LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21016/2020 proposto da:
O.H., domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di cassazione e rappresentato e difeso dall’Avvocato Antonio Fiore, per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., domiciliato per legge presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1015/2020 della Corte di appello di Catania, depositata il 12/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Catania con la sentenza in epigrafe indicata ha respinto l’impugnazione proposta da O.H. avverso l’ordinanza con cui il locale Tribunale aveva rigettato l’opposizione al provvedimento della competente Commissione territoriale che ne aveva disatteso la domanda di protezione internazionale nella ritenuta insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del permesso per ragioni umanitarie.
2. Il richiedente nel racconto reso in fase amministrativa ha dichiarato di essere fuggito dal proprio paese ***** (*****) per il timore di essere ucciso dai membri della setta degli ***** per avere rifiutato di succedere al padre all’interno del gruppo.
3. Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza O.H. con quattro motivi. L’Amministrazione si è costituita tardivamente al dichiarato fine dell’eventuale partecipazione alla discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, commi 8, 9, 10 e 11, come introdotto dal D.L. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni nella L. n. 46 del 2017. La Corte di merito aveva deciso di non disporre l’audizione personale del richiedente senza tenere conto che in mancanza della videoregistrazione del colloquio l’indicata normativa stabilisce che il giudice fissi l’udienza di comparizione a pena di nullità come stabilito dalla Corte di cassazione (Cass. n. 17717 del 2018).
2. Il motivo è manifestamente infondato perché la disciplina di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, commi 10 e 11, inserito dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 17, convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, è esito ella novella legislativa che, nel prevedere l’istituzione delle sezioni specializzate in materia di protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea presso i Tribunali sedi di Corte d’appello, ha altresì segnato il ritorno al rito camerale, prevedendo la competenza collegiale.
La riforma è intervenuta su taluni profili relativi alla disciplina processuale di tale categoria di giudizi che involgono la tutela delle garanzie e del principio di effettività della tutela in un processo diretto al riconoscimento di un diritto fondamentale della persona, all’interno del quale si inserisce la norma richiamata nel motivo di ricorso ed oggetto della sentenza di questa Corte n. 17717 del 2018.
L’indicata disciplina non vale per i procedimenti ante riforma, entrata in vigore il 19 aprile 2017, qual è quello di specie celebrato in un primo e secondo grado di merito.
3. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), in relazione al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3. Nel valutare la protezione sussidiaria il giudice ha un dovere di cooperazione nell’accertare la situazione reale del Paese di provenienza attraverso l’esercizio di poteri-doveri ufficiosi di indagine per esame di informazioni aggiornate. Al momento della decisione erano disponibili versioni più aggiornate dei report utilizzati dalla Corte di appello sulla società degli ***** i cui contenuti erano coerenti con il racconto reso dal richiedente (report Università Roma tre aggiornato al gennaio 2019 e report EASO aggiornato al febbraio 2019).
Il motivo è inammissibile perché diretto ad una rivalutazione dei fatti operata dalla Corte di appello senza che valga a dare concludente contenuto, in difetto di decisività delle fonti portate in ricorso, alla dedotta violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 cit. (Cass. n. 4037 del 18/02/2020).
4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 in relazione al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8. La Corte di appello non aveva ritenuto, ai fini del riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, la rilevanza ai fini del giudizio sulla vulnerabilità del periodo trascorso in Libia dal richiedente collocando il primo in epoca successiva all’emergenza sanitaria in quel paese là dove invece il ricorrente si trovava in Libia proprio in quel periodo dal 17 gennaio 2011 al 14 settembre 2013.
In ogni caso il giudizio espresso dai giudici di appello e per il quale il trauma subito sarebbe stato superato dall’intervenuto decorso del tempo non era coerente con il racconto ed erroneo nell’applicazione del dovere di collaborazione istruttoria, il decorso del tempo non è da solo sufficiente per stabilire con certezza il superamento del trauma.
Il motivo è inammissibile perché diretto ad una rivalutazione nel merito della vicenda dedotta dal richiedente e non provvede ad allegare per quali passaggi del racconto reso il carattere traumatico delle condizioni di vita avute in Libia avrebbe inciso sulla vulnerabilità del ricorrente.
5. Con il quarto motivo il ricorrente fa valere l’erronea applicazione del doppio contributo e della presupposta condanna alle spese di giudizio erroneamente fondata sui presupposti della manifesta infondatezza dell’appello.
Il motivo è inammissibile perché si lega allo stesso una diversa e generica valutazione degli esiti del giudizio.
6. Il ricorso in via conclusiva va rigettato.
Nulla sulle spese nella tardività della costituzione dell’Amministrazione intimata.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato parti a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 21 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021