Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23066 del 18/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22501-2015 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 42, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ERMINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO DE PAOLIS;

– ricorrente principale –

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ELISABETTA LANZETTA, PAOLA MASSAFRA, SEBASTIANO CARUSO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 4583/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/09/2014 R.G.N. 9979/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/02/2021 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS.

RILEVATO

– che, con sentenza del 17 settembre 2014, la Corte d’Appello di Roma chiamata a pronunziarsi sul gravame proposto avverso la decisione resa dal Tribunale di Latina sulla domanda proposta da T.A. nei confronti dell’INPS, condanna l’Istituto al pagamento delle differenze retributive maturate in relazione allo svolgimento di mansioni riconducibili all’area B, posizione economica B1;

– che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata la pretesa del T. al superiore inquadramento nell’area C, non riscontrandosi nelle mansioni di fatto svolte quella particolare qualificazione nell’attività espletata nonché quella responsabilità del processo produttivo compiuto che caratterizzano il rivendicato inquadramento e, rinvenendosi, viceversa, in ragione dello strutturale inserimento nel processo produttivo e della competenza a svolgere fasce o fasi di attività nell’ambito di direttive di massima o di procedure predeterminate, la riconducibilità delle mansioni svolte all’area B superiore a quella riconosciutagli in area A;

– per la cassazione di tale decisione ricorre il T., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, l’INPS, che propone ricorso incidentale basato su un unico motivo, in relazione al quale il T. non ha svolto alcuna difesa;

– che il ricorrente ha poi presentato memoria.

CONSIDERATO

– che, con il primo motivo, il ricorrente principale, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,342,434 c.p.c., art. 111 Cost. e art. 125 c.p.c., imputa alla Corte territoriale l’error in procedendo in cui sarebbe incorsa pronunciandosi, per di più senza alcuna motivazione, per l’infondatezza dell’eccezione sollevata dal ricorrente di inammissibilità per difetto di specificità dei motivi del gravame proposto dall’INPS;

– che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 con riferimento all’art. 36 Cost., artt. 414 e 416 c.p.c., art. 115 c.p.c. e art. 111 Cost., il ricorrente principale imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente escluso, in difetto di contestazione da parte dell’INPS circa lo svolgimento continuativo da parte del ricorrente delle mansioni indicate nel ricorso introduttivo, l’assolvimento da parte del ricorrente dell’onere della prova della pienezza, in termini di capacità e responsabilità, dello svolgimento di mansioni qualificabili come proprie dell’area C;

– che con il terzo motivo, rubricato con riferimento al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, il ricorrente principale imputa alla Corte territoriale l’omessa considerazione degli elementi di fatto dedotti e provati anche in base alla non contestazione dei medesimi da parte dell’INPS;

– che nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione del CCNL Enti pubblici non economici e degli artt. 1362 c.c. e ss. nonché dell’art. 36 Cost. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 è prospettata con riferimento all’interpretazione della declaratoria contrattuale relativa all’area C accolta dalla Corte territoriale addebitandole una enfasi eccessiva attribuita al possesso dei titoli professionali piuttosto che all’effettivo esercizio delle mansioni;

– che, dal canto suo, l’Istituto ricorrente incidentale, con l’unico motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss. anche con riferimento all’allegato A- Declaratorie delle Aree del CCNL Enti Pubblici non economici 1998/2001 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 anche in relazione ai principi di cui all’art. 111 Cost., comma 7, letto in una con l’art. 6 CEDU, lamenta l’incongruità logica e giuridica del convincimento cui approda la Corte territoriale circa la qualificazione delle mansioni svolte dal T. non come fase di un processo produttivo, secondo quanto richiesto dalla declaratoria dell’area B, bensì come mera attività di supporto il cui impiego comporta l’inquadramento nell’area A riconosciuta al T.;

che il primo motivo del ricorso principale si rivela infondato, avendo la Corte territoriale, in armonia con l’orientamento accolto da questa Corte, ritenuto sufficiente, ai fini dell’ammissibilità dell’appello, alla stregua della nuova formulazione della disciplina codicistica, la desumibilità dal complesso dell’atto dei capi della sentenza fatti oggetto di impugnazione e delle relative ragioni;

che parimenti infondati risultano gli ulteriori motivi, dal secondo al quarto del medesimo ricorso, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, non rispondendo l’iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale a quello posto dal ricorrente alla base della propria impugnazione, per il quale la Corte territoriale, avrebbe superato il dato comprovato dal ricorrente, anche per effetto della mancata contestazione da parte dell’Istituto datore, dello svolgimento di fatto di mansioni riconducibili al rivendicato inquadramento nell’area C, per fondare la pronunzia di rigetto della pretesa sul mancato possesso dei titoli professionali (la laurea) richiesti per lo svolgimento di quelle mansioni; va invece osservato che la Corte territoriale è pervenuta alla propria pronunzia avendo valutato, all’esito del procedimento trifasico richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte ai fini del giudizio circa la riconducibilità delle mansioni di fatto svolte alla declaratoria contrattuale che ne definisce i contenuti, che era insufficiente, ai fini dell’accoglimento della pretesa, il risultato dell’accertamento in fatto dei compiti eseguiti dal ricorrente, non ravvisando in essi i contenuti professionali che, alla luce dell’interpretazione accolta, in relazione alla quale il ricorrente non ha sollevato alcuna specifica censura, caratterizzano la declaratoria dell’area C, interpretazione puntualmente esplicitata nella motivazione dell’impugnata sentenza per la quale quei contenuti “non si esauriscono nel disimpegno di compiti che possano costituire anche tutte le fasi dei processi produttivi dell’ente bensì comportano l’assunzione di responsabilità dei moduli organizzativi, l’elevata professionalità, l’ottimizzazione delle risorse a disposizione…”, apprezzamento rispetto al quale il richiamo al possesso, quale titolo di studio, del diploma di laurea costituisce soltanto un argomento a riprova;

che infondato risulta altresì l’unico motivo del ricorso incidentale non valendo le censure sollevate dall’Istituto ricorrente a confutare il dato apprezzato dalla Corte territoriale all’esito dell’accertamento in fatto di cui sopra per il quale il T. risultava essere non solo strutturalmente inserito nel processo produttivo ma anche in grado di eseguire compiti tali da integrare anche tutte le fasi dei processi produttivi dell’ente, dato che anzi è lo stesso Istituto ricorrente ad ammettere che possa essere ravvisabile nella specie oltre ad essere stato confermato dalle testimonianze escusse;

che, pertanto, entrambi i ricorsi vanno rigettati con compensazione tra le parti delle spese di lite in ragione della reciproca soccombenza.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2021

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