LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11691/2020 R.G. proposto da:
E.P.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Stefania Santilli, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 4139/19 depositata il 16 ottobre 2019;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 aprile 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 16 ottobre 2019, la Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame interposto da E.P.C., cittadino della *****, avverso l’ordinanza emessa il 28 febbraio 2019 dal Tribunale di Milano, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dall’appellante.
Premesso che a sostegno della domanda l’appellante aveva riferito di essersi allontanato dal Paese di origine per sottrarsi alle minacce di un politico locale, il quale si era impadronito di un terreno appartenente alla sua famiglia, dopo aver fatto assassinare il padre, la Corte ha ritenuto inattendibili le predette dichiarazioni, in quanto prive di riscontri e contraddistinte da aspetti illogici o inspiegabili, osservando comunque che le stesse si riferivano a problematiche di tipo essenzialmente personale. Ha ritenuto pertanto insussistenti i presupposti di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), rilevando, in ordine alla fattispecie di cui alla lett. c), che, in base alle informazioni desumibili da fonti internazionali, non tutto il territorio della ***** era interessato da una situazione di violenza indiscriminata, essendo l’esercito riuscito a liberare diverse zone del Paese, e restando il rischio di attacchi terroristici limitato all’area nordoccidentale; pur dando atto che nella zona del *****, dalla quale proveniva l’appellante, si registravano atti di violenza armata, posti in essere da gruppi di oppositori del Governo e delle compagnie petrolifere, ha rilevato che l’appellante risultava estraneo agli stessi, fatta eccezione per gli effetti di carattere economico, richiamando comunque le informazioni acquisite, da cui risultava che la situazione era migliorata. Ha ritenuto infine insussistente la condizione di particolare vulnerabilità richiesta ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, ribadendo le considerazioni svolte in ordine all’attendibilità della vicenda personale allegata dall’appellante ed alla situazione del suo Paese di origine, e reputando insufficiente il mero radicamento del richiedente in Italia, in ordine al quale ha precisato che la frequentazione di tirocini formativi o la prestazione di attività d’istruzione, lavoro e volontariato costituisce esclusivamente il mezzo per consentire allo straniero di svolgere una vita attiva nel corso della procedura.
2. Avverso la predetta sentenza l’ E. ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi. Il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, anziché mediante controricorso: nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione, il concorso delle parti alla fase decisoria deve infatti realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);
2. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia l’omissione, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, nonché il travisamento degli elementi di fatto, rilevando che, nel ritenere inattendibile la vicenda personale da lui narrata, la Corte territoriale ha omesso d’inquadrarla nella situazione socio-politica della ***** e di procedere allo svolgimento d’indagini in ordine al suo sistema legislativo, giudiziario e carcerario. Premesso che il Paese è afflitto da conflitti armati ed attacchi terroristici di matrice religiosa, che costituiscono un costante pericolo per la sicurezza e l’incolumità dei cittadini, nonché da gravi violazioni dei diritti umani e da un elevato livello di corruzione delle istituzioni, afferma di essersi immediatamente attivato per presentare la domanda di protezione e di aver compiuto ogni sforzo per circostanziarla, osservando che, nella ricostruzione della vicenda allegata, la sentenza impugnata ha omesso di valutare gli elementi di fatto da lui forniti e i documenti prodotti.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Nel censurare l’apprezzamento compiuto dalla sentenza impugnata in ordine alla credibilità della vicenda personale allegata a sostegno della domanda, il ricorrente non è infatti in grado d’indicare incongruenze o lacune argomentative di gravità tale da impedire la ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito dalla Corte territoriale, ma si limita a far valere la pretermissione di circostanze riguardanti la situazione generale del suo Paese di origine (difficoltà nell’esercizio della libertà religiosa, persistenza di tradizioni culturali arcaiche, inesistenza di un sistema anagrafico, instabilità socio-politica), senza curarsi di precisarne il collegamento con i fatti narrati, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso la deduzione della carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 cit. da parte del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547).
3. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 2, lett. f) e art. 8, comma 3, censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in virtù della ritenuta inattendibilità della vicenda personale allegata e della mancata dimostrazione del rischio di un danno grave, senza procedere ad approfondimenti istruttori ufficiosi in ordine al sistema legislativo e giudiziario della ***** ed alla capacità delle autorità statali di fornire protezione ai cittadini. Aggiunge che la credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente non assume alcun rilievo ai fini dell’accertamento della fattispecie di cui all’art. 14 cit., lett. C in ordine alla quale la Corte territoriale si è limitata a richiamare informazioni concernenti la situazione in atto nell’area nordoccidentale del Paese, senza prendere in esame quella della regione di provenienza di esso ricorrente. Sottolinea che in proposito non è stata richiamata alcuna fonte d’informazione e non sono state prese in considerazione quelle indicate dal suo difensore, osservando inoltre che, ai fini dell’accertamento dell’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata, avrebbero dovuto essere valutati anche gli effetti indiretti dei conflitti in atto, come il deterioramento dell’ordine pubblico ed i danni anche psicologici ricollegabili a forme indirette di violenza.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Il giudizio negativo in ordine alla credibilità soggettiva del richiedente, espresso in conformità dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 risulta infatti di per sé sufficiente a dispensare il giudice dal compimento di approfondimenti officiosi in ordine alla situazione del Paese di origine, ai fini dell’accertamento delle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e art. 14, lett. a) e b), non trovando applicazione in tal caso il dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, il quale non opera laddove, come nella specie, sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quanto meno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. tra le altre, Cass., Sez. II, 11/08/2020, n. 16925; Cass., Sez. I, 12/06/2019, n. 15794; Cass., Sez. VI, 27/06/2018, n. 16925). La ritenuta inattendibilità della vicenda personale risulta invece irrilevante ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all’art. 14 cit., lett. C che, in quanto correlata alla provenienza del richiedente dall’area interessata dal conflitto armato da cui deriva la situazione di violenza indiscriminata che costituisce fonte della minaccia grave e individuale alla vita o alla persona prospettata a sostegno della domanda, può essere esclusa soltanto nel caso in cui i dubbi sollevati in ordine alla credibilità delle dichiarazioni da lui rese riguardino proprio questo profilo (cfr. Cass., Sez. I, 6/07/2020, n. 13940; 24/ 05/2019, n. 14283). Nella specie, tuttavia, la configurabilità della predetta fattispecie è stata esclusa sulla base di informazioni fornite da fonti autorevoli ed aggiornate, dalle quali la Corte territoriale ha desunto che l’attività dei gruppi terroristici di matrice islamica che interessa l’area nordorientale della ***** non si estende alla zona del *****, da cui proviene il ricorrente, registrandosi in quest’ultima soltanto scontri tra le forze armate governative e gruppi oppositori del Governo e delle compagnie petrolifere, cagionati da problemi ambientali e socioeconomici, inidonei a determinare la situazione di violenza indiscriminata richiesta ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria. Tale apprezzamento, che integra un giudizio di fatto rimesso in via esclusiva al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., Sez. II, 29/10/2020, n. 23942; 15/07/2020, n. 15047; Cass., Sez. I, 21/11/ 2018, n. 30105), non risulta validamente censurato dal ricorrente, il quale si limita ad insistere nel proprio assunto, lamentando la mancata specificazione delle fonti d’informazione utilizzate e l’omessa valutazione delle fonti da lui indicate, senza tener conto delle puntuali indicazioni contenute nella sentenza impugnata e senza indicare ulteriori fonti più specifiche o aggiornate di quelle menzionate dalla Corte d’appello. Nel far valere l’omessa valutazione degli effetti indiretti dei predetti scontri, il ricorrente non considera poi che la mera situazione d’insicurezza o instabilità politico-sociale esistente nell’area di origine non risulta di per sé sufficiente ai fini della configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), , ai fini della quale si richiede che la minaccia per la vita o l’incolumità personale sia riconducibile ad una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato, ovverosia ad uno scontro tra le forze armate governative e uno o più gruppi armati antagonisti, oppure tra due o più gruppi che si contendono il controllo militare del territorio, d’intensità e violenza tali da indurre a ritenere che il rimpatrio esporrebbe il richiedente ai predetti rischi, per la sua sola presenza sul territorio (cfr. Cass., Sez. I, 2/03/2021; Cass., Sez. VI, 8/07/2019, n. 18306; 2/04/2019, n. 9090).
4. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 298, art. 5, comma 6, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 4, 7,14,16 e 17, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8,10 e 32 e dell’art. 10 Cost., nonché l’apparenza della motivazione e l’omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, senza tener conto delle persecuzioni in atto in ***** per motivi religiosi, del rischio derivante da conflitti armati ed attentati, della ingiustizia del sistema giudiziario e dell’inumanità dei trattamenti praticati negl’istituti di pena, nonché delle minacce da lui subite ad opera del politico che voleva impossessarsi del suo terreno, con il supporto delle forze dell’ordine. Sostiene che la Corte territoriale ha omesso di valutare la situazione soggettiva ed oggettiva in cui egli versava prima dell’espatrio e di porla a confronto con quella attuale, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare una privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali, non risultando necessario, ai fini della configurabilità di una condizione di vulnerabilità personale, che la situazione d’instabilità politico-sociale comporti l’esposizione ad un pericolo per l’incolumità personale.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata si è infatti attenuta all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’applicazione di tale misura postula una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., Sez. Un., 13/11/2019, n. 29459; Cass., Sez. I, 4/08/2020, n. 17130; 23/02/2018, n. 4455). Richiamate le considerazioni già svolte in ordine alla credibilità della vicenda personale allegata a sostegno della domanda ed alla situazione in atto nel Paese di origine del ricorrente, la Corte territoriale ha escluso la configurabilità di una condizione di particolare vulnerabilità di quest’ultimo, reputando conseguentemente irrilevante, in quanto non suscettibile di isolata considerazione, il livello d’integrazione economico-sociale da lui asseritamente raggiunto in Italia. Nel contestare tale apprezzamento, il ricorrente non è in grado d’indicare elementi di fatto emersi dal dibattito processuale e trascurati dalla sentenza impugnata, idonei ad orientare in senso diverso dalla decisione, ma si limita ad insistere sulla sua vicenda personale, la cui rilevanza è stata coerentemente esclusa in virtù della ritenuta inattendibilità dei fatti narrati, nonché a lamentare l’omessa valutazione di circostanze attinenti alla situazione generale della *****, il cui collegamento con la sua situazione personale è stato ritenuto per alcune insussistente dalla sentenza impugnata, mentre per altre è rimasto assolutamente imprecisato, anche in riferimento alla domanda di applicazione delle altre forme di protezione. Nell’insistere sullo stato d’instabilità ed insicurezza esistente nel suo Paese di origine, il ricorrente non considera poi che, sebbene la privazione dei diritti fondamentali che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria non debba necessariamente costituire l’effetto di un conflitto armato, potendo dipendere anche da altri fattori, correlati alla situazione politica, economica o sociale del paese di origine, l’allegazione di tali fattori non può ritenersi sufficiente a legittimare l’applicazione della misura in questione, in difetto dell’attendibile deduzione di fatti specifici dai quali emerga la personale esposizione del richiedente alle conseguenze della violazione dei predetti diritti, in relazione alla vita privata e familiare da lui condotta in patria: diversamente, si prenderebbe infatti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il paradigma normativo di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, (cfr. Cass., Sez. Un., 13/11/2019, n. 29459; Cass., Sez. I, 15/05/2019, n. 13079; Cass., Sez. VI, 3/04/2019, n. 9304).
5. Il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 8 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021