Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23003 del 17/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17268/201 R.G. proposto da:

S.K., rappresentato e difeso dall’Avv. Stefania Santilli, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano depositata il 28 novembre 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 aprile 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 28 novembre 2018, la Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame interposto da S.K., cittadino del *****, avverso l’ordinanza emessa il 17 luglio 2017 dal Tribunale di Milano, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dall’appellante.

Premesso che dinanzi alla Commissione territoriale l’appellante aveva riferito di essersi allontanato dal Paese di origine in cerca di cibo e lavoro, a causa dei pessimi rapporti con la moglie di un uomo con cui era cresciuto a seguito della morte dei genitori, la Corte ha ritenuto non credibili le predette dichiarazioni, in quanto lacunose e contraddittorie, nonché contrastanti con quelle rese nel giudizio di primo grado, osservando comunque che dalle stesse non emergevano elementi rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, dal momento che la domanda risultava fondata su ragioni esclusivamente economiche. Ha escluso inoltre la sussistenza dei presupposti necessari per il riconoscimento della protezione sussidiaria, rilevando che l’instabilità politica e le violazioni dei diritti fondamentali attestate dalle fonti internazionali in riferimento alla situazione del ***** non risultavano sufficienti a dimostrare l’esposizione dell’appellante al rischio di sottoposizione a tortura o a un trattamento inumano o degradante, ed aggiungendo che la situazione di conflitto interno in atto in una parte del territorio di quel Paese non si estendeva alla regione di *****, dalla quale proveniva l’appellante. Ha ritenuto infine insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, in ragione della mancata dimostrazione del raggiungimento da parte dell’appellante di un adeguato grado d’integrazione in Italia, osservando che a tal fine non risultava sufficiente la frequentazione di scuole di perfezionamento della lingua italiana, ed aggiungendo che l’inattendibilità delle dichiarazioni da lui rese impediva di ritenere che nel Paese di origine egli potesse soffrire la perdita dei diritti umani.

2. Avverso la predetta sentenza il S. ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi. Il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, lett. c), osservando che, nell’escludere l’attendibilità delle dichiarazioni da lui rese, la sentenza impugnata ha conferito rilievo a contraddizioni riguardanti aspetti secondari della narrazione ed alla mancanza di riscontri oggettivi, senza tener conto delle sue condizioni sociali, della sua età e della mancanza d’istruzione, e senza acquisire informazioni in ordine al contesto socio-politico del suo Paese di origine, in correlazione con i motivi di persecuzione o i rischi da lui dedotti.

1.1. Il motivo è inammissibile.

In tema di protezione internazionale, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che il giudizio in ordine alla credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente a sostegno della domanda, da effettuarsi in base ai parametri meramente indicativi previsti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per inesistenza materiale, mera apparenza, perplessità o grave contraddittorietà della motivazione (cfr. Cass., Sez. I, 2/07/2020, n. 13578; 11/03/2020, n. 6897; Cass., Sez. III, 19/06/2020, n. 11925). Tali vizi nella specie non sono stati neppure dedotti, essendosi il ricorrente limitato a far valere la violazione di legge, in relazione all’inosservanza dei criteri che presiedono alla predetta valutazione, in particolare di quello che impone di tener conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, senza peraltro confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, la quale non si è limitata a rilevare la lacunosità e la contraddittorietà della vicenda narrata, ma ha evidenziato la diversità delle versioni fornite rispettivamente nel corso del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale e nel giudizio di primo grado. Nel lamentare la mancata acquisizione d’informazioni in ordine alla situazione esistente nel Paese di origine, il ricorrente non ha poi considerato che il giudizio negativo in ordine alla credibilità soggettiva del richiedente, espresso in conformità dei criteri stabiliti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, risulta di per sé sufficiente a dispensare il giudice dal compimento di approfondimenti officiosi in ordine alla situazione del Paese di origine, ai fini dell’accertamento delle fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7 e art. 14, lett. a) e b), non trovando applicazione in tal caso il dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, il quale non opera laddove, come nella specie, sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quanto meno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. tra le altre, Cass., Sez. IL 11/08/ 2020, n. 16925; Cass., Sez. I, 12/06/2019, n. 15794; Cass., Sez. VI, 27/06/ 2018, n. 16925).

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 6, 14 e 17, del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 27 e degli artt. 2 e 3 della CEDU, nonché l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, sostenendo che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata si è limitata ad accennare alla situazione generale del suo Paese di origine, risultante dalle fonti internazionali richiamate, senza procedere ad una valutazione in concreto della sua situazione personale e senza indagare in ordine all’effettiva capacità delle autorità statali di assicurare protezione ai cittadini e garantire il controllo del territorio.

2.1. Il motivo è infondato.

Come si è detto, la ritenuta inattendibilità della vicenda personale allegata dal richiedente risulta di per sé sufficiente ai fini dell’esclusione della configurabilità delle fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), indipendentemente da qualsiasi indagine in ordine alla situazione generale del Paese di origine, ed in particolare, ove il responsabile del danno grave prospettato a sostegno della domanda sia stato individuato in un soggetto non statuale, alla capacità delle autorità statali di garantire ai cittadini un’adeguata tutela. Nelle predette ipotesi, infatti, pur non occorrendo la prova dell’esposizione ad una persecuzione personale e diretta, quale quella richiesta ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, è pur sempre necessario che lo straniero dimostri, con un certo grado di individualizzazione, che, ove la protezione gli fosse negata, egli correrebbe il rischio di essere sottoposto alla pena di morte o ad un’altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, per ragioni riconducibili alla vicenda personale da lui rappresentata (cfr. Cass., Sez. II, 14/08/2020, n. 17185; Cass., Sez. VI, 20/06/2018, n. 16275; 20/03/2014, n. 6503). Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto che, una volta esclusa la credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, l’esposizione di quest’ultimo al rischio di tortura o di un trattamento inumano o degradante non potesse essere desunta dalla mera esistenza di una situazione generale d’instabilità politica nel suo Paese di origine o dalle gravi violazioni dei diritti fondamentali ivi perpetrate, il cui collegamento con la sua situazione personale sarebbe rimasto comunque indimostrato.

La necessità di uno specifico accertamento in ordine alla situazione personale del ricorrente ed alla capacità delle autorità statali di garantire il controllo del territorio dev’essere invece esclusa in riferimento alla fattispecie di cui alla lett. c) dell’art. 14 cit.: ai fini della stessa non occorre infatti il coinvolgimento diretto del richiedente nel conflitto armato in atto nel suo Paese di origine, risultando sufficiente la prova della sua provenienza dall’area interessata dagli scontri e dell’avvenuto raggiungimento da parte di questi ultimi di un grado d’intensità e violenza tale da mettere in pericolo la vita o l’incolumità personale di chiunque si trovi in quell’area, per il solo fatto di risiedervi ed indipendentemente dall’appartenenza ad uno dei gruppi belligeranti (cfr. Cass., Sez. III, 3/02/2021, n. 2387; Cass., Sez. I, 15/09/2020, n. 19224; 6/ 07/2020, n. 13940); poiché, inoltre, la sussistenza di tale situazione presuppone che il controllo militare del territorio sia sfuggito allo Stato, costituendo oggetto di contesa tra le forze governative ed uno o più gruppi armati antagonisti, ovvero tra due o più gruppi armati facenti capo a soggetti od organizzazioni diversi dal Governo (cfr. Cass., Sez. I, 2/03/2021, n. 5675; Cass., Sez. VI, 8/07/2019, n. 18306; 6/04/2019, n. 9090), l’esclusione della configurabilità di un conflitto armato, sulla base d’informazioni fornite da fonti autorevoli ed aggiornate, implica logicamente che il controllo del territorio sia saldamente in mano dello Stato o di un altro soggetto od organizzazione che sia in grado di garantire un’adeguata protezione a coloro che vi risiedono, rendendo pertanto superflua l’acquisizione di ulteriori informazioni al riguardo.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, nonché l’apparenza della motivazione e l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, rilevando che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata si è limitata a ribadire l’inattendibilità delle dichiarazioni da lui rese e a valutare il grado d’integrazione da lui raggiunto in Italia, senza tener conto del conflitto armato in atto nel ***** e della situazione di grave difficoltà socio-politica ed economica esistente nel Paese, che limita l’accesso della maggior parte della popolazione ai più elementari diritti umani, quali la salute e l’alimentazione.

3.1. Il motivo è infondato.

Correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che, una volta esclusa l’attendibilità della vicenda personale riferita a sostegno delle domande di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, la mancata allegazione da parte del ricorrente di fatti idonei ad evidenziare una particolare situazione di vulnerabilità consentisse di escludere anche la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria. Il riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, pur postulando una condizione di vulnerabilità personale, la cui configurabilità deve costituire oggetto di una valutazione autonoma rispetto a quella dei presupposti richiesti per l’applicazione delle altre forme di protezione, non richiede infatti specifici approfondimenti istruttori da parte del giudice di merito allorquando, come nella specie, quest’ultimo abbia già escluso la credibilità della vicenda personale allegata dal richiedente, e non siano state fatte valere ragioni di vulnerabilità diverse ed ulteriori rispetto a quelle dedotte a sostegno della domanda di riconoscimento delle forme di protezione maggiori (cfr. Cass., Sez. I, 24/12/2020, n. 29624; Cass., Sez. I, 7/08/2019, nn. 21123 e 21129). Tali considerazioni possono essere estese anche alla configurabilità di un conflitto armato, la cui sussistenza nella regione di provenienza del ricorrente, già esclusa dalla sentenza impugnata ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, non richiedeva una nuova valutazione ai fini del diniego di quella umanitaria. Quanto infine all’omessa valutazione della situazione generale d’insicurezza ed instabilità politico-sociale del *****, è appena il caso di richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il riconoscimento della protezione umanitaria non può trovare giustificazione nel mero accertamento di un contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani, postulando invece un raffronto tra la situazione in cui il richiedente versava prima di allontanarsi dal Paese di origine, ed alla quale si troverebbe nuovamente esposto in caso di rimpatrio, ed il livello d’integrazione economico-sociale da lui raggiunto in Italia, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare a privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale: diversamente, si prenderebbe infatti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il paradigma normativo di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, (cfr. Cass., Sez. Un., 13/ 11/2019, n. 29459; Cass., Sez. I, 14/08/2020, n. 17130; Cass., Sez. VI, 28/06/2018, n. 17072).

4. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

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