LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12177/2019 proposto da:
G.S., elettivamente domiciliato in Vicenza, contrà XX settembre n. 35, presso lo studio dell’avv. Adriano Munari, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, *****;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 01/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/03/2021 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTI DI CAUSA
1.- G.S., originario della terra del *****, ha presentato ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale di Vicenza, di diniego del riconoscimento delle protezioni internazionali, come pure della protezione umanitaria.
Con provvedimento emesso in data 1 marzo 2019, il Tribunale di Venezia ha respinto il ricorso.
2.- Il Tribunale ha rilevato, in particolare, che i “fatti riferiti dal ricorrente non evocano profili di persecuzione diretta e personale per alcuna delle ragioni prese in considerazione dalla Convenzione di Ginevra”.
Constatato poi che la “prospettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) non è stata proprio evocata dal ricorrente”, il decreto ha ritenuto che la non credibilità del racconto esposto dal richiedente veniva comunque a escludere l’effettiva ricorrenza, in fattispecie, di trattamenti inumani o degradanti per il caso di rimpatrio: “e’ stato prodotto” – si è in particolare segnalato per tale proposito -, “un mandato di arresto palesemente contraffatto, che si assume essere stato consegnato ai suoi familiari in sua assenza e recapitatogli da questi”. Sulla base di fonti provenienti dal Dipartimento di Stato U.S.A., si è escluso, inoltre, che il ***** nell’attuale presenti situazioni di conflitto armato e/o di violenza generalizzata.
In punto di protezione umanitaria, il Tribunale ha osservato che non erano emersi, nel contesto del giudizio svolto, profili di particolare vulnerabilità della persona del richiedente. “Dalle stesse allegazioni di parte ricorrente non emerge” – si è concluso – “in alcun modo la richiesta “incolmabile sproporzione” tra i due contesti di vita (Paese di provenienza; Paese di accoglienza) nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di vita dignitosa”.
3.- Avverso questo provvedimento, G.S. ha presentato ricorso per cassazione, articolandolo in cinque motivi e pure sollevando due questioni pregiudiziali di legittimità costituzionale.
Il Ministero non si è costituito nel presente grado del giudizio, essendosi limitato, con foglio datato 6 giugno 2019, a chiedere di potere eventualmente partecipare all'”udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1", ove fissata.
4.- Il ricorrente ha anche depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5.- La prima questione di legittimità costituzionale investe la norma del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g. che introduce il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis e “segnatamente il nuovo comma 13, che esclude la reclamabilità in appello del decreto che definisce il giudizio del primo grado; violazione del principio di ragionevolezza e del divieto di discriminazione – violazione dell’art. 14 CEDU e dell’art. 21 della Carta di Nizza e degli artt. 3 e 117 Cost”.
6.- La questione così sollevata appare manifestamente infondata, posto che è costante insegnamento della Corte Costituzionale che il “grado di appello non ha copertura costituzionale, sicché la previsione di un giudizio in grado unico di merito non lede in alcun modo il dettato costituzionale” (cfr., tra le altre, Cass., 18 marzo 2021, n. 7712; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27700).
7.- L’altra questione di legittimità costituzionale concerne l’assenza dei requisiti di necessità e urgenza, con violazione dell’art. 77 Cost., per l’emanazione del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, in relazione all’art. 6 comma 1 lett. g), che introduce il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis.
Più precisamente, il ricorrente assume che la detta novella legislativa, “pur introdotta con decretazione di urgenza”, ha tuttavia “previsto l’applicabilità del nuovo rito solo ai procedimenti giudiziari sorti dopo il 180 giorno dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo” (D.L. n. 13 del 2017, art. 21).
8.- La questione è manifestamente infondata.
Come già rilevato in più occasioni da questa Corte, l'”esigenza di un intervallo temporale perché possa entrare a regime una complessa riforma processuale, qual è quella in discorso, non esclude affatto che l’intervento di riforma sia caratterizzato dal requisito dell’urgenza (cfr., tra le altre, Cass., 5 luglio 2018, n. 17717; Cass., 30 giugno 2020, n. 22951).
9.- Il primo e il secondo motivo di ricorso riguardano la valutazione di non credibilità compiuta dal Tribunale di Venezia. Il primo motivo assume il vizio di motivazione apparente; il secondo motivo la violazione delle norme del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27.
Ad avviso del ricorrente, la motivazione svolta dal Tribunale è meramente generica e “non fornisce alcuna precisazione degli elementi posti alla base di detta valutazione”; non tiene conto della situazione generale del Paese del *****; né prende in considerazione il “recentissimo episodio di aggressione al fratello” del ricorrente.
10.- Il primo e il secondo motivo sono inammissibili.
Gli stessi, infatti, non si confrontano con la ratio decidendi della pronuncia impugnata. Questa, infatti, si basa essenzialmente sulla “palese contraffazione del mandato di arresto” che è stato prodotto dal ricorrente (cfr. sopra, nel n. 2).
11.- Il terzo e il quarto motivo contestano, per altra ragione, il giudizio del Tribunale di Venezia inteso a escludere, nella fattispecie esaminata, la sussistenza dei presupposti rispettivamente previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c).
12.- Anche questi motivi sono inammissibili.
Quanto alla previsione di cui alla lettera b), relativa all’eventuale esposizione a trattamenti inumani e/o degradanti, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che la ravvisata non credibilità del racconto del richiedente determini l’inanità di ogni ulteriore indagine in materia: posto, appunto, che l’eventuale sussistenza di un rischio di esposizione a trattamenti inumani e/o degradanti si misura e rapporta, propriamente, sul racconto svolto dal ricorrente.
Quanto alla previsione di cui all’art. 14, lett. C il ricorrente denunzia la presenza di numerosi casi di abuso (per percosse, stupri, arresti illegittimi) da parte della polizia del *****. Lo stesso, tuttavia, non indica le ragioni per cui tali comportamenti verrebbero a integrare la nozione (giuridicamente rilevante) di un conflitto armato e/o di una violenza generalizzata, così come prescritto dalle norme indicate.
13.- Il quinto motivo concerne la materia della protezione umanitaria. Riferito al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 il motivo fa riferimento all’integrazione sociale del ricorrente, segnalando che questi ha svolto attività lavorativa per una serie di mesi del 2018, producendo delle buste paga al proposito, nonché il CUD 2019, e rimarcando di non avere potuto nei precedenti gradi produrre documentazione di questo tipo, perché non la aveva ancora ricevuta dal datore di lavoro.
14.- Il motivo è inammissibile.
Di là da ogni rilievo sull’eventuale rilevanza dei documenti così prodotti, si deve infatti osservare che “nel giudizio di cassazione, è ammissibile la produzione di nuovi documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza del merito della pretesa” (Cass., 20 febbraio 2020, n. 4415).
15.- In conclusione, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.
Non ha luogo procedersi alla liquidazione delle spese, vista la mancata costituzione del Ministero.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 22 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021