Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23041 del 17/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29351-2020 r.g. proposto da:

A.C., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Daniele Romiti, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Barnaba Tortolini n. 30, presso lo studio del Dott. Placidi Alfredo, e Giuseppe Placidi;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna, depositato in data 9.10.2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/7/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Bologna ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da A.C., cittadino della *****, dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato a *****, nella regione di *****, nella *****, di essere di etnia ***** e di religione *****; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perché minacciato dai creditori del padre, che era morto in seguito ad una rapina nel corso della quale erano stati derubati dei soldi ricavati dalla vendita del raccolto di cacao, ragione quest’ultima per la quale era nell’impossibilità di pagare i creditori e correva il rischio anche di essere incarcerato.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a e b, posto che non erano stati allegati dal ricorrente veri e propri atti di persecuzione e perché quest’ultimo non aveva neanche richiesto la protezione alle autorità statali (non potendosi dunque applicare il disposto normativo di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 5, lett. c) e perché, da ultimo, il codice penale ***** non prevede la carcerazione per l’insolvenza; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito alla *****, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perché il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano, non rilevando a tal fine il contratto di apprendistato allegato dal richiedente, né una situazione di soggettiva vulnerabilità.

2. Il decreto, pubblicato il 9.10.2020, è stato impugnato da A.C. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 5 e 6 nonché D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, nonché, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio. Si evidenzia che, in realtà, la vicenda personale raccontata dal richiedente era stata ritenuta credibile sia dalla commissione territoriale che dal tribunale e che tuttavia quest’ultimo aveva ritenuto di non riconoscere la richiesta protezione in quanto il ricorrente non aveva provato a chiedere la protezione alle autorità del proprio paese, senza che tuttavia il tribunale prendesse in considerazione l’allegata circostanza dell’impossibilità di rivolgersi alla polizia per ottenerne protezione posto che tale richiesta non avrebbe sortito alcun effetto, con ciò incorrendo nella violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 5, lett. c. Osserva il ricorrente che laddove l’apparato statale non sia in grado di garantire adeguata tutela ai propri cittadini non risulta né legittimo né ragionevole pretendere che costoro, al fine di vedersi riconosciuta la richiesta protezione internazionale, abbiano preventivamente sporto una denuncia alla polizia del proprio paese, così rischiando solo di aggravare il risentimento da parte degli effettivi persecutori.

1.1 Il motivo è fondato.

In tema di protezione internazionale, nella forma della protezione sussidiaria, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3 e art. 14, lett. a) e b), il conseguente diritto non può essere escluso dalla circostanza che agenti del danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati qualora nel paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (cfr. Sez. 6, sentenza n. 15192 del 20/07/2015; nello stesso senso, anche: Sez. 6, Ordinanza n. 25873 del 18/11/2013; Sez. 6, Ordinanza n. 163 56 del 03/07/2017; Sez. 6, Ordinanza n. 23604 del 09/10/2017).

Nel caso di specie, il Tribunale, invero, afferma l’assenza di richiesta d’intervento delle pubbliche autorità da parte del richiedente protezione senza, tuttavia, considerare le allegazioni e produzioni documentali di parte rivolte ad evidenziare l’inutilità di tali richieste per la totale mancanza di protezione e d’intervento da parte delle autorità preposte alla sicurezza menzionate espressamente e riprodotte nel ricorso (cfr. pagg. X-XIII ricorso introduttivo). Ne deriva una violazione dello specifico dovere dell’autorità accertatrice di verifica della veridicità di quanto affermato, allegato e prodotto al riguardo ove si dubiti, come nella specie, della sua oggettiva corrispondenza alla realtà, così come stabilito dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 (v. Cass. n. 25873/2013). Inoltre, è necessario che il Giudice della protezione internazionale proceda ad una valutazione dei fatti prospettati alla luce della situazione attuale del Paese d’origine del richiedente non potendo fermarsi alle sole ragioni che spinsero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese, in ossequio a quanto disposto dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. a). Solo in presenza di un simile accertamento (di riscontro dell’effettività del rischio dedotto, valutato all’attualità) il giudice del merito avrebbe potuto formulare una valutazione pertinente e negare la tutela sussidiaria al cittadino straniero (cfr. sempre cfr. Sez. n. 15192/2015, cit. supra).

2. L’accoglimento del primo motivo assorbe l’esame del secondo motivo, declinato come vizio di motivazione apparente sempre in relazione al profilo del diniego della richiesta protezione sussidiaria.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e per vizio di violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 ed D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché per motivazione apparente in relazione all’art. 132 c.p.c., all’art. 118 disp. att. c.p.c. e all’art. 111 Cost., comma 6.

Osserva il ricorrente che aveva allegato, come pericolo di danno grave D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. B non solo la violenza dei creditori rimasti insoddisfatti, ma anche il timore di essere incarcerato arbitrariamente o comunque perseguitato dalla polizia a causa del debito.

3.1 Anche il terzo motivo è fondato posto che il ricorrente aveva allegato anche il pericolo, nel proprio paese di provenienza, di carcerazioni arbitrarie della polizia nei casi in cui non era previsto l’arresto dal codice penale in vigore in ***** (come nel caso in esame ove l’insolvenza non viene punita, di rigola, come reato). Ciò avrebbe dovuto indurre i giudici del merito, a fronte di una valutazione di credibilità del racconto, a scrutinare la dedotta possibilità di arresti arbitrari da parte della polizia ivoriana, attraverso la consultazione di fonti informative aggiornate, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, e ciò anche per verificare le condizioni di carcerazione nel paese di provenienza del ricorrente.

Tale approfondimento istruttorio è invece mancato.

4. Il quarto motivo – articolato in riferimento al diniego dell’invocata protezione umanitaria – rimane assorbito.

Si impone pertanto la cassazione del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale competente che deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo e terzo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il secondo e quarto; cassa il decreto impugnato con rinvio al Tribunale di Bologna che, in diversa composizione, deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021

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