Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23029 del 17/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16999-2020 r.g. proposto da:

O.A. (cod. fisc. PKOLRT69C06Z318C), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Chiara Busani, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Modena, Nonantolana n. 192;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici in Via dei Portoghesi è

elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata in data 15.4.2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/7/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

CHE:

1. O.A., cittadino ***** titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo, propose opposizione innanzi al Tribunale di Parma avverso il diniego del rilascio del visto per ricongiungimento familiare richiesto, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 29 in favore del figlio (allora) minore Ow.Ri..

2. Il Tribunale di Parma, con ordinanza del 2.2.2018, accolse il ricorso in opposizione sul presupposto che le difese svolte dall’amministrazione fossero generiche e dunque inidonee a superare la valenza del certificato di nascita emesso da uno stato straniero.

3. Proposto gravame da parte del Ministero degli esteri, la corte di appello di Bologna ha accolto il gravame, riformando il provvedimento impugnato e respingendo dunque la domanda di rilascio del visto per ricongiungimento familiare.

La corte del merito ha ritenuto, in primo luogo, che la parte appellata non aveva prodotto la documentazione legalizzata nelle forme di legge, così come previsto dallo stesso Ministero degli esteri, per la dimostrazione del rapporto di filiazione con il minore nei cui confronti aveva chiesto il ricongiungimento, non appartenendo il Ghana ai paesi aderenti alla Convenzione dell’Aja e dunque essendo necessaria la procedura di legalizzazione; ha osservato che il certificato di nascita prodotto dal ricorrente era privo di valore per lo Stato italiano e per l’effetto non rivestiva alcun valore probatorio nel processo in corso; ha inoltre evidenziato che i dubbi sulla genuinità dei documenti prodotti dall’odierno ricorrente erano aggravati dal fatto che i certificati di nascita del predetto minore erano stati due, il primo palesemente contraffatto (e la circostanza era peraltro pacifica tra le parti) ed il secondo emesso da ufficio diverso rispetto al precedente, nonché in data successiva rispetto al rilascio del nulla osta da parte della competente prefettura; ha inoltre ricordato che l’ambasciata italiana ad ***** aveva comunque concluso per l’inattendibilità del certificato prodotto dal ricorrente, anche sulla base della considerazione che la prima denuncia era stata effettuata dopo diciassette anni dalla nascita e dunque, in violazione della legge *****, oltre che con irragionevole ritardo rispetto alla nascita e in prossimità del raggiungimento della maggiore età del minore; ha infine ricordato che il Registration of births and Death Act (n. 301/1965) del ***** prevede l’obbligo di denuncia della nascita entro ventuno giorni dall’evento e che è comunque possibile perfezionare la denuncia, senza ulteriori formalità, entro dodici mesi versando una sanzione pecuniaria, termine quest’ultimo decorso il quale non può procedersi alla denuncia senza l’autorizzazione scritta dell’autorità ed il pagamento di una pena pecuniaria; ha osservato che, di fronte alla violazione della legge ***** e al legittimo sospetto nella non genuinità della documentazione esibita, risultava legittima la decisione dell’ambasciata italiana di disporre ulteriori accertamenti, consistenti nella prova del DNA, considerata la natura scientifica della prova richiesta, come peraltro espressamente previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 29, comma 1bis e 2.

2. La sentenza, pubblicata il 15.4.2020, è stata impugnata da O.A. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il Ministero degli esteri ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 28. Si evidenzia che i giudici di appello non avrebbero avuto cura di porre a fondamento della loro motivazione il diritto all’unità familiare che costituisce diritto fondamentale e universale, come ora affermato anche dalla Corte di giustizia Europea e dalla Corte costituzionale.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 218 del 1995, artt. 33 e 16 e del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 31. Si evidenzia che, sulla base della L. n. 218 del 1995, lo status di filiazione di un cittadino di un paese straniero dovrebbe essere accertato sulla base della normativa vigente nel predetto paese, e dunque, in ***** sulla base del Decreto n. 301 del 1965. Osserva ancora il ricorrente che – sulla base del diritto ***** – la registrazione della nascita può essere effettuata anche da persona differente rispetto ai genitori purché legittimata a tale atto, non potendosi tuttavia ritenere che la particolare permissività della disciplina interna possa far presumere la falsità degli atti così formati. Si evidenzia ancora che, dovendosi scrutinare la validità della documentazione esibita sulla base della disciplina interna, come prescritto dalla L. n. 218 del 1995, solo nell’ipotesi in cui secondo l’ordinamento positivo ***** tale documentazione fosse dichiarata falsa, allora si potrebbe opporre un legittimo diniego da parte delle autorità italiana alla loro utilizzabilità. Si evidenzia che comunque l’atto di nascita del figlio del richiedente era stato legalizzato e che il figlio non aveva mai proposto alcuna azione volta a disconoscere il rapporto di filiazione.

2.1 I primi due motivi – che possono essere esaminate congiuntamente sono inammissibili perché le relative censure trascurano di censurare le rationes decidendi principali poste a sostegno del diniego del visto per ricongiungimento familiare, e cioè, la mancata dimostrazione di un rapporto di filiazione con il minore nei cui confronti si richiedeva il ricongiungimento e la evidente falsità della documentazione sulla cui base era stato affermato dal ricorrente il predetto rapporto di paternità, nonché il rifiuto di sottoporsi al test del Dna come prova scientifica della filiazione stessa. In mancanza della impugnazione di tali rationes, le ulteriori censure avanzate dal ricorrente in ordine alla validità probatoria della documentazione esibita diventano irrilevanti ed irricevibili proprio perché inidonee a contrastare l’affermata falsità della documentazione (che prescinde dal profilo della sua intrinseca validità secondo il sistema giuridico *****) ed il rifiuto di ulteriori accertamenti di natura scientifica, secondo quanto disposto espressamente dall’art. 29, sopra menzionato.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 29. Si denuncia l’erronea esegesi da parte della corte di merito della norma da ultimo menzionata, posto che l’art. 29 prevederebbe la possibilità di ricorrere al test genetico solo in via residuale e come extrema ratio, qualora cioè la certificazione di nascita sia insistente ovvero improducibile ovvero nel caso in cui vi siano dubbi circa la autenticità della documentazione esibita (dubbi che devono derivare da altra documentazione sempre prodotta dal medesimo stato e con il crisma della ufficialità, situazione non riscontrabile nel caso di specie ove le contestazioni sollevate dall’amministrazione riguardavano solo supposizioni non riscontrate).

3.1 Il motivo di doglianza è infondato.

Non è condivisibile l’esegesi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 29, comma 1bis, proposta dal ricorrente, posto che la norma in esame espressamente prevede il ricorso dell’esame del DNA da parte delle rappresentanze diplomatiche e consolari anche nella ipotesi di “fondati dubbi sull’autenticità” della documentazione attestante i rapporti parentali di cui all’art. 29 TUI, comma 1 ipotesi proprio ricorrente nel caso in esame ove le autorità diplomatiche italiane, dopo aver riscontrato l’evidente contraffazione di almeno uno dei due documenti esibiti e l’anomalia del secondo rilasciato a distanza di diversi anni dal momento della nascita del figlio, hanno correttamente richiesto la prova scientifica della filiazione, richiesta rimasta disattesa dal ricorrente senza alcuna plausibile spiegazione.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. Non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater a causa dell’esenzione dal contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

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