Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23145 del 19/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINI Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12-2018 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, 209, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVESTRI, rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCO CIRILLO, ERNESTO MARIA CIRILLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4591/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/06/2017 R.G.N. 5076/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS.

RILEVATO

che, con sentenza del 24 giugno 2017, la Corte d’Appello di Napoli confermava la decisione resa dal Tribunale di Napoli e rigettava l’opposizione proposta da Telecom S.p.A. al decreto ingiuntivo ottenuto da G.R. per il pagamento della retribuzione per il mese di giugno 2013 che l’attore assumeva dovuta dalla Società per effetto della declaratoria giudiziale di nullità del trasferimento di ramo d’azienda disposto dalla Telecom S.p.A. in favore della TNT Logistics Italia Spa (ora Ceva Logistic s.p.a) e della conseguente cessione alla medesima del contratto di lavoro in essere con l’istante;

che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto inefficace nei confronti del G. la cessione del ramo d’azienda e perdurante il rapporto di lavoro tra le parti, sussistente a carico della Telecom S.p.A. l’obbligazione relativa al credito azionato da qualificarsi risarcitoria anche in considerazione della mancata prestazione da parte del G. nei confronti di entrambe le Società per essere stato licenziato dalla cessionaria, inconfigurabile, pertanto, l’aliunde perceptum;

per la cassazione di tale decisione ricorre la Telecom S.p.A., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, G.R.;

che il controricorrente ha poi depositato memoria.

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, la Società ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata imputando alla Corte territoriale l’omessa pronunzia in ordine all’eccepita inammissibilità ed infondatezza della domanda per aver il G. impugnato il licenziamento ed a seguito della declaratoria di illegittimità aver esercitato l’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione; che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1406,2112 e 1363 c.c., lamenta la non conformità a diritto della ritenuta irrilevanza delle vicende estintive che hanno riguardato il rapporto del G. con la Società cessionaria del ramo d’azienda fondata, a detta della Società ricorrente, sul presupposto giuridicamente inesatto della negazione dell’unicità del rapporto di lavoro ceduto;

che va preliminarmente rilevato come entrambi i motivi sono volti a censurare i capi della sentenza con i quali la Corte territoriale ha escluso la rilevanza delle vicende relative al rapporto di lavoro del G. con la Società cessionaria, tanto quelle attinenti all’operatività del rapporto tra le stesse parti instaurato, per effetto del quale alla prestazione lavorativa del G. faceva riscontro il pagamento della retribuzione da parte della Società cessionaria quanto quelle relative alla cessazione del rapporto medesimo;

che in quanto a ciò diretti entrambi i motivi risultano infondati avendo la Corte territoriale correttamente sancito l’irrilevanza di quelle vicende;

che, a questa stregua, va rilevata, quanto al primo motivo l’inconfigurabilità della denunciata omessa pronunzia risultandone, al contrario, implicito il rigetto;

che, quanto al secondo motivo la rilevata infondatezza discende dall’essersi la Corte territoriale conformata all’orientamento di recente invalso nella giurisprudenza di questa Corte con la sentenza n. 17784 del 3 luglio 2019;

che, tale sentenza, nel fissare il seguente principio di diritto “In caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione da parte di questi delle energie lavorative in favore dell’alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente, che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa” perviene al disconoscimento della tesi per cui quella soluzione sconterebbe una indebita duplicazione di retribuzione a fronte di un’unica attività prestata dal lavoratore, il quale così finirebbe per conseguire una locupletazione non dovuta;

che tale disconoscimento – muovendo dall’affermazione, maturata a seguito dell’adesione al principio accolto nella sentenza n. 2990/2018 cui la Corte costituzionale con la pronunzia n. 29 del 28 febbraio 2019 ha riconosciuto valore di diritto vivente, della natura retributiva e non più risarcitoria dei crediti maturati dal lavoratore nei confronti dell’impresa cedente dopo la sentenza dichiarativa dell’inefficacia, illegittimità o inopponibilità al lavoratore medesimo della cessione di ramo d’azienda e, tenuto conto del dato per cui, una volta escluso il titolo risarcitorio del pagamento richiesto dal lavoratore, non troverebbe applicazione il principio della compensatio lucri cum damno su cui si fonda la detraibilità dal risarcimento dovuto, dell’aliunde perceptum approda alla soluzione negativa del problema del se dalle retribuzioni dovute al lavoratore dal datore di lavoro che abbia operato un trasferimento di (ramo di) azienda dichiarato illegittimo e che abbia rifiutato il ripristino del rapporto senza una giustificazione sia detraibile quanto il lavoratore medesimo nello stesso periodo abbia percepito, parimenti a titolo di retribuzione, per l’attività prestata alle dipendenze dell’imprenditore già cessionario, ma non più tale, una volta dichiarata giudizialmente la non opponibilità della cessione al dipendente ceduto;

che il ricorso va dunque rigettato con compensazione delle spese in ragione del consolidarsi sopravvenuto rispetto al ricorso medesimo dell’orientamento interpretativo accolto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2021

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