Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.23284 del 23/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21443-2019 proposto da:

B.D., + ALTRI OMESSI, domiciliati in ROMA, VIA G AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato MATTEO ACCIARI, rappresentati e difesi dall’avvocato BRUNO GUARALDI, giusta procura in atti;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 5327/2018, della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA depositato il 22/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

PREMESSO CHE:

I ricorrenti indicati in epigrafe ricorrono in cassazione avverso il decreto della Corte d’appello di Bologna 22 dicembre 2018, n. 5327, che ha rigettato l’opposizione da essi proposta avverso il decreto n. 633/2018 della medesima Corte d’appello che, nel procedimento proposto da ottantacinque creditori per ottenere l’indennizzo da equa riparazione per l’irragionevole durata di un fallimento dichiarato dal Tribunale di Rimini, ha accolto la domanda di soli tre ricorrenti e respinto quella degli altri ottantadue. Tutti i ricorrenti avevano già chiesto l’equa riparazione alla Corte d’appello di Ancona in relazione a medesimo procedimento fallimentare, apertosi nel 1982, ottenendo ciascuno un indennizzo di Euro 5.000 per l’eccessiva durata sino alla data della decisione (5 giugno 2013) e avevano quindi chiesto alla Corte d’appello di Bologna l’indennizzo per l’ulteriore periodo di quattro anni sino alla chiusura della procedura il 30 luglio 2017. La domanda è stata respinta perché l’indennizzo precedente – pari a 5.000 Euro – era superiore all’ammontare del credito ammesso allo stato passivo.

Il Ministero della giustizia resiste con controricorso e fa valere ricorso incidentale.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso principale è articolato in tre motivi.

a) Il primo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., art. 112 c.p.c., L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 2-bis, comma 3, in relazione all’art. 6, par. 1 della convenzione Europea dei diritti dell’uomo, 1 del primo protocollo addizionale, 111 e 117 Cost.”: il decreto impugnato, nel negare ai ricorrenti il diritto all’equa riparazione per l’ulteriore periodo di quattro anni di ulteriore irragionevole durata del processo presupposto, ha violato il giudicato esterno costituito dall’accertamento contenuto nella decisione della Corte d’appello di Ancona sul primo ricorso “Pinto” dei lavoratori.

Il motivo è infondato. I ricorrenti invocano precedenti di questa Corte che precisano come la proposizione di successive domande di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata di un medesimo processo, in conseguenza del protrarsi della violazione anche nel periodo successivo a quello accertato con una prima decisione, costituisce esercizio di una specifica facoltà prevista dalla legge ed è funzionale al perseguimento delle sue finalità, postulando essa il riconoscimento dell’equo indennizzo in relazione alla durata dell’intero giudizio. Il principio, però, è stato considerato dalla Corte d’appello, che ha respinto l’eccezione del Ministero di inammissibilità della domanda per avere i ricorrenti già in precedenza proposto ricorso per l’equa riparazione del danno causato dalla eccessiva durata del processo ancora non concluso, proprio richiamando l’orientamento di questa Corte invocato dai ricorrenti.

La Corte d’appello ha confermato il decreto di rigetto della domanda sulla base di quanto invece previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, comma 3: la domanda era sì ammissibile, ma l’indennizzo non poteva essere riconosciuto in quanto la somma liquidata nel primo giudizio (Euro 5.000) era superiore al credito ammesso allo stato passivo del fallimento e – ha correttamente osservato la Corte d’appello – ove si intraprendano più giudizi per l’equa riparazione della irragionevole durata del medesimo processo il limite massimo fissato dal comma 3 dell’art. 2-bis non può non tenere conto dei precedenti indennizzi, appunto trattandosi di un unico processo presupposto.

b) Il secondo motivo contesta “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.”: la Corte d’appello, nonostante la mancanza di precedenti di questa Corte relativi all’applicazione del tetto risarcitorio di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3 in caso di successivo ricorso per equa riparazione, non ha compensato le spese del processo.

Il motivo non può essere accolto. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, “il sindacato di legittimità sulle pronunzie dei giudici del merito è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, essendo del tutto discrezionale la valutazione di totale o parziale compensazione per giusti motivi, la cui insussistenza il giudice del merito non è tenuto a motivare” (così, ex multis, Cass. 10009/2003).

c) Il terzo motivo, anch’esso rivolto nei confronti della pronuncia sulle spese, contesta alla Corte d’appello la mancata valorizzazione della domanda, poi rinunciata, di condanna ai sensi dell’art. 96 c.c., comma 3, originariamente formulata nella memoria di costituzione dal Ministero.

Il motivo non può essere accolto. Le questioni su tale domanda, da qualificarsi meramente accessoria, “non incidono infatti sulla determinazione della soccombenza nemmeno ai fini di temperarla o di qualificarla parziale o reciproca” (Cass. 9532/2017 e, più di recente, Cass. 14813/2020).

Il ricorso principale va pertanto rigettato.

2. Il ricorso incidentale è fondato su un motivo che contesta “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 e R.D. n. 267 del 1942, art. 129 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”: il concordato fallimentare, una volta che il concordato sia stato omologato con decreto non impugnabile oppure con la decisione sulla opposizione, va considerato come chiuso; pertanto, erroneamente nella fattispecie si è ricompresa nella durata della procedura fallimentare anche la frazione temporale relativa alla esecuzione del concordato e si è ricondotto il dies a quo L. n. 89 del 2001, ex art. 4 alla acquisita definitività in data 30-31 agosto 2017 del decreto emesso a seguito della avvenuta esecuzione del concordato, con conseguente tardività del ricorso proposto da controparte.

Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, la procedura di concordato fallimentare è strutturalmente connessa al più ampio procedimento fallimentare in quanto fase e attività eventuale che inerisce al giudizio concorsuale principale; ne consegue che il dies a quo per valutare la tempestività della proposizione del ricorso, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 coincide con il momento in cui il decreto di chiusura del fallimento diviene definitivo” (così Cass. 18538/2014).

Il ricorso incidentale va quindi respinto.

3. A fronte della reciproca soccombenza, va disposta la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2021

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