Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23018 del 17/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20869/2020 proposto da:

N.E., rappresentato e difeso dall’avvocato Federico Tibaldo, giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso l’avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1168/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 04/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/04/2021 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1168 depositata il 4-5-2020, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da N.E., cittadino della *****, avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia che, a seguito di rituale impugnazione del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il richiedente riferiva di essere fuggito dal suo Paese perché dopo la morte di un ragazzo con cui aveva una relazione omosessuale, avvenuta a causa di un’infezione, era stato incarcerato e rischiava di essere ucciso. La Corte territoriale ha ritenuto non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione della *****, descritta nella sentenza impugnata con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: (i) con il primo motivo, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la non corretta applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. a), art. 7 e art. 14, lett. c), richiamando il tenore di detta ultima norma (art. 14, lett. c) e deducendo che la situazione legittimante la concessione della protezione umanitaria era stata ben descritta nell’atto di appello, nonché rilevando di aver quantomeno diritto alla protezione umanitaria, per averne il ricorrente, in base alla sua vicenda personale, almeno parzialmente i requisiti necessari; (ii) con il secondo motivo sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata perché non tradotta nella lingua madre del ricorrente; (iii) con il terzo motivo, l’omesso esame di un fatto decisivo, per non avere la Corte d’appello preso in considerazione il fatto che il ricorrente aveva avuto rapporti omosessuali con un ragazzo poi deceduto e che in ***** l’omosessualità è perseguita penalmente, come peraltro affermato nella sentenza impugnata, rimarcando altresì il ricorrente di non essere dedito a comportamenti criminali e di avere reperito un lavoro in Italia.

2. Il secondo motivo, da esaminare prioritariamente perché concerne la denuncia di un vizio processuale, è infondato.

Secondo l’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, in tema di protezione internazionale, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 10, comma 5, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale e inoltre il richiedente partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano (Cass. n. 21450/2020; Cass. n. 23760/2019).

Pertanto la garanzia linguistica opera solo nell’ambito endo-procedimentale amministrativo e non in quello giurisdizionale, e peraltro neppure il ricorrente indica quale vulnus sia conseguito dalla mancata traduzione, avendo egli tempestivamente impugnato i provvedimenti decisori che lo riguardano (cfr. tra le tante Cass. n. 13769/2020).

3. I motivi primo e terzo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

Questa Corte ha chiarito che nei giudizi aventi ad oggetto l’esame di domande di protezione internazionale in tutte le sue forme, nessuna norma di legge esonera il ricorrente in primo grado, l’appellante o il ricorrente per cassazione, dall’onere – rispettivamente – di allegare in modo chiaro i fatti costitutivi della pretesa; di censurare in modo chiaro le statuizioni del giudice di primo grado; e di assolvere gli oneri di esposizione, allegazione ed indicazione richiesti a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., nn. 3, 4 e 6 (Cass. n. 28780/2020).

Le censure sono espresse mediante considerazioni del tutto generiche, senza un’esposizione compiuta dei fatti, riconducendo il ricorrente, in modo non lineare, la protezione umanitaria alla distinta fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c). Neppure è dato rinvenire nell’illustrazione dei motivi una critica specifica al percorso argomentativo di cui alla sentenza impugnata, con il quale il ricorrente non si confronta, limitandosi a un richiamo alla situazione del suo Paese, che assume di aver ben descritto nell’atto di appello, nonché alla condizione degli omosessuali in ***** e ad un rapporto di lavoro in Italia. La Corte d’appello, con motivazione adeguata, ha preso in esame la vicenda personale narrata dal richiedente, in particolare in relazione alla riferita relazione omosessuale, e ne ha affermato la non credibilità, dando, peraltro, atto che l’omosessualità è sanzionata penalmente in *****, sicché anche sotto tale profilo le doglianze non si confrontano con il decisum.

4. Nulla deve disporsi circa le spese di lite del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

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