LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8448-2018 proposto da:
F.D., elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE TRIONFALE 25, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO PRATICO’, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato EVA CASI;
– ricorrente –
contro
DUSSMANN SERVICE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio dell’avvocato MARCO MARAZZA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO ROTONDI, ANGELO GABRIELE QUARTO;
– controricorrente –
contro
R.M.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 230/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 15/09/2017 R.G.N. 214/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/10/2020 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS.
RILEVATO
che, con sentenza del 5 settembre 2017, la Corte d’Appello di Trieste in parziale riforma, peraltro circoscritta alla decisione in punto aggravio delle spese per lite temeraria, della decisione resa dal Tribunale di Udine, rigettava la domanda proposta da F.D. nei confronti della Dussmann Service S.r.l., alle dipendenze della quale la prima operava con impiego nell’esecuzione dell’appalto, di cui la predetta Società era risultata aggiudicataria, relativo al servizio di trasporto sanitario all’interno del presidio sanitario di *****, avente ad oggetto la condanna della Società al risarcimento del danno per non aver provveduto, pur disponendo di mansioni adeguate alle proprie condizioni di salute, pregiudicate da precedenti infortuni, alla sua tempestiva reintegrazione in servizio, prolungando illegittimamente il periodo di sospensione con aspettativa non retribuita;
che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto che l’istruttoria espletata non aveva consentito di accertare, in modo realmente convincente, né l’esistenza e la disponibilità, nell’ambito dello specifico appalto, di ulteriori mansioni compatibili con le condizioni di salute e con le relative prescrizioni mediche, in epoca antecedente alla data del 14.9.2011, cui si riferisce l’offerta lavorativa, inizialmente rifiutata dalla F., di adibizione, con orario ridotto, nella fascia pomeridiana, al servizio “taxi”, né la possibilità di impiego della stessa per il prospettato monte ore residuo, sicché doveva considerarsi legittimo il richiamo operato dal giudice di prime cure dell’orientamento accolto da questa Corte per cui l’obbligo del datore di lavoro di assegnare all’invalido mansioni compatibili con la natura ed il grado delle sue menomazioni e a reperire, nell’ambito della struttura aziendale, il posto più adatto alle sue condizioni di salute non implica che il datore sia tenuto a modificare l’assetto organizzativo dei fattori produttivi da lui insindacabilmente stabilito;
che per la cassazione di tale decisione ricorre la F., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la Società;
che entrambe le parti hanno poi depositato memoria.
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 2696 (rectius 2697) c.c., imputa alla Corte territoriale il malgoverno delle regole sull’onere della prova, ritenendo il medesimo gravante sulla ricorrente quanto alla ricorrenza della possibilità di ripresa del servizio in anticipo rispetto alla data in cui la stessa le è stata offerta;
che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1464 c.c.L. n. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 5 e art. 2103 c.c., lamenta a carico della Corte territoriale il travisamento del principio di diritto per cui l’obbligo del datore di ricollocare il lavoratore pregiudicato nella sua idoneità fisica alle mansioni di originaria adibizione trova il proprio limite nell’impossibilità che ciò comporti una modifica dell’assetto aziendale, ben potendo quell’obbligo implicare la predisposizione di una rotazione tra i dipendenti addetti alle mansioni in ipotesi compatibili con le condizioni di salute del lavoratore nell’ambito dello stesso appalto;
che nel terzo motivo l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in una con la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. è prospettata in relazione alla mancata considerazione di circostanze di fatto accertate in sede istruttoria che avrebbero consentito l’impiego anticipato e pieno della ricorrente, date dal non essere alcuno degli addetti al servizio taxi affetti da limitazioni funzionali e dallo svolgersi del servizio medesimo per l’intero arco della giornata;
– che l’impugnazione proposta, per quanto articolata su tre motivi, impone una valutazione complessiva, sviluppandosi secondo un percorso logico-giuridico per il quale il rigetto della domanda da parte della Corte territoriale deriverebbe dall’illegittimo accollo alla ricorrente dell’onere della prova circa le possibilità di sua ricollocazione a in mansioni compatibili con il suo stato di salute, dall’aver la Corte medesima apprezzato il materiale istruttorio trascurando circostanze di fatto viceversa accertate e soprattutto assumendo a parametro valutativo un principio di diritto travisato nella sua portata, in quanto inteso in termini eccessivamente rigorosi per l’quali il limite; posto all’obbligo di ricollocazione dell’invalido dell’intangibilità dell’assetto organizzativo prescelto dal datore opererebbe in modo da impedire la rotazione tra il personale addetto, utile all’impiego di tutti ed in concreto possibile, atteso che nessuno dei lavoratori impiegati nel servizio taxi soffriva di limitazioni funzionali ed il servizio si protraeva per tutta la giornata;
– che così formulata l’impugnazione non merita accoglimento essendo le censure mosse alcune infondate ed altre inammissibili;
– infondato è certamente il primo motivo, non essendovi dubbio che gli elementi di fatto accertati in sede istruttoria, in relazione ai quali la Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento in ordine all’insussistenza, fino alla data in cui alla ricorrente è stata offerta dalla Società la possibilità di ripresa del lavoro, si basino su un impianto probatorio offerto dalla Società medesima, essendo stata la Corte predetta messa in grado di valutare, una volta accertate documentalmente le condizioni fisiche della ricorrente e le relative prescrizioni mediche, tutte le opportunità di impiego fino all’adibizione al centralino, espressamente escludendole in motivazione, così da supportare il convincimento in questi termini, Non che la ricorrente non avesse dimostrato la propria residua utilizzabilità (del resto la formula usata dalla Corte territoriale nel passo richiamato nel ricorso è certamente anodina essendo del seguente tenore “…l’istruttoria espletata non ha consentito di accertare in modo realmente convincente l’esistenza e la disponibilità…di ulteriori mansioni compatibili), ma che la Società avesse fornito elementi a sostegno dell’affermata insussistenza in seno alla struttura aziendale di posti disponibili prima della data indicata, convincimento maturato all’esito di un accertamento non inficiato dalle omissioni denunciate dalla ricorrente con il terzo motivo, da ritenersi inammissibile, atteso che quelle circostanze di fatto sono state espressamente considerate, ma ritenute recessive rispetto ad altre; soprattutto tale accertamento è da ritenersi coerente, con conseguente infondatezza del secondo motivo, con il principio di diritto sancito da questa Corte a sezioni unite con la decisione n. 7755/1938 (cui è stata data costante continuità fino alla recente Cass., sez. lav., 3.8.2018, n. 20497), correttamente interpretata dalla Corte territoriale in termini tali da non consentire, come immotivatamente preteso dalla ricorrente, la rotazione tra i dipendenti addetti, con distribuzione dei limiti di impegno dati dalla copertura in eccesso della funzione, al fine di consentire l’impiego del lavoratore invalido;
– che il ricorso va dunque rigettato;
– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dells ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2021