Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.23298 del 23/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28716-2016 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G PISANELLI 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO RICCI, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO CIUFFOLINI;

– ricorrente –

contro

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 57, presso lo studio dell’avvocato PAOLO CANEPUCCIA, che lo rappresenta e difende con l’avvocato SIMONA PRIOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1208/2016 del TRIBUNALE di RIMINI, depositata il 04/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/04/2021 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

FATTI DI CAUSA

P.L. ebbe a chiedere ed ottenere decreto ingiuntivo nei confronti di C.M. per l’importo di Euro 4.077,73 a titolo di compenso per l’opera professionale di avvocato prestata in favore della cliente e svolta in relazione a lite giudiziale proposta contro la C. dal Condominio, in cui abita.

La C. propose opposizione e, resistendo il P., il Giudice di Pace di Rimini ebbe a rigettare l’opposizione svolta e confermare il provvedimento monitorio opposto.

La C. propose gravame avanti il Tribunale di Rimini, che, sempre resistendo il P., rigettò l’impugnazione e gravò l’appellante, oltre che delle spese di lite, anche di somma ex art. 96 c.p.c., comma 3.

Osservava il Giudice romagnolo come in causa risultava provato che la C. si rivolse all’avv. P., non solo, per avere un parere circa l’atto introduttivo del giudizio ricevuto dal suo Condominio, ma anche per resistere in detto giudizio con la conseguente predisposizione della comparsa di risposta.

Inoltre il Giudice d’appello rimarcava come il professionista aveva provato di aver svolto con diligenza l’incarico affidato sino al recesso della cliente, fondato sulla mera divergenza di vedute circa la linea difensiva da seguire e come il compenso chiesto era nei limiti di tariffa e congruo rispetto all’impegno professionale provatamente profuso.

Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.M. articolando quattro motivi di censura.

Ha resistito con controricorso l’avv. P.L., che ha pure depositato nota difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto dalla C. va rigettato in quanto privo di fondamento giuridico.

Con la prima ragione di doglianza la ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, individuato nella mancata considerazione da parte del Giudice d’appello delle sue difese in relazione alla valutazione delle prove acquisite in causa.

In effetti l’argomentazione critica sviluppata nel mezzo d’impugnazione, benché denunziato omesso esame di fatto storico, si compendia in concreto nella contestazione della valutazione dei dati probatori acquisiti in causa senza l’individuazione del necessario fatto storico non esaminato dal Giudice riminese. Consegue l’inammissibilità della censura poiché, nemmeno in astratto, si configura il vizio denunziato in ragione dell’argomento critico sviluppato.

Con la seconda ragione di doglianza la C. deduce violazione della norma ex art. 2237 c.c., in quanto il Tribunale romagnolo non ha considerato i numerosi errori della prima sentenza da lei segnalati e non ha ritenuto che la revoca del mandato sia intervenuta ben prima della redazione della comparsa di risposta.

Con la terza doglianza la ricorrente segnala violazione delle norme ex art. 2697 c.c. ed art. 116 c.p.c., nonché omesso esame ed insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, poiché il Giudice d’appello ha malamente apprezzato il risultato delle testimonianze assunte in causa; non ha rilevato la pur segnalata presenza di duplicazione delle voci di parcella, benché opinata dall’Ordine professionale; ha ritenuta tardiva la sua contestazione circa la quantificazione dell’ammontare del compenso, benché questione già proposta avanti il Giudice di Pace.

Le due su ricordate censure possono esser trattate unitariamente posto che attingono la medesima questione, ossia la valutazione degli elementi di prova acquisiti in atti, e sono l’una inammissibile e l’altra priva di fondamento.

Difatti la censura afferente la violazione del disposto ex art. 2237 c.c. si compendia nell’apodittica affermazione che la revoca del mandato professionale intervenne prima che l’avv. P. confezionasse la comparsa di costituzione in giudizio e che erroneamente il Giudice riminese ha ritenuto il contrario ed abbia richiamato all’uopo il mandato apposto a margine di detto atto con la sua sottoscrizione.

Dunque il denunziato vizio di violazione di regola giuridica si riduce a riproposizione, per giunta in modo apodittico, della propria tesi difensiva puntualmente e motivatamente disattesa dal Giudice d’appello senza un effettivo confronto con l’argomentazione da questo spesa per sostenere la sua statuizione.

Il terzo mezzo d’impugnazione s’articola in più profili, sempre però afferenti la contestazione circa il merito dell’apprezzamento svolto dal Tribunale in ordine al compendio probatorio.

Difatti la C. inizia con il contestare l’apprezzamento del risultato delle prove orali assunte in causa, argomentando circa la necessità di privilegia e diversa fonte rispetto a quella ritenuta più affidabile dal Tribunale, ma ciò non configura il vizio di legge dedotto, posto che il Giudice d’appello ha puntualmente motivato la sua scelta proprio sulla scorta del suo prudente apprezzamento siccome previsto ex art. 116 c.p.c..

Circa la duplicazione di voci nella parcella, opinata dall’Ordine professionale, le ricorrente non specifica mai, con chiarezza, quali voci furono duplicate, onere necessario a fronte dell’asseverazione operata dall’Ordine professionale che assicura di certo la formale correttezza rispetto ai parametri della tariffa forense, sicché la censura pecca di non autosufficienza.

Pare di capire che le voci duplicate siano quelle afferenti le “consultazioni” – pag. 13 – distinte tra l’incontro teso alla formulazione di un parere e l’incontro finalizzato alla predisposizione della difesa in giudizio, ma al riguardo il Tribunale ha accertato che più furono gli incontri tra l’avvocato P. e la cliente, anche per la formulazione di soli pareri, sicché nemmeno in concreto concorre la dedotta violazione della norma ex art. 116 c.p.c. ovvero il difetto di motivazione.

Quanto infine alla riproposizione della questione afferente la contestazione nel merito della liquidazione operata in parcella, ritenuta tardiva poiché svolta solo con l’atto d’appello, l’argomento critico svolto nel mezzo d’impugnazione si risolve, non già, nella specifica indicazione del quando e come la questione sottoposta al Giudice di Pace, bensì nell’elaborazione di ricostruzione della propria linea difensiva dalla quale poter desumere che, sin dall’avvio della lite, la quantificazione del compenso venne contestata anche con relazione al parametro del valore da attribuire alla lite condominiale ai fini dell’applicazione della tariffa forense corrispettiva.

Con il quarto ed ultimo mezzo d’impugnazione la C. lamenta violazione del disposto ex art. 96 c.p.c., comma 3 in quanto il Tribunale, al di fuori dei parametri di detta norma ebbe a condannarla a pagare somma a tale titolo al P..

La censura si compendia nell’apodittica contestazione della statuizione adottata al riguardo dal Giudice d’appello e puntualmente motivata con il richiamo alla natura eminentemente causidica della lite promossa dalla C..

Quindi la censura mossa risulta fondata sulla mera contestazione della valutazione fatta dal Giudice d’appello con sollecitazione a questa Corte di legittimità di proceder ad inammissibile esame circa il merito della questione.

Al rigetto del ricorso proposto dalla C. segue la sua condanna alla rifusione verso l’avv. P. delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo tariffa forense come precisato in dispositivo.

Concorrono in capo alla ricorrente le condizioni per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al P. le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza di camera di consiglio, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2021

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