Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23146 del 19/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27369-2017 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 209, presso lo studio degli avvocati ALBERTO BUZZI, e PATRIZIA PELLICCIONI, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEGLI SCIPIONI N. 252, presso lo studio dell’avvocato BARBARA SILVAGNI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 656/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/07/2015 R.G.N. 779/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/12/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI.

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Palermo respinse la domanda con cui B.S. – dipendente di Trenitalia s.p.a. con qualifica di “professional” presso la sala Operativa Regionale Sicilia con contratto a tempo determinato full time, in servizio presso la Stazione Centrale di Palermo – aveva chiesto dichiararsi il proprio diritto a percepire, dal 1 marzo 2006, i buoni pasto del valore ciascuno di Euro 6,20 (in numero pari a 1060) e di Euro 7.30 ciascuno (in numero pari a 232), per ogni turno lavorativo pomeridiano e mattutino, al quale faceva seguito nella stessa giornata il turno serale.

Avverso tale decisione ha proposto appello B.S., chiedendone la riforma ed insistendo nell’originaria domanda.

La Società ha resistito chiedendo il rigetto del gravame.

Con sentenza depositata il 20.7.17, la Corte d’appello di Palermo rigettava il gravame, condannando la B. al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso quest’ultima, affidato ad unico motivo, cui resiste Trenitalia con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

La B. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 46 del c.c.n.l. Attività Ferroviarie 16.4.03 e dell’art. 19 del contratto aziendale Gruppo FS, sempre del 16.4.03, nonché degli artt. 1362 c.c. e segg.. Riporta le norme collettive invocate e già esaminate dalla Corte palermitana, lamentando che essa errò nell’escludere il suo diritto al ristoro reclamato sol perché aveva accertato che nei pressi della Stazione vi era una mensa aziendale convenzionata con la datrice di lavoro.

In sostanza la rivendicazione della ricorrente si basa sulla tesi che la disciplina collettiva prevedesse anche un orario preciso entro cui consumare i pasti (dalle 12 alle 14, o 19-21;), fasce orarie che erano spesso ricomprese nei vari turni di lavoro.

Il ricorso è fondato, dovendosi dare continuità all’orientamento più volte espresso da questa S.C. sulla questione oggetto della presente controversia (cfr. Cass. n. 7427/16, Cass. n. 23935/14, n. 23934/14, n. 23807/14, n. 23664/14, n. 20597/14, n. 23475/14, n. 26831/13 e Cass. 27063/13 nonché, per tutte quelle precedenti, Cass. n. 14941/09). La Corte territoriale ha statuito che il diritto ai buoni pasto sussiste solo quando il turno di lavoro sia terminato, ma il lavoratore, a causa dei tempi di percorrenza, non sia in grado di raggiungere la propria abitazione entro le fasce orarie concordate per la consumazione dei pasti; il lavoratore non ha invece alcun diritto se impegnato al lavoro durante tali fasce orarie. Al contrario deve osservarsi che la giurisprudenza innanzi richiamata riconosce il diritto ai buoni pasto tanto nel caso in cui durante la fascia oraria concordata il lavoratore sia impegnato al lavoro, quanto nel caso in cui abbia terminato di lavorare, ma i tempi di percorrenza non gli consentano di raggiungere la propria abitazione entro l’esaurirsi di tale fascia oraria.

Di conseguenza, questa S.C. ha già ravvisato il diritto quando il lavoratore abbia svolto il primo turno (6.00-14.00) o il secondo (14.00-22.00), perché in entrambe le evenienze tale orario gli impedisce di consumare nel primo caso il pranzo, nel secondo la cena. Nell’interpretare la clausola di cui si controverte, il dato centrale indicato dalla previsione contrattuale per fruire del ticket restaurant risiede nell’impossibilità per il lavoratore di consumare il pasto nella propria abitazione a causa dell’orario di lavoro in cui è impegnato.

Lo stesso dicasi quanto all’impossibilità di consumare i pasti presso una mensa aziendale sostitutiva (come nella specie), considerato che i turni di lavoro svolti non consentivano di usufruire della mensa stessa, coincidendo in tutto o in parte con gli orari previsti per la consumazione dei pasti.

La sentenza impugnata presenta in sostanza una violazione dei canoni di interpretazione negoziale nella misura in cui esclude il diritto ai tickets in occasione dei turni di mattina e di pomeriggio che ricadevano interamente nelle fasce orarie concordate (12.00/14.00 e 19.00/21.00).

In conclusione, il ricorso è da accogliere e la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione per l’ulteriore esame della controversia alla luce del principio esposto, oltre che per la regolazione delle spese, comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, per l’ulteriore esame della controversia e la regolazione delle spese di lite, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2021

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