Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23009 del 17/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10512/2020 proposto da:

O.K., rappresentato e difeso dall’avvocato Verlato Davide, giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso l’avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 24/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 02/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/04/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 24/2020 depositata il 2-1-2020, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da O.K., cittadino della ***** (*****), avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese per timore di essere ucciso dal padre di una ragazza con cui aveva avuto una relazione sentimentale e che era deceduta nel tentativo di procurarsi un aborto, ritenendo il padre della ragazza che il richiedente fosse responsabile dell’accaduto. La Corte territoriale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione della *****, descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: (i) con i motivi primo e secondo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione delle norme in tema di onere della prova, nonché del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e art. 14, lett. c) e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, lamentando la violazione del dovere istruttorio ufficioso, per non avere la Corte d’appello acquisito informazioni sulla situazione generale del suo Paese, erroneamente attribuendo rilievo alla ritenuta inattendibilità della vicenda personale narrata, senza considerare le oggettive criticità in tema di tutela dei diritti umani e l’inst3bilita od insicurezza del Paese stesso, e per avere la Corte di merito violato il principio dell’onere probatorio attenuato a favore del ricorrente, ponendo a suo carico l’onere di allegazione in via di fatto esclusiva; (ii) con il terzo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione al diniego della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, nonché la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, nonché la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3 lett. a) e c) e art. 14, lett. b) e lett. c), D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, e art. 8 CEDU, per avere la Corte territoriale negato la protezione sussidiaria e umanitaria, senza effettuare istruttoria ufficiosa e senza considerare la sua situazione di vulnerabilità, da valutarsi a prescindere dalla effettiva credibilità della vicenda personale, la sua positiva integrazione in Italia, la situazione alquanto deficitaria nel suo Paese in ordine alla tutela dei diritti umani e il rischio di persecuzione in caso di rimpatrio.

2. I tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

2.1. Le censure difettano di specificità e non si confrontano con il decisum. Il ricorrente, nel dolersi del mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi, non svolge argomentazioni dirette specificamente a confutare le ragioni della decisione. La Corte di merito ha ritenuto inammissibile l’appello in punto giudizio di credibilità (pag.7 sentenza impugnata), perché i motivi non esprimevano una reale critica al giudizio di credibilità, e nel ricorso non è svolta specifica censura in ordine alla suddetta statuizione. In base all’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, una volta accertata dai Giudici di merito l’inattendibilità della vicenda dedotta come ragione causativa del rischio di danno grave ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), non vi è ragione di attivare il dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa, neppure in ordine alla protezione delle Autorità statali (tra le tante Cass. n. 3340/2019 e Cass. n. 27336/2018). Inoltre, contrariamente a quanto assume il ricorrente, secondo l’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, il richiedente ha l’onere di allegare in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto al rifugio o alla protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b), atteso che l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione ma esclusivamente su quello della prova (Cass. n. 17185/2020 e n. 10286/2020).

2.2. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), occorre premettere che il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c) medesimo decreto, poiché in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purché egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione (Cass. n. 10286/2020).

Ciò posto, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale, diretta eposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018). Nel caso di specie la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed indicando plurime fonti di conoscenza (da pag. 13 a pag. 17 della sentenza impugnata), ha diffusamente descritto ed analizzato la situazione della ***** ed ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata. Il ricorrente non precisa di avere indicato altre fonti nel giudizio di merito (cfr. Cass. n. 29056/2019) e non si confronta con le argomentazioni di cui alla sentenza impugnata, limitandosi a denunciare genericamente il mancato esercizio del potere istruttorio ufficioso e a dedurre la situazione di insicurezza ed instabilità diffusa del Paese.

2.3. Circa la domanda di protezione umanitaria, occorre precisare, con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis, che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge e motivazionale, afferma di essere soggetto vulnerabile e di essere integrato in Italia, senza dedurre di aver allegato nei giudizi di merito elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019). In particolare il ricorrente non precisa sulla base di quali elementi concreti, allegati nel giudizio di merito, sia configurabile la sua dedotta integrazione nel territorio italiano, a fronte dell’affermazione della Corte di merito secondo cui il grado d’integrazione neppure era stato allegato (pag. n. 20 della sentenza imugnata), ma si limita a svolgere astratte considerazioni sulle violazioni dei diritti umani nel suo Paese e a richiamare il dettato dell’art. 8 CEDU.

3. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

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