Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.23289 del 23/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25046-2019 proposto da:

D.B., rappresentato e difeso dall’avvocato Giacomo Cainarca, del foro di Milano ed elettivamente domiciliato agli indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso il decreto n. 5961/2019 del Tribunale di Milano, depositato il 09/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:

– con provvedimento notificato il 23.10.2018 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria;

– avverso tale provvedimento interponeva opposizione D.B., che veniva respinta dal Tribunale di Milano con decreto n. 5961 pubblicato il 09.07.2019;

– la decisione evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, rilevando preliminarmente che il racconto del richiedente asilo non fosse da ritenere attendibile in quanto le dichiarazioni della vicenda narrata apparivano vaghe e prive di qualsiasi dettaglio utile a meglio circostanziare l’accaduto; in particolare quanto alla ragione che lo avrebbe spinto a fuggire dal *****, rappresentata dal ritorno in famiglia di uno zio, fratello del padre morto, violento, soprattutto nei confronti della madre, non riportava alcuna minaccia specifica o altra forma di violenza ed aggressione subita dallo zio che avrebbe potuto legittimare il suo timore, oltre alla considerazione che al suo rientro avrebbe ben potuto vivere altrove. Aggiungeva che comunque la vicenda narrata esulava dalla fattispecie dello status di rifugiato e non consentiva di pronosticare un rischio di persecuzione generalizzato. Quanto alla protezione sussidiaria il ricorrente non indicava nella propria vicenda personale da quali fatti si ricavasse l’esistenza del rischio di andare incontro all’applicazione della pena di morte ovvero di subire trattamenti inumani e degradanti. Ne’ il Pese di provenienza del richiedente, il *****, era classificabile come zona caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza diffusa e indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante, come evidenziato dalle informazioni assunte (***** del 2018 e il ***** 2018 – ***** pubblicato nel 2019, nonché il rapporto ***** for 2017).

Del pari veniva negata la ricorrenza dei presupposti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in quanto con riferimento alla vita trascorsa in Italia veniva rilevato che il ricorrente risultava avere svolto esclusivamente le tipiche attività organizzative dei centri di accoglienza, sicché si trattava di una situazione non indicativa di un effettivo radicamento in Italia;

– propone ricorso per la cassazione di tale decisione – notificato in data 04.09.2019 – A.M., affidato a due motivi;

– il Ministero dell’interno intimato ha depositato solo “atto di costituzione” per eventualmente partecipare alla discussione.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 10 Cost., comma 3 e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 per non avere il giudice di merito considerato la disciplina di siffatte norme. Inoltre, ad avviso del ricorrente, avrebbe posto l’accento su elementi, quali la retribuzione, non così preminenti, tralasciando ulteriori elementi rilevanti, come il renvirement delle condizioni di difficoltà al rientro nel suo Paese.

La censura è inammissibile, poiché deduce solo formalmente un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge, nella sostanza allegando un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ciò che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, se non sotto il profilo motivazionale (Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 22707/2017; Cass. n. 6587/2017; Cass. n. 195/2016).

Questa Corte, infatti, ha già avuto occasione di chiarire, nella recente sentenza 23/02/2018, n. 4455, invocata dallo stesso ricorrente, che, “se assunti isolatamente, né il livello di integrazione dello straniero in Italia né il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza integrano, di per sé soli e astrattamente considerati, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto” alla protezione umanitaria, in quanto “il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU (…) – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (…) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06 caso Nnyanzi c/ Regno Unito, par. 72 ss.)”.

Il Tribunale ha motivatamente respinto l’istanza di protezione umanitaria effettuando la valutazione comparativa richiesta dalla giurisprudenza, in quanto ha escluso la ricorrenza di una condizione di vulnerabilità specifica, sia per la carenza di attendibili informazioni circa la personale condizione di vita nel Paese di origine, stante la non credibilità del ricorrente, sia perché le condizioni personali dedotte non integravano i presupposti della protezione richiesta (v. ultima parte pag. 9 del provvedimento impugnato).

La decisione allora appare in linea con i principi enunciati da Cass. n. 4455 del 23/2/2018: a fronte di ciò, il ricorrente da un lato propone una pura e semplice critica di merito riguardante l’accertamento di fatto della insussistenza dei presupposti richiesti dalla normativa, e dall’altro non illustra se e quando la situazione del paese di origine sulla quale incentra la doglianza fosse stata dedotta, nel giudizio di merito, a fondamento della domanda di protezione umanitaria.

La generica doglianza proposta integra perciò una inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. n. 16056/2016; Cass. n. 29404/2017; Cass. n. 9547/2017; Cass. n. 27072/2019; Cass. n. 6939/2020; Cass. n. 7192/2020);

– con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione ddel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3 e 5, per non avere il Tribunale riconosciuto la sussistenza dei presupposti per la protezione sussidiaria, nonostante il rientro in ***** del richiedente, senza alcun appoggio familiare, in povertà, lo renderebbe sicuro oggetto di violenza, come da informazioni reperite sulla zona di provenienza.

E’ da ritenere inammissibile anche siffatta censura.

Diversamente dall’assunto del ricorrente, non sono ravvisabili lacune nel provvedimento per motivazione apparente, posto che il Tribunale ha espresso le ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria. In particolare, il Tribunale – dopo avere giudicato il racconto del ricorrente poco credibile quanto al timore di essere ucciso dallo zio paterno al suo rientro – richiamando le fonti internazionali consultate, ha evidenziato che il richiedente proviene dal *****, attualmente non caratterizzata da episodi di violenza generalizzata.

Il giudice di merito ha, comunque, fatto specifico riferimento alle COI più aggiornate (dal 2019 al 2017) ed ha escluso che l’area di provenienza del richiedente fosse interessata da una situazione di violenza generalizzata di tale gravità e diffusione da mettere a repentaglio l’esistenza ed incolumità della persona.

A fronte di tale accertamento, il ricorrente neanche indica le ragioni per cui il suo racconto sarebbe attendibile ovvero le specifiche circostanze, limitandosi a riferire genericamente di fonti che confermerebbero nella zona che siano occorsi degli attentati e la presenza di terroristi.

Questa Corte ha affermato, anche di recente, che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, dev’essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria (Cass. 2 ottobre 2019 n. 24647).

Ciò in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea secondo cui i rischi in cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sé una minaccia individuale da definirsi come danno grave, potendo l’esistenza di un conflitto armato interno portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia Europea (Corte di Giustizia, causa C-285/12, Diakite’, sentenza 30 gennaio 2014 e causa C-465/07, Elgafaji, sentenza 17 febbraio 2009).

Alla luce degli enunciati principi, la censura del ricorrente si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che richiede che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 13 agosto 2018 n. 20721).

Il giudice di merito ha, quindi, compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in esito al quale ha ritenuto non sussistente la violenza generalizzata nel paese di origine e tale statuizione è conforme a diritto.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

Non avendo il Ministero intimato svolto difese, nessuna pronuncia va adottata sulle spese del giudizio.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2021

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