveditorati agli studi e degli altri enti pubblici, sia statali che regionali, provinciali o comunali, nonché degli Istituti di credito e dei privati”.

6. Il motivo è inammissibile.

7. Anche in questo caso la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata (la mancanza dell’elemento soggettivo della responsabilità aquiliana).

8. Ne’ può mancarsi di ribadire che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il mancato esame di una richiesta istruttoria non integra il vizio di omessa pronuncia, ravvisabile soltanto in relazione a domande ed eccezioni attinenti al merito, potendo dare luogo unicamente ad un vizio di motivazione, ove ne siano prospettati ritualmente gli estremi (per tutte Cassazione civile, sez. VI, 05/07/2016, n. 13716 e giurisprudenza ivi citata).

9. Con la terza critica la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 421 c.p.c. per il mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio, sollecitati con la richiesta esposta nel secondo motivo.

10. Il motivo è inammissibile, parimenti afferendo alla statuizione, resa ad abundantiam, sulla mancanza di prova del danno.

11. Con la quarta censura si impugna la sentenza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione al rigetto della domanda di riforma della condanna alle spese resa dal Tribunale, per non avere operato la compensazione delle spese; si deduce la contraddittorietà del decisum rispetto alla compensazione parziale delle spese disposta per il grado di appello (in ragione della reciproca soccombenza).

12. La censura è inammissibile; la mancata compensazione delle spese del primo grado viene contestata sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità in tema di spese processuali, solo la compensazione dev’essere sorretta da motivazione, e non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si sia uniformato, atteso che il vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove ipotizzato, sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e, perciò, non costituenti punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella assunta (per tutte: Cassazione civile sez. II, 07/11/2017 e giurisprudenza ivi citata).

13. Il ricorso deve essere complessivamente dichiarato inammissibile.

14. Le spese di questo grado, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

15. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.000 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 11 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2021

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