Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23017 del 17/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20225/2020 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Verlato Davide, giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso l’avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 997/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 27/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/04/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 997/2020 depositata il 27-3-2020, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da A.A., cittadino del *****, avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla Commissione aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese per timore di essere incarcerato in quanto aveva intrattenuto rapporti sessuali con un uomo, che gli aveva dato in cambio un’automobile e danaro, e la relazione era stata scoperta nel 2010 dalla moglie dell’uomo, la quale lo aveva denunciato alla Polizia. La Corte territoriale ha ritenuto ha ritenuto non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione del *****, descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, commi 3 e 5, del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 2 e 3, in correlazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., lamentando la violazione del dovere istruttorio ufficioso, non avendo la Corte d’appello acquisito informazioni in ordine alla vicenda personale del ricorrente, sul sistema giudiziario del ***** nonché anche in relazione agli eventi occorsigli in Libia, erroneamente attribuendo rilievo alla ritenuta inattendibilità della vicenda personale narrata, senza considerare il luogo e il tempo trascorso dalla partenza, le vicende vissute in Libia e l’assenza di adeguate prospettive di vita in caso di rimpatrio; (ii) con il secondo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione al diniego della protezione umanitaria, nonché la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, nonché la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. a) e c), del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, e art. 8 CEDU, per avere la Corte territoriale negato la protezione umanitaria, senza considerare la sua situazione di vulnerabilità, da valutarsi a prescindere dalla effettiva credibilità della vicenda personale, la sua positiva integrazione in Italia, il lungo tempo trascorso dalla partenza, le vicende vissute in Libia e la situazione alquanto deficitaria nel suo Paese in ordine alla tutela dei diritti umani e alle persecuzioni nei confronti degli omosessuali.

2. Il primo motivo è inammissibile.

2.1. Le censure difettano di specificità e sollecitano una rivisitazione del merito. Il ricorrente, nel dolersi del mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi in ordine alle lacune del suo racconto e al sistema giudiziario e carcerario del *****, non svolge argomentazioni specificamente correlate alle ragioni della decisione, espresse, in punto giudizio di non credibilità, con motivazione idonea dalla Corte di merito (pag.n. 4 e 5 sentenza impugnata), che ha esaminato i fatti allegati rilevando incongruenze e contraddizioni e facendo applicazione dei parametri di legge.

In base all’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, una volta accertata dai Giudici di merito l’inattendibilità della vicenda dedotta come ragione causativa del rischio di danno grave ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. A e b, non vi è ragione di attivare il dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa, neppure in ordine alla protezione delle Autorità statali (tra le tante Cass. n. 3340/2019 e Cass. n. 27336/2018).

Inoltre l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018). Nel caso di specie la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed indicando le fonti di conoscenza (pag. 8 e 9 della sentenza impugnata), ha descritto ed analizzato la situazione del *****, escludendo l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata, e il ricorrente non svolge specifiche censure al riguardo.

3. E’ inammissibile anche il secondo motivo.

3.1. Con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge e motivazionale, afferma genericamente di essere soggetto vulnerabile e di essere integrato in Italia, ancora una volta senza specificamente confrontarsi con il decisum. La Corte di merito, infatti, ha dato conto del suo percorso destinato all’inserimento lavorativo, escludendone la decisiva rilevanza nella comparazione con la situazione nel Paese di origine (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata), ribadendo, correttamente, la necessità di effettuare un bilanciamento in concreto, e, in relazione a dette affermazioni, non sono espresse specifiche censure. Inoltre il ricorrente non precisa sulla base di quali elementi concreti, allegati nel giudizio di merito, sia valorizzabile il suo vissuto in Libia, ritenuto inconferente dai giudici di merito, ma si limita a svolgere astratte considerazioni sulle violazioni dei diritti umani nel suo Paese e in quello di transito, nonché a richiamare il dettato dell’art. 8 CEDU. La situazione del Paese di origine prospettata in termini generali ed astratti, come nel caso di specie, è di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).

3. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

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