Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.23283 del 23/08/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16072-2019 proposto da:

S.N., C.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato GINA TRALICCI, che li rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto di rigetto n. 4809/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 30/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

PREMESSO CHE:

Gli avvocati S.N. e C.S. ricorrono in cassazione avverso il decreto della Corte d’appello di Roma 30 novembre 2018, n. 4809, che ha loro negato l’indennizzo per la durata irragionevole del giudizio iniziato il 15 dicembre 2008 innanzi al Tribunale di Roma e concluso dalla Corte d’appello di Roma con la sentenza 21 giugno 2016, n. 6286 ( S., difensore di C., ha partecipato in proprio al solo grado d’appello del processo presupposto, avendo impugnato la sentenza di primo grado che aveva omesso di distrarre in suo favore le spese processuali).

L’intimato Ministero della giustizia non ha proposte difese.

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso è articolato in un motivo che lamenta “violazione o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 degli artt. 112, 115, 116, 89 e 96 c.p.c., omessa valutazione di una circostanza determinante, art. 360 c.p.c., n. 5” ed esamina partitamente la posizione dell’avvocato S. e quella dell’avvocato C.:

– quanto all’avvocato S., il decreto sarebbe censurabile laddove ha ancorato il rigetto della domanda sul presupposto dell’irrisorietà del danno e sulla possibilità di ricorrere al procedimento di correzione dell’errore materiale in luogo dell’appello; da un lato la scarsa entità della posta in gioco rileva soltanto ai fini della quantificazione del danno e non della sua esclusione, dall’altro lato l’atto di appello è precedente rispetto alla pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 16037/20101 che ha definitivamente stabilito che il rimedio esperibile in caso di omessa pronuncia sulla distrazione delle spese è il procedimento di correzione degli errori materiali;

-quanto all’avvocato C., si contesta che la Corte d’appello abbia considerato quale valore della causa la somma (500 Euro) cui il ricorrente è stato condannato per violazione dell’art. 89 c.p.c. e non il credito fatto valere dal medesimo, pari invece ad Euro 1.665,66, e si deduce che non incide sul diritto all’equo indennizzo la condanna ex art. 89 c.p.c.

Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha rilevato l’irrisorietà del danno lamentato dai ricorrenti in relazione alla pretesa fatta valere (Euro 1.003,77 quanto alle spese di cui è stata omessa la distrazione, Euro 500 il risarcimento del danno ex art. 89 c.p.c. ed il riferimento al maggiore valore, peraltro indicato in Euro 1.665,66, del processo presupposto non è specifico, limitandosi il ricorrente a generici riferimenti) e ha considerato le condizioni personali dei ricorrenti, desunte dalla loro qualifica professionale, non superate da prova contraria. Il giudice ha così correttamente applicato la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, lett. g), che appunto prevede che “si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, in caso di (..) irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte” (v., al riguardo, Cass. 26497/2019, per cui “in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, in applicazione dell’art. 12 del protocollo n. 14 alla CEDU, si deve tenere conto della soglia minima di gravità, al di sotto della quale il pregiudizio non è indennizzabile, da apprezzarsi nel duplice profilo della violazione e delle conseguenze, sicché restano escluse dalla riparazione sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, di per sé non significative, sia quelle di maggiore estensione temporale, riferibili però a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi”). Quanto all’ulteriore rilievo, relativo alla posizione dell’avvocato S., circa l’utilizzo del procedimento di correzione invece dell’appello, è vero che la pronuncia delle sezioni unite è successiva, di pochi mesi, rispetto alla proposizione dell’appello, ma è altrettanto vero che il ricorrente, dopo la pronuncia, avrebbe potuto proporre istanza di correzione, rinunciando all’appello.

2. Il ricorso va quindi rigettato.

Nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472