Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23012 del 17/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12453/2020 proposto da:

A.D., rappresentato e difeso dall’avvocato Verlato Davide, giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso l’avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 5229/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/04/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 5229/2019 depositata il 21-11-2019, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da A.D., cittadino della ***** – ***** -, avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese a causa delle difficoltà economiche in cui si era trovato dopo la morte del padre e delle minacce ricevute dallo zio paterno, che era un uomo potente e voleva appropriarsi di un terreno appartenente al padre del ricorrente. La Corte territoriale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione della ***** e dell'*****, descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione delle norme in tema di onere della prova, nonché del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27, lamentando la violazione del dovere istruttorio ufficioso, per non avere la Corte d’appello acquisito informazioni sulla situazione generale del suo Paese, erroneamente attribuendo rilievo alla ritenuta inattendibilità della vicenda personale narrata, senza considerare le oggettive criticità in tema di tutela dei diritti umani e l’instabilità ed insicurezza del Paese stesso, e per avere la Corte di merito violato il principio dell’onere probatorio attenuato a favore del ricorrente; (ii) con il secondo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione al diniego della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, nonché la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, nonché la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. a) e c) e art. 14, lett. b) e lett. c), D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e art. 8 CEDU, per avere la Corte territoriale negato la protezione sussidiaria e umanitaria, senza effettuare istruttoria ufficiosa e senza considerare la sua situazione di vulnerabilità, da valutarsi a prescindere dalla effettiva credibilità della vicenda personale, la sua positiva integrazione e l’unità familiare sopravvenuta in Italia, la situazione alquanto deficitaria nel suo Paese in ordine alla tutela dei diritti umani e il rischio di persecuzione in caso di rimpatrio.

2. Il primo motivo è inammissibile.

2.1. Le censure si risolvono in una richiesta di rivalutazione del merito, difettano di specificità e non si confrontano con il decisum.

Il ricorrente, nel dolersi del mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi e nel sollecitare, in buona sostanza, una rivisitazione dei fatti, critica in modo generico il giudizio di non credibilità, motivatamente espresso, in applicazione dei parametri di legge, dalla Corte di merito (pag. n. 5 e 6 sentenza impugnata), che ha esaminato i fatti allegati rilevando genericità ed incongruenze del racconto. In base all’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, una volta accertata dai Giudici di merito l’inattendibilità della vicenda dedotta come ragione causativa del rischio di danno grave ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), non vi è ragione di attivare il dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa, neppure in ordine alla protezione delle Autorità statali (tra le tante Cass. n. 3340/2019 e Cass. n. 27336/2018). Inoltre, contrariamente a quanto assume il ricorrente, secondo l’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, il richiedente ha l’onere di allegare in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto al rifugio o alla protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14 lett. a) e b), atteso che l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione ma esclusivamente su quello della prova. (Cass. n. 17185/2020 e n. 10286/2020).

2.2. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), occorre premettere che il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c) medesimo decreto, poiché in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purché egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione (Cass. n. 10286/2020).

Ciò posto, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018). Nel caso di specie la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed indicando plurime fonti di conoscenza (da pag. 9 a pag. 18 della sentenza impugnata), ha diffusamente descritto ed analizzato la situazione della ***** e dell'***** ed ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata. Il ricorrente richiama diffusamente pronunce di merito e fonti anteriori a quelle indicate nella sentenza impugnata (pag 8 ricorso), senza peraltro precisare di averle indicate nel giudizio d’appello (cfr. Cass. n. 29056/2019), e non si confronta con le specifiche argomentazioni di cui alla sentenza impugnata, limitandosi a denunciare genericamente il mancato esercizio del potere istruttorio ufficioso e a dedurre la situazione di insicurezza ed instabilità diffusa del Paese.

2.3. Circa la domanda di protezione umanitaria, occorre precisare, con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis, che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge e motivazionale, si limita a svolgere astratte considerazioni sulle violazioni dei diritti umani nel suo Paese e a richiamare il dettato dell’art. 8 CEDU, allega genericamente di essere soggetto vulnerabile e di essere integrato in Italia, invocando, altresì, la tutela dell’unità familiare sopraggiunta o sopravvenuta in Italia, ancora una volta senza specificamente confrontarsi con il decisum. La Corte di merito infatti, ha dato conto del suo percorso destinato all’inserimento lavorativo, escludendone la decisiva rilevanza nella comparazione con la situazione nel Paese di origine (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata), nonché ha precisato che il ricorrente non aveva dimostrato il legame familiare dedotto (pag. 22 sentenza) e, in relazione a dette affermazioni, non sono espresse specifiche censure.

3. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

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