Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.23149 del 19/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 34930-2018 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE N. 114, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VALLEBONA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ICCREA BANCA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI n. 22, presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2777/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/07/2018 R.G.N. 5113/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LUIGI CACCIAPAGLIA, per delega verbale Avvocato ANTONIO VALLEBONA;

udito l’Avvocato FRANCO RAIMONDO BOCCIA.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 13 luglio 2018, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento intimato al dirigente C.F. da ICCREA Banca Spa ai fini del riconoscimento dell’indennità supplementare prevista dal CCNL dirigenti della Banche di Credito Cooperativo, Casse Rurali e Artigiane.

2. Per quanto ancora qui interessa, in ordine al primo motivo di appello del C., la Corte ha rilevato che “nel ricorso ex art. 414 c.p.c. non era mai stata sollevata la questione relativa all’inesattezza dei motivi del licenziamento nel senso della erronea indicazione della soppressione invece che dell’accorpamento (intese dall’appellante come due vicende distinte) nonché dell’omessa indicazione nella lettera di licenziamento delle unità accorpate, con la conseguenza che la tematica non può entrare in questa sede in quanto tardiva.

3. Circa il terzo motivo di gravame del dirigente, la Corte ha considerato “tardiva e quindi inammissibile la doglianza dell’appellante il quale ritiene che il tribunale avrebbe omesso di accertare genericamente se c’erano o no posti di dirigente disponibili (e quindi verosimilmente su tutto l’organico aziendale”); argomenta la Corte che “in sede di ricorso ex art. 414 c.p.c. lo stesso C. ha delimitato la violazione del principio di buona fede esclusivamente in relazione agli incarichi dirigenziali attribuiti ai dirigenti F. e M. e mai ha affermato che la ICCREA Banca SPA, in violazione del suddetto principio, non aveva esteso la ricerca di posti disponibili a tutto l’organico aziendale con conseguente novità e quindi inammissibilità della violazione oggi dedotta”.

4. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso C.F. con 4 motivi. Ha resistito ICCREA Banca Spa con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia: “violazione e falsa applicazione degli artt. 414 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere erroneamente affermato che nel ricorso di primo grado non era stata mai sollevata la questione concernente la differenza tra soppressione dell’Unità diretta dal C. e “accorpamento” di due Unità, sicché il relativo motivo d’appello era tardivo”.

Si sostiene che l’affermazione della Corte territoriale sarebbe “gravemente erronea” in quanto nel ricorso di primo grado “si rilevava chiaramente non solo la soppressione della Unità Organizzativa Applicazioni di Mercato, ma anche il suo accorpamento all’interno della Unità Organizzativa Applicazioni Interne e di Mercato”. Pertanto l’atto di appello ben poteva censurare la sentenza del Tribunale “fondandosi su fatti dedotti e pacifici nel ricorso di primo grado”.

2. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Parte ricorrente si duole di come i giudici d’appello abbiano interpretato il ricorso introduttivo del giudizio, ma, per principio radicato nella giurisprudenza di questa Corte qui condiviso, l’interpretazione della domanda giudiziale e dei suoi confini è riservata al giudice del merito (cfr., tra le altre, Cass. n. 24480 del 2020; Cass. n. 31546 del 2019; Cass. n. 29609 del 2018; Cass. n. 18 del 2015, Cass. n. 21421 del 2014; Cass. n. 12944 del 2012; Cass. n. 21208 del 2005) e non è sufficiente che l’interpretazione offerta dai giudici ai quali compete non corrisponda alle attese della parte per determinare la cassazione della sentenza impugnata, ove sia sorretta da adeguata motivazione (Cass. n. 14650 del 2012; Cass. 22893 del 2008; Cass. n. 14751 del 2007) ovvero, nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 da una motivazione che soddisfi il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. 31546 del 2019).

Inoltre il solo fatto che nell’atto introduttivo del giudizio fossero dedotte talune circostanze non significa necessariamente che le medesime potessero costituire fondamento di una pretesa giudiziale identificata da una determinata causa petendi, spettando al giudice del merito effettuare tale valutazione sulla base dell’esame complessivo dell’atto.

3. Il secondo motivo denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost. e dell’art. 53 CCNL Dirigenti Banche di credito cooperativo del 24 luglio 2008, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere erroneamente affermato che la motivazione del licenziamento non deve comprendere le ragioni dell’effettuata riorganizzazione interna”.

Si sostiene che “la motivazione del licenziamento prevista dal predetto art. 53, se il licenziamento non è disciplinare ma per ragioni aziendali, deve comprendere non solo l’eliminazione del posto di lavoro, ma anche le ragioni che hanno causato questa eliminazione e quindi, nel caso di specie, l’accorpamento di due Unità, una delle quali era diretta da C.”.

4. Il motivo non è accoglibile.

In disparte i profili di inammissibilità derivanti dalla circostanza che non viene riportato il contenuto della disposizione contrattuale su cui si fonda il motivo, si trascura di considerare che, secondo questa Corte, anche laddove la contrattazione collettiva applicabile al rapporto dirigenziale preveda la necessità di contestuale motivazione del recesso, ove la stessa non sia stata resa con il licenziamento (ovvero, risulti insufficiente o generica), il datore di lavoro può esplicitarla (od integrarla) nell’ambito del giudizio arbitrale, e, nell’ipotesi in cui il dirigente abbia scelto, in conformità al principio di alternatività delle tutele nelle controversie del lavoro, di adire direttamente il giudice ordinario, analoghe facoltà vanno riconosciute alla parte datoriale nell’ambito del processo, atteso che, diversamente, la posizione del datore di lavoro verrebbe ad essere compromessa per effetto di una autonoma ed insindacabile determinazione della controparte (Cass. n. 3175 del 2013; conf. Cass. n. 23894 del 2018; Cass. n. 3147 del 2019).

Pertanto la pretesa “inesattezza” della motivazione del recesso, di per sé, non avrebbe potuto determinare l’ingiustificatezza del licenziamento e, quindi, l’accoglimento della domanda.

5. Il terzo mezzo denuncia: “violazione e falsa applicazione degli artt. 414 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere erroneamente affermato che nel ricorso di primo grado non era stato mai dedotto l’obbligo della Banca di ricercare posti disponibili in tutta l’azienda per ricollocare il ricorrente, sicché il relativo motivo di appello era inammissibile in quanto trattava una questione nuova”.

Si deduce che “nel ricorso introduttivo di primo grado era citato per tre volte l’obbligo della Banca di ricollocare il ricorrente”, per cui non si sarebbe verificata alcuna preclusione.

6. Il motivo non merita accoglimento per le ragioni già esposte al paragrafo 2, in quanto attiene all’interpretazione dei confini della domanda giudiziale di competenza del giudice del merito.

7. Ne consegue l’inammissibilità del quarto motivo, con cui si denuncia ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 53 della contrattazione collettiva applicabile ad opera della sentenza impugnata, “per avere erroneamente affermato che l’obbligo di repechage per il licenziamento del dirigente deriva dal principio di correttezza e buona fede trascurando la motivazione del licenziamento”.

Infatti il rigetto del motivo che precede determina che la statuizione della Corte territoriale, con cui è stata ritenuta “inammissibile la doglianza dell’appellante” contenuta nel terzo motivo di gravame, ha resistito al vaglio di legittimità e la pronuncia processuale della Corte di Appello preclude ogni esame della questione di merito.

8. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con spese liquidate secondo il regime della soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 4.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2021

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