Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.23083 del 18/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25033-2019 proposto da:

N.I., rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA MARIA GALIMBERTI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente a debito –

nonché contro COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA;

– intimata –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 3357/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il 23/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE II sig. N.I. ha proposto ricorso, sulla scorta di quattro motivi, per la cassazione del decreto del tribunale di Bologna, Sezione Specializzata in materia di Immigrazione, Protezione internazionale e Libera circolazione dei cittadini UE che, condividendo le statuizioni della Commissione Territoriale della stessa città, ha rigettato la sua domanda tesa al riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria. TI tribunale, nel rigettare il ricorso, afferma in primo luogo che il ricorrente non ha allegato fattori di persecuzione riconducibili al novero dei motivi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 8, non sussistendo dunque i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato. Le ragioni della fuga dal *****, Paese d’origine del richiedente, sembrano esclusivamente economiche, avendo costui dichiarato di non riuscire a mantenere la famiglia e far sposare le sorelle.

Ancora, il tribunale rileva che il sig. N. non ha mai paventato il rischio di subire, in caso di rimpatrio, una delle forme di danno grave alla persona tipizzate dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b). L’unico riferimento alle minacce rivolte dai creditori a seguito del prestito contratto per giungere in Italia appare generico e privo di riscontri e, in ogni caso, è poco plausibile che i creditori, in caso di rimpatrio, attentino alla vita dell’istante, poiché ciò pregiudicherebbe il soddisfacimento del loro credito. Dall’esame delle più recenti e accreditate COI (che vengono opportunamente citate), il tribunale esclude altresì l’esistenza delle condizioni per concedere la protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett c mancando in ***** conflitti armati tali da porre in serio pericolo l’incolumità della popolazione civile.

Infine, il tribunale esclude la protezione umanitaria, ritenendo non ravvisabile nel caso di specie alcuna condizione seria e grave di vulnerabilità del richiedente, non essendo sufficiente il riferimento all’attività lavorativa svolta in Italia e considerato che tutti i riferimenti affettivi e familiari del ricorrente si collocano nel Paese d’origine. Con il primo motivo di ricorso, riferito al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., il sig. N.I. deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, per avere il tribunale ritenuto non attendibile il racconto da lui reso. Si rileva infatti che la mancanza di credibilità va valutata alla stregua della griglia di criteri di cui all’art. 3, comma 5, sopra citato, non potendosi fondare il giudizio di non credibilità soggettiva esclusivamente sulla carenza di riscontri oggettivi relativi aL contesto socio-politico del Paese d’origine, senza aver svolto le verifiche officiose di cui al sopra citato art. 8. Il ricorrente approfondisce i criteri e gli standard fondamentali per la valutazione della credibilità (onere della prova condiviso; valutazione individuale; valutazione oggetrtva e imparziale; valutazione fondata sulle prove; attenzione alle circostanze dei fatti), per giungere alla conclusione che tanto la CT quanto il collegio hanno fondato il diniego di protezione su mere speculazioni soggettive e intuizioni senza valutate i fatti (alluvione, perdita della casa, completa indigenza).

Con il secondo motivo di ricorso, riferito al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., il sig. N.I. deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 8 in relazione all’art. 7 stesso decreto, per avere il tribunale negato il riconoscimento dello status di rifugiato.

Il ricorrente rileva che anche ingerenze particolarmente intense nella vita privata e familiare (art. 8 CEDU) possono, a determinate condizioni, essere considerate persecutorie: misure che isolatamente non sono sufficientemente gravi da configurare una persecuzione, valutate nel loro complesso possono delineare una persecuzione, attuale o temuta, quando l’effetto dannoso subito dal soggetto rappresenti una grave violazione dei diritti umani fondamentali.

Con il terzo motivo di ricorso, riferito al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., il sig. N.I. deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g), in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, per avere il tribunale negato la protezione sussidiaria.

Il ricorrente allega il report di Trasparency International del 2018 e frammenti del rapporto annuale 2017-2018 di Amnesty International, al fine di rappresentare il contesto socio-politico del *****, le forti contraddizioni sociali, le catastrofi naturali, l’estrema povertà che favorisce il consolidamento dei gruppi terroristici. Il tribunale, a detta del ricorrente, non ha tenuto in debito conto la situazione generale di instabilità e insicurezza del *****, che, se adeguatamente considerata, avrebbe condotto al riconoscimento della protezione sussidiaria di cui alla lett. c), tanto più che per danno grave non si intende solo l’offesa alla vita e all’integrità fisica, ma anche l’offesa arrecata alla sfera morale e psichica della persona.

Con il quarto, motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 il sig. N.I. deduce la falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 T.U., lamentando il diniego di permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il tribunale avrebbe dovuto effettuare un giudizio comparativo tra la situazione del richiedente nel Paese d’origine e il livello di integrazione raggiunto in Italia. L’inserimento sociale, per quanto fattore non decisivo ai fini della protezione umanitaria, va però combinato con le privazioni dei diritti fondamentali nel Paese di provenienza del richiedente, al fine di valutare l’effettiva e incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita. Si richiamano, a tal proposito, il principio di “no refoulement” di cui all’art. 33 Convenzione di Ginevra e il divieto di tortura e trattamenti inumani di cui all’art. 3 CEDU, quali obblighi internazionali gravanti sullo Stato italiano ai fini del riconoscimento della situazione di vulnerabilità del richiedente.

Il Ministero dell’Interno ha presentato controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 17 novembre 2020, per la quale non sono state depositate memorie.

Il primo motivo di ricorso, là dove attinge il giudizio di non attendibilità del richiedente, va disatteso perché si risolve in una critica dell’apprezzamento dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente in ordine alle ragioni del suo espatrio; apprezzamento che il tribunale ha motivatamente svolto con puntuale riferimento al disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Il secondo motivo, con cui si contesta il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, va anch’esso giudicato inammissibile. Nell’illustrazione del motivo il ricorrente fa generico riferimento a “ingerenze particolarmente intense nella vita privata e familiare” (pg. 11 del ricorso), senza allegare alcun fatto dal quale possa desumersi un fondato timore di subire persecuzioni per motivi di razza, religione, appartenenza etnica o opinione politica, cosicché la censura risulta vaga ed astratta (cfr. Cass. ord. n. 15794/2019: “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protesone richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri l’fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sformo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5.

Quanto alla terza doglianza, con cui si contesta il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria per non avere il collegio tenuto in debita considerazione la situazione generale del *****, essa appare infondata. Il tribunale ha esaminato le più recenti e accreditate COI, citando, con opportuna indicazione delle fonti consultate, rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch, per giungere infine a escludere l’esistenza in ***** di un conflitto armato tale da porre in serio pericolo l’incolumità della popolazione civile. L’obbligo di cooperazione istruttoria richiesto al giudice in materia di protezione intemazionale (Cass. ord. n. 8819/2020) in ordine all’apprezzamento della reale e attuale situazione dello Stato di provenienza risulta assolto nel caso di specie.

Quanto all’ultima doglianza, con cui si contesta il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, essa appare inammissibile poiché, pur deducendo una violazione di legge, il ricorrente aspira ad una diversa ricostruzione dei fatti in punto di sussistenza della situazione di vulnerabilità. Il tribunale ha esaminato ed escluso la ricorrenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ritenendo non sufficiente l’attività lavorativa svolta e l’integrazione sociale raggiunta in Italia e valorizzando, piuttosto, la circostanza che tutti i riferimenti affettivi e familiari del ricorrente si collocano nel Paese d’origine.

Il ricorso va pertanto rigettato, per inammissibilità e infondatezza dei motivi addotti. Nulla per le spese, giacché il controricorso del Ministero risulta, a dispetto della indicazione della causa alla quale si riferisce (numero d’iscrizione a ruolo, nomi delle parti, decisione impugnata), privo di forza individualizzante, constando di uno schema avversativo di genere, sprovvisto cioè di concreta attitudine di contrasto, attraverso l’esposizione di argomenti specificamente indirizzati a quella vicenda e a quella decisione e posti a confronto di quel ricorso (in termini, Cass. 6186/21, non massimata). Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2021

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