LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19984/2020 proposto da:
E.S., elettivamente domiciliato in Roma, via Pietro Borsieri n. 12, presso lo studio dell’avvocato Angelo Averni, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Federico Donegatti;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1223/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 08/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/03/2021 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTI DI CAUSA
1.- E.S., originario della terra ***** (*****), ha presentato ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale di Padova, di diniego del riconoscimento delle protezioni internazionali, come pure della protezione umanitaria.
Con provvedimento emesso in data 24 maggio 2018, il Tribunale di Venezia ha respinto il ricorso.
Il richiedente ha allora proposto ricorso avanti alla Corte di Appello di Venezia. Questa lo ha respinto con sentenza depositata in data 8 maggio 2020.
2.- La Corte di Appello ha ritenuto, in particolare, che la “vicenda del richiedente e le ragioni del suo allontanamento dal Paese di origine e ostative al rimpatrio non sono inquadrabili in alcuna delle fattispecie di protezione internazionale”.
“E’ evidente infatti” – si è così puntualizzato – “che il racconto nel suo complesso appare generico, in quanto non è stato fornito alcun dettaglio sulle modalità e sull’autorità presso cui avrebbe sporto denuncia; inverosimile, in quanto non appare credibile che, per liberare l’appellante dal sequestro di persona attuato ai suoi danni per ben due settimane, la madre si fosse rivolta al prete della chiesa che frequentava anziché alla polizia; e che anche questi (scil.: il prete) avesse deciso di non rivolgersi all’autorità e di intervenire tramite un altro soggetto con un’operazione difficile e pericolosa come l’evasione descritta; parimenti non plausibile è il fatto che la polizia, oltre a rifiutarsi espressamente di intervenire per reprimere le violenze attuate dai consiglieri del villaggio, avesse poi agito conformemente alla loro richiesta imprigionando l’appellante”.
In appendice a questo ordine di rilievi, la sentenza ha poi anche osservato che la giurisprudenza della Corte di Appello di Venezia è in sé ferma nel ritenere “non rilevanti” le “pratiche di culti locali (quali la successione a capo della setta o culto animista dopo la morte del capo o re precedente)”.
Quanto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), la Corte veneziana – anche richiamando il report EASO COI ***** Securit del novembre 2018 – ha rilevato come non risulti che nella zona dell'***** vi sia una situazione di violenza generalizzata.
In relazione alla materia della protezione umanitaria, la Corte ha stabilito che la “situazione in cui verserebbe l’appellante non risulta integrare la situazione di vulnerabilità che la norma richiede per riconoscere la protezione umanitaria, in quanto non è allegato alcun dato concreto che possa comportare un esito favorevole della valutazione comparativa” richiesta dalla legge; “né può essere sufficiente, al fine del riconoscimento della protezione, la mera circostanza che, secondo quanto riferito dall’interessato, l’ingresso in Italia sarebbe avvenuto attraverso la Libia”.
3.- Avverso questo provvedimento E.S. ha presentato ricorso, formulando cinque motivi di cassazione.
Il Ministero non ha svolto difese nel presente grado del giudizio.
4.- Il ricorrente ha anche depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5.- Il primo e il secondo motivo sono concentrati sul tema della valutazione di non credibilità della narrazione del richiedente, che è stata formulata dalla Corte di Appello, e vanno quindi trattati in modo congiunto.
In particolare, il primo motivo assume la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5 e 7 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 4,8 e 27 e dell’art. 5, comma 6 T.U.I. Il motivo censura la decisione della Corte veneziana, “perché fondata su un erroneo apprezzamento della vicenda personale vissuta dal richiedente”.
Il secondo motivo denuncia, a sua volta, vizio di nullità della sentenza per omessa e/o apparente motivazione; nonché vizio di violazione delle norme degli artt. 112,132,429 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2.
Nel suo svolgimento, questo motivo contesta dapprima la valutazione di genericità del racconto, che è stata effettuata dalla sentenza impugnata, indicando la presenza – nella narrazione – di “diversi dettagli”; di poi, quella d’inverosimiglianza del racconto, là dove questo richiama la richiesta di aiuto rivolta al prete della chiesa cattolica, pure citando al proposito un report EASO (“la polizia ***** non pattuglia le zone residenziali”; “la ***** è oggetto di critiche annose riguardanti la corruzione e la violazione di diritti umano”); infine, quella di implausibilità circa il rifiuto della “polizia di intervenire per reprimere le violenza attuate dai consiglieri del villaggio”, sempre facendo riferimento ai contenuti manifestati da un report EASO.
6.- Il primo e il secondo motivo di ricorso sono inammissibili.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, si ha motivazione apparente quando quella apposta “non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6" (tra le tante cfr., di recente, Cass., 30 giugno 2020, n., 13248).
Nel caso in esame, i motivi proposti dal ricorrente si confrontano con (e ampiamente discutono) i diversi segmenti che compongono la struttura motivazionale della pronuncia impugnata. Sì che i detti motivi vengono propriamente a richiedere, e in termini manifesti, un controllo dello sviluppo argomentativo positivamente svolto dal giudice a quo: ciò che è per l’appunto non consentito dalla vigente configurazione della norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
7.- Dal canto suo, il terzo motivo assume la “totale mancanza di motivazione della pronuncia sulla domanda diretta a ottenere la protezione sussidiaria e il permesso di soggiorno per motivi umanitari; la sentenza della Corte di Appello va contro i principi affermati di recente in un caso analogo da Cass., 13 agosto 2019, n. 21378”.
Nel suo svolgimento, questo motivo assume che, ben vedere, a) la sentenza non esclude la credibilità del racconto nel suo insieme, perché vengono “ritenute generiche o inverosimili solo alcune delle circostanze narrate”; b) che, perciò, risulta decisiva – specie ai fini di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b. – il passaggio concernente l’irrilevanza del “culti locali”; c) che, tuttavia, la motivazione sul punto è solo apparente, posto che la stessa si esaurisce nel mero richiamo ad “alcuni precedenti” della stessa Corte, di questi per di più “indicando solamente il numero e l’anno delle sentenze” e così rendendoli “non agevolmente rintracciabili”.
8.- il motivo non può essere accolto.
A riguardo di questo motivo è da notare come non condivisibile si manifesti proprio il presupposto su cui lo stesso è stato fondato: quello secondo cui la Corte di Appello avrebbe espresso un giudizio di non credibilità non sull’intera narrazione compiuta dal richiedente, bensì su qualche frazione della stessa ovvero su dei singoli episodi (secondo quanto propriamente avvenuto nella vicenda esaminata dal provvedimento di Cass., n. 21378/2019, che il ricorrente richiama a conforto della propria tesi).
In realtà, la valutazione di non credibilità della Corte di Appello attiene al fatto in sé del “sequestro”: ovvero alle conseguenze a cui sarebbe rimasto esposto – nel suo racconto – il richiedente per essersi rifiutato di prendere il posto del defunto padre quale sacerdote di un “culto locale”. La valutazione della Corte territoriale, dunque, investe proprio il nucleo centrale degli assunti formulati dal richiedente: quale appunto inerente all’esistenza stessa di una persecuzione che sarebbe stata perpetrata nei suoi confronti.
Ne consegue che la censura relativa all’assunto carattere apparente della motivazione relativa ai “culti locali” risulta in ogni caso assorbita dalla motivazione che la Corte territoriale compie in punto di non credibilità.
9.- Il quarto motivo di ricorso assume la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 6,7,14, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 25 e difetto di motivazione “in ordine alla mancata considerazione della credibilità del ricorrente e all’omessa attivazione dei doveri informativi officiosi sull’effettivo contrasto alla violenza privata svolto dalle autorità federali circa l’esistenza del pericolo di morte e di danno grave all’incolumità così come dedotto, per inerzia o complicità delle autorità statali e a causa del clima generalizzato di violenza indiscriminata nel Paese di origine del cittadino straniero”.
Nel merito il motivo, ribadite ancora le censure alla valutazione di non credibilità, osserva che la sentenza “si è limitata a rilevare che nell'***** non c’e’ una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata”. Tale motivazione – si assume – “e’ talmente generica che rende impossibile comprendere su quali informazioni effettivamente contenute ne rapporto esse fondi il proprio giudizio”: la stessa è perciò da ritenere senz’altro apparente.
10.- Il motivo è inammissibile.
Come già sopra rilevato (nel n. 6), per la giurisprudenza di questa Corte è apparente la motivazione che non consente di essere controllata sulla base di parametri e riscontri oggettivi.
Nel caso di specie, la Corte veneziana ha puntualmente indicato la fonte da cui ha ritratto – in termini oggettivi e razionalmente fondati – il proprio convincimento (: “EASO Country of Origin Information; *****” aggiornato a novembre 2018, reperibile in “***** EASO COI *****”). Ne’ per tale proposito occorre la trascrizione, in motivazione, dei passi del report che risultino specificamente pertinenti al punto in interesse.
11.- Il quinto motivo assume la “nullità della sentenza per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla omessa considerazione del fatto che il ricorrente è divenuto padre di una bambina nata da una stabile relazione con una cittadina *****, ai fini della situazione di vulnerabilità per la concessione della protezione umanitaria”; nonché violazione dell’art. 5, comma 6 T.U.I., D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, art. 3 Convenzione di Ginevra del 1951.
Nei suoi contenuti, il motivo riscontra che “nel corso del giudizio di appello il ricorrente ha allegato e comprovato con apposita documentazione anagrafica”, depositata “prima della udienza di precisazione delle conclusioni, di essere diventato padre di una bambina E.C., nata a *****; inoltre risulta dagli atti che la “madre della minore è una cittadina *****”, dimorante a ***** con apposito permesso di soggiorno, che ha sposato il richiedente e con il quale convive.
La Corte veneziana non ha preso in considerazione questa circostanza – si annota in proposito -, che pure è di fondamentale importanza, posto che l’unità familiare e lo svolgimento del ruolo genitoriale vanno “inscritte nel novero delle situazioni giuridiche primarie e inviolabili dell’uomo”.
12.- Il motivo merita di essere accolto.
La sentenza della Corte veneziana non ha rivolto alcuna attenzione alla circostanza della genitorialità dal ricorrente; e nemmeno a quella dell’avvenuta costituzione in Italia di uno stabile nucleo familiare di cui sempre il ricorrente fa parte.
Per altro verso, non può dubitarsi della potenziale decisività di entrambe le circostanze appena sopra indicate, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, ai fini della concessione del permesso di soggiorno umanitario, nell’effettuare il giudizio di comparazione tra la situazione del richiedente in Italia e la condizione in cui questi verrebbe a trovarsi nel paese di provenienza ove rimpatriato, il giudice deve tenere in conto particolare pure della “esistenza e consistenza dei legami familiari del richiedente in Italia” (Cass., 28 ottobre 2020, n. 23720). Non diversa valutazione è stata formulata, d’altra parte, in relazione alla circostanza – in sé stessa considerata – della presenza di “figli minori” sul territorio italiano (Cass., 26 febbraio 2021, n. 5506).
13.- In conclusione, va accolto il quinto motivo di ricorso, respinti i primi quattro. Di conseguenza, va cassata per quanto di ragione la sentenza impugnata e la controversia rinviata, per il tema della protezione umanitaria, alla Corte di Appello di Venezia che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, respinti i primi quattro motivi di ricorso. Cassa la sentenza impugnata nei termini di cui in motivazione e rinvia la controversia, per il tema della protezione umanitaria, alla Corte di Appello di Venezia che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 22 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021