Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.23282 del 23/08/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17756-2019 proposto da:

D.L.G., quale titolare legale rappresentante della omonima ditta ” D.L.G.” elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SCIRE’ 15, presso lo studio dell’avvocato LUIGI CASALE, rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO TORTOLANI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 2186/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositato il 27/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

PREMESSO CHE:

D.L.G. ricorre in cassazione avverso il decreto della Corte d’appello di Salerno 27 marzo 2019, n. 2186, che ha rigettato l’opposizione da egli fatta valere contro il decreto della medesima Corte di parziale accoglimento della domanda – la Corte d’appello ha condannato il Ministero della giustizia al pagamento di Euro 1.870 volta a ottenere l’indennizzo per la durata irragionevole del processo svolto innanzi al Tribunale di Salerno (processo di opposizione al decreto che aveva ingiunto al ricorrente il pagamento di Euro 20.291,45, che, iniziato il 4 aprile 2007, è stato definito con sentenza del 28 novembre 2016).

Resiste con controricorso il Ministero della giustizia.

CONSIDERATO

CHE:

Il ricorso è articolato in tre motivi:

a) Il primo motivo denuncia “art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 6, par. 1 della convenzione Europea dei diritti dell’uomo, violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-bis, violazione del diritto vivente come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, erronea determinazione del termine ragionevole di durata del processo, violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, motivazione erronea, violazione degli artt. 24 e 111 Cost., incostituzionalità”; dall’inizio della vicenda (con la notificazione dell’atto di citazione) fino al passaggio in giudicato della sentenza che ha definito l’opposizione sono decorsi 10 anni e 9 mesi: la Corte d’appello, invece, ha ritenuto che il dies ad quem della durata del processo andasse identificato nel giorno della pubblicazione della sentenza; inoltre la Corte d’appello ha disatteso la pronuncia della Corte costituzionale n. 36/2016 che ha censurato la L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2-bis e 2-ter laddove consente il superamento del limite dei due anni.

Il motivo è infondato. Come ha precisato la Corte d’appello nel rigettare l’analogo motivo ad essa proposto, il termine per proporre l’impugnazione non va considerato ai fini del computo del termine di ragionevole durata. La L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quater, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, – secondo cui “non si tiene conto del tempo (..) intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa” – esprime d’altro canto “un chiaro elemento interpretativo della ratio della legge sull’equa riparazione”, in quanto “non può essere addebitato all’amministrazione della giustizia il lasso di tempo di stasi processuale, nel quale nessun giudice è incaricato della trattazione del processo, come quello relativo al decorso del termine per proporre impugnazione” (così Cass. 26833/2016), ratio che rende manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del richiamato art. 2, comma 2-quater adombrata dal ricorrente. Quanto alla pronuncia del giudice delle leggi n. 36/2016, si tratta di pronuncia che si riferisce non alla durata del processo presupposto, ma a quella del processo di equo indennizzo, processo nell’ambito del quale, “per ottenere l’indennizzo da irragionevole durata di un altro processo, la durata complessiva dei due gradi di giudizio è ragionevole ove non ecceda il termine di un anno per grado, anche alla luce della sentenza n. 36 del 2016 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità della L. n. 89 del 2001, art. 2,comma 2-bis, nella parte in cui si applica alla durata del processo di equa riparazione in primo grado” (così Cass. 16857/2016, richiamata dal ricorrente).

b) Il secondo motivo contesta “art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1 della convenzione Europea dei diritti dell’uomo, violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, violazione del diritto vivente come interpretato dai giudici Europei, erronea quantificazione dell’indennità”: la Corte d’appello, a fronte della contestazione sollevata dal ricorrente con l’opposizione, si è limitata ad affermare la congruità della quantificazione nella misura minima di Euro 400 per anno.

Il motivo non può essere accolto. Come riconosce lo stesso ricorrente, la quantificazione è prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, a norma del quale “il giudice liquida a titolo di equa riparazione, di regola, una somma di denaro non inferiore a Euro 400 e non superiore a Euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata”.

c) Il terzo motivo, strettamente connesso al precedente, fa valere “art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1 della convenzione Europea dei diritti dell’uomo, violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, violazione del diritto vivente come interpretato dai giudici Europei, ineffettività del rimedio indennitario, violazione degli artt. 111 Cost., comma 2 e art. 117 Cost., comma 1 incostituzionalità”: nel caso di specie sarebbe “evidente una esasperata e irragionevole limitazione dell’indennità liquidata, che comprime oltre misura il diritto sostanziale oggetto della tutela della convenzione”, compressione che renderebbe rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, così come rilevante e non manifestamente infondata è stata ritenuta da Cass. 51/2018 la questione della costituzionalità dell’art. 2, comma 2-quinquies, lett. e).

Il motivo non può essere accolto. Il ricorrente invoca infatti la pronuncia di questa Corte che ha sollevato la, del tutto diversa, questione di legittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lett. e), disposizione dichiarata illegittima dal giudice delle leggi con la sentenza n. 169 del 2019, che condizionava la stessa proponibilità della domanda di equa riparazione alla presentazione dell’istanza di accelerazione nel processo penale presupposto, ponendosi così in contrasto “con l’esigenza del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata, e con il diritto ad un ricorso effettivo”.

2. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 1.000, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472