LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29378-2016 proposto da:
B.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.
CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELO DI LORENZO;
– ricorrente –
contro
COMUNE PADOVA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 257, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CIANNAVEI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati VINCENZO MIZZONI, PAOLO BERNARDI, MARINA LOTTO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1684/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso ex art. 703 c.p.c. per reintegrazione nel possesso B.R. citava in giudizio il Comune di Padova esponendo di essere possessore di una casa di abitazione in via ***** posta al confine con il fabbricato “*****”, di proprietà del Comune e lamentando che la porzione di terreno non edificata fra le pareti dei due edifici era stata occupata dal Comune con una scala esterna in acciaio collocata a un metro e mezzo dalla parete di sua proprietà. Il B. chiedeva, pertanto, la tutela del possesso con ordine di rimuovere la scala e la passerella perché il manufatto violava la distanza legale dalla sua parete finestrata, nonché quella di tre metri prescritta dall’art. 873 c.c. per tutte le costruzioni e dall’art. 907 c.c., avendo la costruzione antistante una veduta diretta verso il fondo.
2. Si costituiva il Comune di Padova chiedendo il rigetto della domanda.
3. La causa veniva istruita con l’acquisizione di documenti e, con ordinanza del 23 gennaio 2012, il giudice concedeva la manutenzione del possesso, ordinando la rimozione della scala. Il Tribunale accoglieva il reclamo proposto dal Comune, e successivamente, con sentenza definitiva, confermava la prima ordinanza interdittiva del 23 gennaio 2012, ordinando al Comune di Padova di rimuovere la scala esterna realizzata sul retro del fabbricato denominato “*****” con condanna al risarcimento dal danno dà liquidarsi in separato giudizio.
4. Il Comune di Padova proponeva appello avverso la suddetta sentenza. Si costituiva il B. chiedendo il rigetto dell’appello.
5. La Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione e, in riforma della sentenza gravata, rigettava il ricorso possessorio proposto da B..
Secondo la Corte d’Appello, l’unico profilo possessorio ipotizzabile per la particolare tipologia della scala metallica installata, completamente aperta su ogni lato, riguardava la veduta di cui il B. godeva e che sarebbe stata gravemente compromessa dall’incombente presenza della scala con conseguente diminuzione di aria luce e luminosità dell’abitazione.
Secondo il giudice del gravame il B. non aveva dimostrato tale pregiudizio, non essendovi prova del fatto che a causa della scala il suo appartamento ricevesse meno luce e aria dalle sue finestre a confine, le quali provviste di solida grata non gli consentivano neanche di affacciarsi sul fondo del Comune. Peraltro, non si poteva ritenere che eventuali individui, accedendo alla biblioteca dalla scala di sicurezza, potessero guardare dentro casa sua, non essendo contestato che la scala era destinata all’uscita in caso di emergenza e non rappresentando un accesso ordinario. Di conseguenza doveva rigettarsi anche la richiesta di risarcimento del danno.
6. B.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.
7. Il Comune di Padova ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità per violazione di norme del procedimento (art. 112 c.p.c.) e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti.
La sentenza sarebbe viziata innanzitutto per la violazione dell’art. 112 c.p.c. in conseguenza della non corrispondenza fra la domanda e la sentenza. Infatti l’appello del Comune si fondava sulla mancata violazione dell’art. 879 c.c. e dell’art. 90 del regolamento edilizio i quali escluderebbero le scale a giorno dal regime delle distanze legali per la loro struttura che non forma intercapedini. Inoltre, il Comune aveva lamentato l’insussistenza di un diminuito godimento del diritto di veduta del ricorrente dalle sue finestre sull’area di proprietà del Comune, essendo queste luci per di più abusive e anche se qualificate come vedute non erano in alcun modo limitative del godimento. La sentenza di primo grado aveva invece ordinato la rimozione della scala sulla considerazione che l’opera era stata realizzata in violazione della distanza legale di 10 metri tra le costruzioni prescritta dall’art. 7 delle norme di attuazione del piano regolatore in quanto realizzata fuori terra con caratteristiche di solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante ancoraggio e collegamento fisso all’edificio. Tale violazione costituiva turbativa del possesso del ricorrente riducendo l’intercapedine tra i due fabbricati pregiudicando la fruibilità delle vedute consentendo a terzi estranei di “inspicere” nella proprietà del ricorrente.
Secondo il ricorrente, la sentenza della Corte d’Appello avrebbe accolto il motivo solo sulla mancanza di diminuzione di aria e luce, omettendo di pronunciarsi sulla violazione della distanza imposta dall’art. 7 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore del Comune di Padova invocato sin dall’introduzione della domanda possessoria a seguito della turbativa del possesso.
Il ricorrente evidenzia ancora che la ragione assorbente dell’accoglimento della domanda possessoria in primo grado era stata quella della qualificazione della scala come nuova costruzione in violazione della distanza legale dalla proprietà del ricorrente.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione di norme di diritto, art. 873, 907 e 1170 c.p.c. in relazione art. 360 c.p.c., n. 3.
La censura è sostanzialmente ripetitiva della precedente lamentando la grave turbativa del possesso a causa della violazione della normativa in materia di distanze. In particolare, il ricorrente lamenta la violazione della distanza legale dalle vedute di cui all’art. 907 e la conseguenza turbativa del possesso.
2.1 Il primo e il secondo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.
La Corte d’Appello ha accolto l’appello del Comune di Padova senza fornire alcuna motivazione delle ragioni in virtù delle quali ha ritenuto che la scala oggetto della controversia non possa considerarsi quale nuova costruzione rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di distanze, oltre che di vedute.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte: “In tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame” (Sez. L, Sent. n. 27112 del 2018).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello non ha neanche motivato per relationem rispetto alla sentenza di primo grado, quanto piuttosto con riferimento al provvedimento che il Tribunale di Padova aveva adottato in accoglimento del reclamo del Comune avverso il provvedimento interdittivo, provvedimento poi smentito dalla sentenza definitiva.
Nella sentenza impugnata, infatti si legge che “appare corretta l’impostazione data dal Tribunale del reclamo. B. ha proposto un’azione di manutenzione, lamentando che il suo possesso sia stato violato dalla costruzione della scala distanza illegale. E’ vero che il ricorrente ha chiesto sia la reintegrazione, sia la manutenzione del possesso ma non vi è dubbio della costruzione della scala non ha determinato uno spoglio violento del possesso altrui pertanto in tal caso è ammissibile soltanto l’azione di manutenzione. Secondo la Corte d’Appello la violazione delle distanze legali tra costruzioni può essere denunciata in via possessoria solo quando abbia determinato un apprezzabile modificazione o limitazione dell’esercizio del possesso. Nel caso di specie tale pregiudizio non sarebbe stato dimostrato in quanto non vi è prova della privazione di aria luce per le finestre del ricorrente B.”.
Tale motivazione è del tutto insufficiente a spiegare le ragioni dell’accoglimento dell’appello del Comune non essendo possibile cogliere il percorso logico argomentativo che ha portato il giudice del merito a ritenere che la costruzione della scala non abbia leso il possesso del B.. L’azione di manutenzione è diretta a tutelare il potere di fatto esercitato su una cosa, e non la titolarità del corrispondente diritto reale – che invece rileva nel giudizio petitorio -, e richiede di accertare se le turbative attentino all’integrità del possesso, determinando un’apprezzabile modificazione o limitazione del modo del suo precedente esercizio. Ne consegue che, in caso di azione di manutenzione volta a reprimere l’inosservanza da parte del vicino delle distanze legali, la sussistenza della dedotta molestia deve essere valutata in rapporto alla situazione possessoria preesistente e, quindi, allo stato di fatto esistente prima dell’intervento indicato come lesivo del possesso.
Nella specie, il giudice del gravame, avrebbe dovuto accertare se la scala rientrasse o meno nella nozione di nuova costruzione ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di distanze e, in caso di risposta affermativa, se la medesima scala fosse posizionata ad una distanza legale rispetto all’immobile del ricorrente, oltre a verificare il rispetto delle distanze legali stabilite per le vedute ed i prospetti, avendo riguardo alla destinazione permanente dell’opera. In caso, infatti, un manufatto di nuova costruzione venga a trovarsi a distanza inferiore a quella legale rispetto all’altrui fondo, impedendo anche il comodo affaccio esercitabile su di questo, realizza una turbativa del possesso del vicino reclamabile con l’azione di manutenzione. Infatti, le violazioni delle distanze legali tra costruzioni – al pari di qualsiasi atto del vicino idoneo a determinare situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di una servitù – sono denunciabili ex art. 1170 c.c. con l’azione di manutenzione nel possesso, costituendo attentati alla libertà del fondo di fatto gravato, e, pertanto, turbative nell’esercizio del relativo possesso – fattispecie in tema di creazione di affacci e vedute in parte inesistenti, in parte preesistenti ma accresciute (Sez. 2, Sent. n. 22414 del 2004).
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: nullità per violazione di norme del procedimento art. 112 c.p.c. violazione di norme di diritto art. 2909 c.c..
La censura attiene al capo della sentenza relativo all’accoglimento del motivo di appello sulla statuizione di condanna al risarcimento del danno.
3.1 Il terzo motivo è assorbito dall’accoglimento dei primi due.
4. Si impone, pertanto, in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Padova in diversa composizione che, alla luce degli enunciati principi, dovrà verificare se la scala in oggetto possa essere qualificata come nuova costruzione e, in caso affermativo, se vi sia stata un’apprezzabile compromissione della pregressa situazione possessoria, per essere posta tale costruzione a distanza inferiore a quella legale. Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione che liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 9 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021