LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2405-2018 proposto da:
S.L.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO, 13, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente a debito –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il 19/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
RITENUTO
che:
-la Corte d’appello di Perugia ha dichiarato l’estinzione del processo iniziato da S.K.L., C.S.M.F., anche nella qualità di eredi di S.S.A., al fine di ottenere l’equa riparazione per la non ragionevole durata di una causa civile di natura previdenziale;
– la corte di merito ha rilevato che il processo, interrotto a seguito della sospensione dall’esercizio della professione del difensore dei ricorrenti avv. Nicola Staniscia, non era stato riassunto entro tre mesi dal momento in cui il difensore aveva avuto conoscenza legale del riacquisto dello ius postulandi;
-la corte d’appello ha identificato tale momento con la data del 15 febbraio 2016;
-per la cassazione del decreto S.L.K. ha proposto ricorso affidato a un unico motivo;
– il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso, illustrato come memoria.
CONSIDERATO
che:
– l’unico motivo di ricorso denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione di norme di diritto;
– l’automatica interruzione del processo a seguito di un evento come la sospensione del difensore dall’esercizio della professione si verifica solo nell’ipotesi di effettivo pregiudizio del diritto di difesa della parte rimasta priva della rappresentanza processuale;
– nel caso in esame il periodo di sospensione, iniziato nel mese di luglio del 2013 è cessato nel mese di luglio 2014, è interamente caduto fra la data di assegnazione del procedimento di equa riparazione e quella di designazione del giudice;
– la stessa sospensione, pertanto, non ha minimamente inciso sul diritto di difesa, essendo cessata anteriormente alla prima udienza, tenutasi il 3 aprile 2017, e alla costituzione del Ministero della Giustizia, avvenuta in pari data;
– il ricorso è infondato;
– questa Corte, chiamata a decidere su un ricorso riguardante una vicenda del tutto analoga, avente la sua origine nella sospensione del medesimo difensore, ha riconosciuto infondato il ricorso (Cass. n. 3529/2019), pur rilevando doversi “correggere in parte la motivazione dell’impugnato decreto, il cui dispositivo è conforme a diritto. Per orientamento giurisprudenziale del tutto consolidato, nel processo civile, qualora la parte sia costituita a mezzo di procuratore, l’evento della morte, radiazione o sospensione del procuratore produce l’interruzione del procedimento con effetto immediato, senza necessità di dichiarazione o notifiche ed a prescindere da ogni indagine circa la conoscenza che di detto evento possono avere avuto le parti o il giudice e senza alcuna necessità di declaratoria da parte del giudice stesso, ma il termine perentorio per la riassunzione o prosecuzione del processo cosi interrotto, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 139 del 1967, n. 178 del 1970, 159 del 1971 e n. 36 del 1976, deve farsi decorrere non dal momento in cui l’evento interruttivo si verifica, ma da quello della conoscenza legale dell’evento stesso, risultante, cioè, da dichiarazione, notificazione o certificazione dell’evento, ovvero a seguito di lettura in udienza dell’ordinanza di interruzione, non essendo all’uopo sufficiente la conoscenza di fatto che di esso una delle parti abbia aliunde acquisito (tra le tante, cfr. Cass. Sez. 6 – 3, n. 3782 del 2015; Cass. Sez. 3, n. 3085 del 2010). Questa Corte ha però anche precisato come la temporaneità che connota la sospensione dall’albo professionale, a differenza della morte o della radiazione, diversifica i riflessi che essa produce sul processo interrotto per effetto del suo avveramento e segnatamente connota modi e tempi per la sua ripresa; A differenza dalle altre ipotesi, per la prosecuzione del processo nell’ipotesi di interruzione del processo a seguito di un provvedimento di sospensione del procuratore dall’esercizio della professione, una volta terminato il periodo di sospensione, non e’, dunque, necessaria una nuova procura alla lite, né una nuova costituzione in giudizio, essendo sufficiente, invece, che il procuratore, già regolarmente costituito prima della sua sospensione, riprenda a svolgere le proprie funzioni in base alla precedente procura ed alla già esperita costituzione, entrambe divenute nuovamente valide ed efficaci in seguito alla cessazione della sospensione. Il fatto che il procuratore è ben a conoscenza sia dell’accadimento interruttivo dipendente dalla subita sanzione e sia della relativa durata, gli impone – pur in assenza di conoscenza legale della conseguente ordinanza d’interruzione – di riprendere automaticamente ad esercitare il suo mandato alla scadenza del comminato periodo di sospensione e, quindi, di provvedere alla prosecuzione del giudizio nel prescritto termine ex art. 305 c.p.c., decorrente dalla cessazione del periodo di sua sospensione dall’albo. In tale situazione, ai fini della tempestiva ripresa del processo, non ricorre la medesima esigenza di protezione della parte rappresentata, propria delle ipotesi di definitiva cessazione dello ius postulandi, in cui detto termine deve decorrere dalla sua conoscenza legale dell’accadimento interruttivo, poiché altrimenti resterebbe pregiudicato il diritto di difesa della parte stessa, da assicurare in modo effettivo e adeguato (Cass. Sez. 1, 10/12/2010, n. 24997; Cass. Sez. L, 20/07/2004, n. 13490; Cass. Sez. 1, 28/03/1969, n. 1010). Nella richiamata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 6957 del 17 marzo 2017, la cui cognizione è consentita al Collegio (cfr., ad esempio, Cass. Sez. 5, 15/04/2011, n. 8614), risulta come il CNF, investito dall’impugnazione dell’avvocato Staniscia avverso la sospensione cautelare irrogatagli dal C.O.A. di Perugia irrogatagli il 18 luglio 2013, dichiarò cessata l’efficacia della misura. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ritennero quindi inammissibile il ricorso dell’avvocato Staniscia, evidenziando come “la richiesta di retrodatazione al 18 luglio del 2014 del provvedimento di cessazione dell’efficacia della sospensione disposta dal COA di Perugia non appare in realtà comprensibile, volta che il provvedimento dell’organo disciplinare perugino è stato emesso il 18 luglio del 2013, ed ha, ipso facto, cessato i suoi effetti proprio alla data oggi indicata dai ricorrenti”. Poiché allora in data 18 luglio 2014 era automaticamente cessata la sospensione dell’avvocato Staniscia, il procuratore stesso, non essendo stato revocato e non avendo rinunciato alla procura, aveva l’onere di provvedere a far tempo da quella data alla prosecuzione del giudizio nel termine decadenziale, ai sensi degli artt. 301 e 305 c.p.c. (si vedano anche di recente Cass. Sez. 2, 25/09/2018, n. 22651, n. 22653, n. 22654). In tal senso va emendata la motivazione della Corte di Perugia, la quale, come già indicato, aveva piuttosto ravvisato il dies a quo per la riassunzione entro tre mesi del processo ex art. 305 c.p.c., interrotto a causa della sospensione dell’avvocato Staniscia, facendo riferimento al giorno 15 febbraio 2016, in quanto in tale data l’avvocato Staniscia avrebbe preso conoscenza del riacquisto dello ius postulandi”;
-il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con addebito di spese;
-essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 14 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2021