LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23487-2019 proposto da:
K.U.M., rappresentato e difeso dall’avv. DANIELA VIGLIOTTI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, IN PERSONA DEL MINISTRO PRO-TEMPORE *****;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 08/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/06/2020 dal Consigliere e Presidente Dott.ssa MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.
FATTI DI CAUSA
1.- Il Tribunale di Torino ha rigettato il ricorso proposto da K.U.M., cittadino della *****, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva respinto la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale nelle diverse forme. Il ricorrente aveva rappresentato che il padre era un influente capo della setta degli *****. Dopo la sua morte, costoro gli avevano chiesto di prenderne il posto. Al suo rifiuto lo avevano rapito e torturato in una boscaglia. Egli, rompendo una lampada, aveva provocato un incendio, e, nella confusione che ne era seguita, era riuscito a fuggire, recandosi dapprima in Guinea, quindi, assieme ad un amico incontrato colà, in Libia, dove era stato tenuto in prigionia per tre mesi, riuscendo infine a fuggire ed imbarcarsi per l’Italia. Aveva affermato di temere, in caso di rimpatrio, per la propria vita, in quanto i membri della predetta società segreta avrebbero potuto ucciderlo ovvero farlo imprigionare a causa dell’incendio da lui provocato.
Il Tribunale ha ritenuto non credibile la narrazione del richiedente – tra l’altro contraddittoria rispetto a quanto dichiarato nel modello C3, in cui aveva affermato di aver lasciato il proprio Paese di origine per motivi familiari – tenuto conto che la descrizione operata dallo stesso appariva in contrasto con le COI afferenti alla setta degli *****, quanto ai metodi di reclutamento, alle attività ed agli scopi.
Ciò posto, il giudice di merito, quanto alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, ha escluso che vi fosse una evidenza credibile di una effettiva specifica persecuzione patita dal ricorrente riconducibile alle previsioni di legge.
Quanto alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, il Tribunale ha rilevato che, alla luce della mancanza di credibilità della vicenda personale esposta, non sussiste il rischio che, in caso di rimpatrio, il richiedente possa essere condannato a morte o subire torture o trattamenti disumani. Ne’ – ha osservato il giudice di merito – la ***** è attraversata da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno ed internazionale, in quanto, come emerge da fonti qualificate, la ricostruzione del Paese dopo la guerra civile sta procedendo pur tra le difficoltà di ordine economico e sociale, ed in presenza di microcriminalità diffusa, e pur non potendosi escludere atti di violenza durante le manifestazioni.
Anche con riferimento alla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale ha rilevato che il ricorrente non aveva allegato alcun elemento idoneo a fondare il riconoscimento del relativo diritto, e che dalla valutazione comparativa tra la situazione dello stesso in Italia e quella vissuta prima della partenza e quella in cui si troverebbe in caso di rimpatrio non risulta una effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali. Ha escluso, peraltro, la integrazione del richiedente nel territorio italiano.
3.-Per la cassazione di tale decreto ricorre K.U.M. sulla base di un unico motivo. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nel giudizio innanzi alla Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 9, per avere il Tribunale di Trento “valutato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria in base ad informazioni soltanto generiche e parziali della situazione interna del Paese di origine del ricorrente, senza considerazione completa delle prove disponibili e senza corretto esercizio dei poterei officiosi”.
Avrebbe errato il Tribunale nel non riconoscere in favore del ricorrente il diritto alla protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), assumendo, sulla sola base delle risultanze del sito Internet richiamato nel decreto, senza esercitare i propri doveri poteri officiosi di indagine, che la situazione del Paese di provenienza dello stesso ricorrente non sia tale da integrare gli estremi di un conflitto armato interno od internazionale. In tal modo il giudice di merito non avrebbe adempiuto i propri oneri di cooperazione istruttoria.
2.- Il motivo è infondato.
2.1. – Questa Corte ha più volte chiarito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (da ultimo: Cass., ord. n. 8748 del 2020).
Quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) (v., per tutte, Cass., 17069 del 2018).
Al fine di ritenere adempiuto l’onere di cooperazione da parte del giudice, questi deve rifuggire da formule generiche e stereotipate, e deve specificare soprattutto sulla base di quali fonti abbia provveduto a svolgere l’accertamento richiesto (cfr., tra le tante, Cass., 11312 del 2019).
Il riferimento operato dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (cfr., tra le altre, Cass., 13449 del 2019).
2.2. – Nella specie, l’accertamento può ritenersi adeguatamente svolto, non essendosi il Tribunale limitato al generico riferimento a “fonti internazionali”, senza migliore specificazione, ma avendo esso dato atto con corredo di riferimenti alle informazioni acquisite dalle COI disponibili (*****), secondo le quali “anche dopo la partenza delle truppe della missione di pace ONU nel dicembre 2005 la situazione è rimasta tranquilla. La ricostruzione del Paese dopo la guerra civile sta procedendo. Tuttavia, la situazione economica e sociale permane difficile”. Il Tribunale non ha escluso la possibilità di atti di violenza durante le manifestazioni, come di attentati terroristici, analogamente – ha aggiunto – al rischio esistente al riguardo in tutto il mondo, così come ha dato atto della diffusione di episodi di microcriminalità.
In definitiva, il giudice di merito ha ragionevolmente ritenuto insussistenti i presupposti di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), per il riconoscimento della protezione sussidiaria.
3. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non v’e’ luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
PQM
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 23 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2021