Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23191 del 20/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9310-2015 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE – FROSINONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIO FANI 139, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO VENTURINI, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO D’AMBROSIO;

– ricorrente –

contro

D.A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBA 12/A, presso lo studio dell’avvocato CARLO ALESSANDRINI, rappresentata e difesa dall’avvocato LOREDANA DI FOLCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9537/2C14 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/12/2014 R.G.N. 168/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2021 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

RILEVATO

CHE 1. con sentenza in data 1 dicembre 2014, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello della A.U.S.L. di Frosinone avverso la sentenza di primo grado, di sua condanna al pagamento, in favore di D.A.R., dipendente con la qualifica di dirigente medico di I livello, della somma di Euro 18.374,91, a titolo risarcitorio per inadempimento all’attribuzione di alcuno degli incarichi previsti dall’art. 27, comma 1 CCNL area dirigenza medica comportante la retribuzione di posizione variabile eccedente il minimo contrattuale con decorrenza dal novembre 1998, commisurabile all’importo minimo desumibile dalle delibere dell’Azienda che avevano operato la “pesatura della valenza degli incarichi”;

2. preliminarmente esclusa la nullità del ricorso introduttivo per la compiuta identificazione, in esito all’esame complessivo dell’atto, del petitum, sia formale che sostanziale, sia della causa petendi, la Corte capitolina riteneva l’inammissibilità dei due motivi nel merito, di erroneo accoglimento dal primo giudice della domanda della lavoratrice, senza fornirne adeguata motivazione, per avere omesso “completamente di considerare le argomentazioni e gli accertamenti in fatto svolti dal Tribunale”, senza quindi esprimere “alcuna valida censura”;

3. essa ne ripercorreva quindi i passaggi argomentativi, appunto non confutati, riguardanti l’interpretazione della normativa contrattuale collettiva da cui risultante il diritto della dirigente, di anzianità superiore al quinquennio, ad un incarico di natura professionale, che non le era stato assegnato, con determinazione della suindicata retribuzione spettantele, previa C.t.u. contabile sulla base della Delib. n. 1822 del 1998 della A.U.S.L.;

– con atto notificato il 30 marzo 2015, essa ricorreva per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis.1 c.p.c., cui la lavoratrice resisteva con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. la ricorrente deduce violazione dell’art. 414 c.p.c., anche come error in procedendo ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per la nullità del ricorso introduttivo, in quanto carente degli elementi essenziali identificativi (petitum, immediato e mediato, causa petendi), in ogni caso estremamente generici, in assenza di indicazione, a fondamento della domanda risarcitoria, della prestazione legittimante il diritto alle indennità richieste, la categoria di incarico conferito o svolto, il procedimento di assegnazione dell’incarico, la durata e la sua valutazione (primo motivo);

2. esso è inammissibile;

2.1. il motivo difetta di specificità, prescritta a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, in assenza di trascrizione del ricorso introduttivo, dovendo la censura conformarsi alla regola fissata da tale norma anche qualora il giudice di legittimità sia investito del potere di esame diretto degli atti, quale interprete del fatto processuale (Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. 8 gennaio 2020, n. 134);

2.2. inoltre, l’interpretazione della domanda come formulata nel ricorso introduttivo spetta esclusivamente al giudice di merito (Cass. 9 maggio 2012, n. 7097; Cass. 9 luglio 2018, n. 17991) ed è insindacabile, in sede di legittimità, in quanto sia, come nel caso di specie, congruamente argomentata (al secondo capoverso di pg. 3 della sentenza), in esatta applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale di legittimità in materia diffusamente richiamato (dal penultimo capoverso di pg. 2 al primo di pg. 3 della sentenza);

2.3. non si configura poi il vizio motivo denunciato, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 11 aprile 2017, n. 8253; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415), applicabile ratione temporis;

3. la ricorrente deduce quindi violazione dell’art. 115 c.p.c. e omessa motivazione, per mancata prova degli elementi costitutivi della pretesa risarcitoria della lavoratrice, in riferimento in particolare alla tipologia di incarico svolto, in base alla previsione dell’art. 27 CCNL area dirigenza medica, al suo conferimento a norma dell’art. 28 CCNL cit. e allo svolgimento ultraquinquennale dell’attività di dirigente, come sottolineato dallo stesso C.t.u. (secondo motivo); violazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, artt. 24, 49 D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, artt. 13, 26, 27, 35, 39 CCNL area dirigenza medica 1998/2001, art. 112 c.p.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per l’erronea attribuzione alla lavoratrice della retribuzione di posizione variabile eccedente il minimo contrattuale (seconda componente, accanto a quella fissa, della retribuzione dirigenziale: art. 35, lett. B, n. 1 CCNL), relativa alla graduazione delle funzioni e collegata all’incarico conferito ai sensi dell’art. 27 CCNL (art. 39, comma 1 CCNL), in assenza di prova dell’avvenuto conferimento di un tale incarico, necessariamente per atto scritto (art. 28 CCNL), né di suo svolgimento, non conseguendo il diritto del dirigente ad un incarico professionale per la sola anzianità ultraquinquennale (terzo motivo);

4. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

4.1. entrambi sono generici, in violazione della prescrizione, a pena di inammissibilità, dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 26 settembre 2016, n. 18860; Cass. 9 ottobre 2019, n. 25354);

4.2. con essi la ricorrente non ha confutato l’affermazione della Corte territoriale di inammissibilità dei due motivi di merito del gravame, chiaramente argomentata, di mancata confutazione delle argomentazioni del Tribunale, sul rilievo appunto che “le censure formulate dall’appellante omettono completamente di considerare le argomentazioni e gli accertamenti in fatto svolti dal Tribunale e, quindi, non esprimono alcuna valida censura” (così al p.to 4.1. al penultimo capoverso di pg. 4 della sentenza), in esito al ragionamento svolto a giustificazione motiva (nei due periodi precedenti a pg. 4 della sentenza) della ritenuta inammissibilità dei suddetti motivi (all’ultimo alinea di pg. 3 della sentenza);

4.3. un concorrente profilo di inammissibilità, direttamente conseguente a quello appena rilevato, è rappresentato dalla natura dell’affermazione non confutata, che è di (prima) ratio decidendi, seguita dalla seconda che affronta poi anche il merito della questione (“Rileva invero il Collegio che il Tribunale non ha riconosciuto il diritto dell’appellata… “: all’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza);

4.4. in proposito, non può che essere ribadito il principio secondo cui, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza (o addirittura, come nel caso di specie, mancanza di una specifica formulazione) delle censure mosse ad una delle rationes decidendi renda inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 21 dicembre 2015, n. 25613; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3307);

5. assorbita pertanto la trattazione di ogni altra questione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione al difensore antistatario secondo la sua richiesta e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’A.U.S.L. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021

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