Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23239 del 20/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22114/2020 R.G. proposto da:

S.U., rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. Maria Visentin, presso il cui studio in Roma, via Cunfìda n. 16, è

elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 1878/2020 pubblicata il 21/07/2020;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 22/06/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Succio.

RILEVATO

che:

– con il provvedimento di cui sopra la Corte Territoriale ha respinto l’appello di parte ricorrente;

– avverso detta sentenza si propone ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi; il Ministero dell’Interno ha unicamente depositato atto di costituzione in vista dell’udienza.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata e del procedimento per violazione del potere-dovere officioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti, in base al diritto vivente della S.C. e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e alla dir. 2004/83/CE nonché per contrasto irriducibili tra affermazioni inconciliabili, in ambedue i casi rilevanti ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere la Corte di appello dedotto nulla quanto alle doglianze relative alla mancata puntuale audizione del ricorrente nel corso del giudizio di primo grado e per avere detta Corte da un lato ritenuto che le situazioni di vulnerabilità rilevanti per la concessione del permesso per ragioni umanitarie costituiscano “catalogo aperto” e dall’altro negato la concessione di tal protezione pur avendo esaminato la situazione generale della Nigeria;

il secondo motivo censura la gravata sentenza per errato/omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente” per avere la Corte di appello lagunare mancato di valutare la situazione di serio pericolo nella quale il ricorrente si troverebbe al rientro in patria;

il terzo motivo si incentra ancora sulla mancata concessione della protezione c.d. “sussidiaria”, denunciando violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, per avere il giudice dell’appello valutato in modo superficiale i rischi esistenti attualmente in Nigeria con riguardo agli attacchi terroristici;

i motivi possono trattarsi congiuntamente, e risultano tutti infondati; in tema di protezione internazionale, il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili (come la corte d’appello ha accertato (v. la sentenza, specialmente alle pagg. 5 e 7) non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), del medesimo decreto, poiché in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purché egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione (Cass. n. 10286 del 2020), dovere in questo caso (come la Corte territoriale ha accertato a pag. 6 ultimo periodo della sentenza impugnata) concretamente non adempiuto. Ciò premesso rileva la Corte che il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), presuppone, conformemente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), che, in conseguenza degli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, il grado di violenza indiscriminata deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione di provenienza, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subire una minaccia grave e individuale alla sua vita o alla sua persona (Cass. n. 18306 del 2019). La sussistenza di tale presupposto, peraltro, dev’essere accertata dal giudice di merito tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020), indicando la fonte a tal fine utilizzata nonché il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019);

ebbene, la decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti. La Corte d’appello, infatti, indicando le fonti internazionali consultate e le informazioni ivi raccolte (l’utilizzabilità, la pertinenza e l’attualità delle quali non sono state in alcun modo contestate dal ricorrente, che si è limitato a fornirne altre sollecitando(quindi una revisione del meritus causae non consentita a questa Corte di Legittimità), ha ritenuto, in sostanza, che, in Nigeria ed, in particolare, nel territorio del Delta State, i conflitti ivi riscontrati non abbiano determinato una situazione di violenza tale che la sola presenza di civili nell’area costituisse per gli stessi un pericolo per la vita o la loro incolumità. Peraltro, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, il ricorrente ha il dovere – che, però, nel caso di specie è rimasto inadempiuto – di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr. Cass. n. 26728 del 2019);

– quanto, infine, alla protezione umanitaria, si tratta, com’e’ noto, di una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, erano accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018);

– nel caso di specie, la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando l’insussistenza di una situazione di personale vulnerabilità del richiedente. Si tratta di un apprezzamento in fatto che, come detto, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze decisive che, però, il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non ha specificamente indicato come dedotte nel giudizio di merito. D’altra parte, ed escluso ogni rilievo alle persecuzioni asseritamente subite in Nigeria a fronte dell’inattendibilità della relativa narrazione da parte del richiedente (incontestatamente accertata dal giudice di merito e, quindi, ormai definitiva), rileva la Corte che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018). Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza. Difetta sul punto ogni elemento di valutazione, che il ricorrente non dimostra, con la riproduzione dei relativi passi, di aver dedotto con l’atto contenente la domanda di protezione umanitaria;

– pertanto, il ricorso è rigettato;

– non vi è luogo a statuizione sulle spese in difetto di costituzione dell’intimato Ministero dell’Interno.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021

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