LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17447/2020 proposto da:
M.A.R., rappresentato e difeso dall’avvocato Verlato Davide, giusta procura allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 977/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 26/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/04/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 977/2020 depositata il 26-3-2020, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da M.A.R., alias M.A.R., cittadino del *****, avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere di religione ***** e di essere fuggito dal suo Paese a causa delle minacce ricevute dagli abitanti del suo villaggio, che volevano costringerlo a prendere il posto del suo defunto padre, capo e sacerdote del villaggio e praticante culti animisti. La Corte territoriale ha ritenuto ha ritenuto non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione del *****, descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.
3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 342 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto inammissibile il suo atto d’appello nella parte relativa alla credibilità della vicenda personale allegata, mentre l’onere di specificità risultava assolto, come emergeva dalla stessa sentenza impugnata che, sub punti 2.1, 2.2, 2.3 e 2.4, elencava in modo analitico le censure sollevate in ordine alla ricostruzione del fatto operata dal Tribunale; (ii) con il secondo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l violazione di norme di diritto e precisamente D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27 in combinazione con gli artt. 115 e 116 c.p.c., lamentando la violazione del dovere istruttorio ufficioso, per non avere la Corte d’appello acquisito informazioni sui riti o culti animisti praticati in ***** e sulla situazione generale del suo Paese, erroneamente attribuendo rilievo alla ritenuta inattendibilità della vicenda personale narrata, senza considerare le oggettive criticità in tema di tutela dei diritti umani e l’instabilità ed insicurezza del Paese stesso, e per avere la Corte di merito violato il principio dell’onere probatorio attenuato a favore del ricorrente; (ii) con il terzo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione al diniego della protezione umanitaria, nonché la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, nonché la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. a) e c) e art. 14, lett. b) e lett. c), D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, e art. 8 CEDU, per avere la Corte territoriale negato la protezione umanitaria, senza effettuare istruttoria ufficiosa e senza considerare la sua situazione di vulnerabilità, da valutarsi a prescindere dalla effettiva credibilità della vicenda personale, la sua positiva integrazione in Italia e la sua giovane età quanto nel 2014, ancora minorenne, aveva lasciato il suo Paese, che presenta una situazione alquanto deficitaria in ordine alla tutela dei diritti umani e dei diritti delle minoranze.
2. Il primo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
2.1. Il ricorrente, nel censurare la statuizione di inammissibilità in punto giudizio di credibilità, non riporta nel ricorso i corrispondenti motivi di appello, ma si limita a sostenere che risulta dalla stessa sentenza impugnata, sub punti 2.12, 2.2, 2.3 e 2.4, l’analicità censure sollevate in ordine alla ricostruzione del fatto operata dal Tribunale, il che non è affatto (cfr. pag.3 della sentenza impugnata), non essendo in alcun modo desumibile da quell’elencazione quale fosse la critica svolta dall’attuale ricorrente nel giudizio d’appello (sul difetto di autosufficienza tra le tante Cass. n. 29495/2020).
3. Anche i motivi secondo e terzo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili, in quanto le censure difettano di specificità, sollecitano, in realtà, una rivisitazione del merito e non si confrontano con il decisum.
Il ricorrente, nel dolersi del mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi, non svolge argomentazioni dirette specificamente a confutare le ragioni della decisione e critica in modo generico il giudizio di non credibilità, che in ogni caso e motivatamente è stato espresso dalla Corte di merito (pag. n. 4 e 5 sentenza impugnata), mediante esame dei fatti allegati e rilievo di genericità e più incongruenze del racconto. In base all’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, una volta accertata dai Giudici di merito l’inattendibilità della vicenda dedotta come ragione causativa del rischio di danno grave ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), non vi è ragione di attivare il dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa, neppure in ordine alla protezione delle Autorità statali (tra le tante Cass. n. 3340/2019 e Cass. n. 27336/2018). Inoltre, contrariamente a quanto assume il ricorrente, secondo l’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, il richiedente ha l’onere di allegare in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto al rifugio o alla protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b), atteso che l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione ma esclusivamente su quello della prova (Cass. n. 17185/2020 e n. 10286/2020).
2.2. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), occorre premettere che il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c) medesimo decreto, poiché in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purché egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione (Cass. n. 10286/2020). Ciò posto, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018). Nel caso di specie la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed indicando plurime fonti di conoscenza (pag. 7 e 8 della sentenza impugnata), ha descritto ed analizzato la situazione del *****, escludendo l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata. Il ricorrente, nell’illustrazione del secondo motivo, non indica altre fonti, né precisa di averle indicate nei giudizi di merito (cfr. Cass. N. 29056/2019), limitandosi a denunciare genericamente il mancato esercizio del potere istruttorio ufficioso e a dedurre la situazione di insicurezza ed instabilità diffusa del Paese.
2.3. Circa la domanda di protezione umanitaria, occorre precisare, con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis, che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).
Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge e motivazionale, si limita a svolgere astratte considerazioni sulle violazioni dei diritti umani nel suo Paese e a richiamare il dettato dell’art. 8 CEDU, afferma genericamente di essere soggetto vulnerabile e di essere integrato in Italia, ancora una volta senza specificamente confrontarsi con il decisum. La Corte di merito, infatti, ha dato conto del suo percorso destinato all’inserimento lavorativo, escludendone la decisiva rilevanza nella comparazione con la situazione nel Paese di origine (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata), ribadendo, correttamente, la necessità di effettuare un bilanciamento in concreto, e, in relazione a dette affermazioni, non sono espresse specifiche censure. La situazione del Paese di origine prospettata in termini generali ed astratti, come nel caso di specie, è di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).
3. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 29 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021
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