Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23037 del 17/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24547-2020 r.g. proposto da:

G.S., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Ivana Calcopietro, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Reggio Calabria, Via Reggio Campi Rione A;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro, depositata in data 24.1.2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/7/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato l’appello proposto da G.S., cittadino *****, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 12.12.2018 dal Tribunale di Catanzaro, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato e vissuto in *****; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese per il pericolo di essere ucciso dalle “confraternite” per la sua manifesta volontà di non entrarne a far parte.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito alla *****, stato africano di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perché non vi era in ***** una situazione di emergenza sanitaria ovvero alimentare né una situazione di compromissione dei diritti fondamentali.

2. La sentenza, pubblicata il 24.1.2020, è stata impugnata da G.S. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 14 e 17, nonché vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e violazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria. Si evidenzia che il giudizio in ordine al grado di pericolosità interna del paese di provenienza collegato alla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c, non era maturato sulla base di fonti informative aggiornate, risalendo le notizie più recenti al 2015.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dell’art. 115 c.p.c., D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, degli D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 14 e 17, sempre in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria e al mancato aggiornamento delle fonti consultate.

2.1 I primi due motivi – da trattarsi congiuntamente, riguardando la medesima doglianza – sono in realtà fondati.

Sul punto, la giurisprudenza espressa da questa Corte ha precisato che – in tema di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c) – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice è tenuto, a prescindere dalla valutazione di credibilità delle sue dichiarazioni, a cooperare all’accertamento della situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri officiosi di indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate, le cui fonti dovranno essere specificatamente indicate nel provvedimento, al fine di comprovare il pieno adempimento dell’onere di cooperazione istruttoria (Sez. 3, Ordinanza n. 262 del 12/01/2021; cfr. anche: Sez. 2 -, Ordinanza n. 9230 del 20/05/2020, secondo cui expressis verbis “Nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione; il giudice del merito non può, pertanto, limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo in tale ipotesi la pronuncia, ove impugnata, incorrere nel vizio di motivazione apparente”, v. anche N. 13897 del 2019).

2.2 Ciò posto, rileva il Collegio come in realtà il provvedimento impugnato, per argomentare il giudizio di non pericolosità interna del paese di provenienza del richiedente – nel senso precisato dalla giurisprudenza Euro unitaria e di legittimità (cfr. Corte di giustizia UE-Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C-285/12; C-465/07; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018) – indica, invero, alcune fonti informative consultate, senza tuttavia precisarne la datazione, e dunque il grado di aggiornamento rispetto alla decisione adottata, con la sola esclusione di una fonte (“Alto Commissariato delle Nazione unite per i rifugiati”) per la quale tuttavia si indica l’aggiornamento al 2015 e di cui, pertanto, non può dubitarsi dell’inidoneità a costituire una valida fonte di conoscenza, nel senso richiesto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3. Ne’ può valere in tal senso il riferimento alla fonte Easo Country report June 2017, che non si occupa, in realtà, dell’approfondimento circa l’esistenza di un conflitto armato generalizzato, nel senso già sopra chiarito.

Risulta allora evidente la fondatezza della lamentata violazione di legge, proprio in ragione della mancata indicazione nel provvedimento impugnato delle informazioni aggiornate, le cui fonti devono essere sempre specificatamente precisate nella motivazione, al fine di comprovare il pieno adempimento dell’onere di cooperazione istruttoria.

E ciò a maggior ragione nel caso di specie ove il giudice del gravame aveva anche errato nell’indicazione dello stato ***** in relazione al quale aveva svolto, seppur genericamente e senza indicazione corretta delle fonti e del loro aggiornamento, il richiesto approfondimento istruttorio, non provenendo il richiedente dall'*****.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 14 e 17, nonché per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e per violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132c.p.c., n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., sempre in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria e al giudizio di non credibilità del racconto espresso dai giudici del merito.

3.1 Il motivo è inammissibile perché tutto articolato in fatto e rivolto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione del giudizio di credibilità del racconto, tramite la rilettura degli atti istruttori, operazione che invece è – come noto – inibita al giudice di legittimità (cfr. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018;Sez. 5, Ordinanza n. 19547 del 04/ 08/2017; Sezioni Unite: N. 8053 del 2014).

Senza contare che il ricorrente neanche indica la decisività della circostanza del cui omesso esame si duole ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e cioè il profilo della sussistenza di una valida tutela degli organi statali per le valutazioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 posto che il motivo di censura qui in esame non spiega la ragione per la quale, a fronte di una valutazione di non credibilità del racconto (qui non adeguatamente censurata, per quanto già sopra osservato), i giudici del merito avrebbero dovuto dar corso agli adempimenti istruttori sul punto, in ossequio al principio di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3.

Del resto, va anche ricordato che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. anche Cass. n. 16295/2018) è ferma nel ritenere che, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benché sfornita di prova (perché non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. nn. 21668/2015 e 5224/2013). Principio analogo è stato, peraltro, ribadito dalle più recenti Cass. nn. 17850/2018 e 32028/2018. Ed invero, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295/2018; Cass. n. 7333/2015). Ad avviso di questa Corte, peraltro, il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

4. L’esame del quarto motivo – articolato in relazione al diniego dell’invocata protezione umanitaria – rimane invece assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi.

Si impone pertanto la cassazione del provvedimento impugnato con rinvio alla Corte di Catanzaro anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo e secondo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il terzo ed assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

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