LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5511-2015 proposto da:
S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO BOER, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO NALDI;
– ricorrente –
contro
C.O.N.I., – COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO, e per la CONI SERVIZI S.P.A., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PARAGUAY 5, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO RIZZO, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 22/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 25/03/2014 R.G.N. 386/2007 + 1;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/03/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.
RITENUTO
CHE:
la Corte d’Appello di Bologna, riformando la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa città, ha respinto la domanda con la quale S.S. aveva chiesto accertarsi l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con il Comitato Provinciale del C.O.N.I. e, poi, della C.O.N.I. Servizi s.p.a. quale società succeduta al primo nei rapporti attivi e passivi ai sensi del D.L. n. 138 del 2002, art. 8;
la Corte d’Appello riteneva la genericità di alcune deposizioni testimoniali, che avevano riferito soltanto della presenza della ricorrente presso gli uffici del C.O.N.I., mentre l’unica teste che aveva detto “qualcosa di più” in ordine a mansioni, orari e retribuzione, senza peraltro fornire concreti, nitidi e plurimi elementi qualificatori, si era riferita – aggiungeva la Corte distrettuale – ad un periodo breve e risalente, laddove la stessa prospettazione attorea aveva fatto menzione di una disomogeneità di condizioni lavorative nell’arco del decennio rivendicato;
la sentenza impugnata precisava inoltre che anche le ricevute di pagamento non lasciavano trapelare nulla di distonico rispetto al riferimento, in esse contenuto, ad una collaborazione coordinata e continuativa, così come non provato era l’assunto della ricorrente in merito ad un asserito accertamento dell’Ispettorato del Lavoro;
2. S.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo, cui C.O.N.I. e C.O.N. I. Servizi s.p.a. hanno opposto difese con un unitario controricorso;
la ricorrente ha infine depositato memoria;
CONSIDERATO CHE va intanto escluso che il ricorso per cassazione sia da ritenere tardivo, come eccepito da C.O.N. I. e C.O.N. I. Servizi s.p.a.;
se anche la notifica del ricorso per cassazione è stata eseguita presso un indirizzo che non era più quello dei difensori della controparte, con mutamento risultante anche al Consiglio dell’Ordine, ciò non toglie che, come ammesso anche nel controricorso, presso il vecchio indirizzo fu mantenuta una cassetta delle lettere intestata a quei difensori, presso la quale furono immessi gli avvisi di giacenza, poi ritirati, evidentemente in una con il piego notificato;
tale situazione esclude che si possa parlare di notifica inesistente, secondo i parametri definiti da Cass., S.U., 20 luglio 2016, n. 14916, proprio perché la fase di consegna presso un recapito è stata ultimata;
si dovrebbe ragionare piuttosto in termini di nullità, per non essere stata la notificazione eseguita presso il recapito, ovverosia l’effettivo studio legale dei difensori della parte intimata, presso cui ritualmente essa avrebbe dovuto avere corso, il che però imporrebbe disporsi il rinnovo della notificazione;
ma tale rinnovo non può essere disposto, in quanto la notificazione del controricorso attesta il raggiungimento degli scopi conoscitivi cui è finalizzata la notificazione e pertanto ogni irregolarità o nullità si ha per sanata ex art. 156 c.p.c., comma 3, anche tenuto conto che l’avvio a notifica del ricorso per cassazione si è avuto entro il termine lungo previsto per l’impugnazione;
ciò posto, l’unico motivo di ricorso, richiama l’art. 360 c.p.c., n. 4, assume la violazione degli artt. 115,116 e 434 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. e si articola in vari passaggi argomentativi;
la ricorrente sostiene che erroneamente la Corte territoriale si sia arrestata alla disamina della prova testimoniale, omettendo di valutare una serie di indicatori pacificamente presenti e non contestati sulla natura esecutiva delle mansioni svolte, sull’osservanza di orari, sulla sottoposizione a direttive etc.;
parimenti erroneo e’, secondo la S., l’avere la Corte territoriale fatto leva su una disomogeneità di condizioni lavorative che sarebbero state riferite dalla stessa ricorrente, la quale tuttavia aveva fatto cenno solo ad un mutamento nei criteri di calcolo della retribuzione e delle ore lavorate, mentre nessuna disomogeneità vi era stata nella descrizione di mansioni, obblighi e sottoposizione a direttive;
aggiunge poi ancora la ricorrente che la Corte d’Appello, dalla deposizione della teste A. sulla fase più risalente del rapporto, avrebbe dovuto desumere, in mancanza di un contratto contenente una diversa qualificazione, l’esistenza della subordinazione senza soluzione di continuità;
infine la S. adduce che il verificarsi dell’ispezione presso il C.O.N. I. da parte della Direzione Provinciale del Lavoro era pacifica ed era stata comunque avanzata, per il caso di contestazione, la richiesta di informative ex art. 213 o l’esibizione ex art. 210 c.p.c.;
il motivo va disatteso;
l’affermazione in merito alla non contestazione degli indicatori della subordinazione è generica e apodittica, in quanto non è noto, dal ricorso per cassazione, quale fosse l’esatto tenore della comparsa di costituzione del C.O.N. I. con la quale, peraltro, la stessa ricorrente (pag. 7 del ricorso per cassazione) afferma che fosse stata contestata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato;
analogamente, del tutto generica è la contestazione rispetto alla “disomogeneità” nel tempo del rapporto, la quale non è stata corredata, a supporto, dalla necessaria trascrizione dei corrispondenti passaggi delle deduzioni di diversa natura in ipotesi svolte;
la formulazione del motivo, nelle sue articolazioni sopra esaminate, si pone dunque in contrasto con i presupposti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai nn. 3, 4 e 6 della stessa disposizione, da cui si desume la necessità che la narrativa e l’argomentazione siano idonee, riportando anche la trascrizione esplicita dei passaggi degli atti e documenti su cui le censure si fondano, a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente in tali atti e documenti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti (v. ora, sul punto, Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34469);
la pretesa poi di valorizzare in un certo modo una testimonianza, da cui trarne la deduzione che il rapporto ab origine avesse caratura subordinata e fosse proseguito con le medesime caratteristiche senza soluzione di continuità, delinea in modo evidente la pretesa di una diversa ricostruzione degli esiti istruttori, in sé impropria rispetto al giudizio di legittimità (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148), a fronte di una valutazione della Corte territoriale che fa leva piuttosto, in una non implausibile attuazione del libero convincimento giudiziale, sulla coerenza delle ricevute di pagamento con la natura parasubordinata del rapporto;
infine, per quanto riguarda l’accesso dell’Ispettorato del Lavoro ed il corrispondente verbale, si osserva che il contenuto di esso è del tutto genericamente riferito, nel senso che i funzionari, all’esito di esso, avrebbero ritenuto la natura subordinata del rapporto;
pertanto, a fronte del convincimento comunque positivamente maturato dalla Corte territoriale sulla base dei dati istruttori di causa, non vi è alcuna certezza in merito alla decisività e indispensabilità di quegli atti, sicché non può dirsi che l’omessa acquisizione di esso potesse avere portata dirimente per l’apprezzamento giudiziale e che pertanto si sia determinato un vizio della decisione;
per le varie ragioni sopra indicate il motivo è quindi inammissibile e alla pronuncia segue la regolazione secondo soccombenza delle spese di giudizio.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per competenze professionali oltre al rimborso spese generali del 15 % e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021
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