LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 467-2017 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso lo studio dell’avvocato ROSSANA CLAVELLI, DELL’AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI CURTO;
– ricorrente –
contro
P.V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIROLAMO BOCCARDO 26/A, presso lo studio dell’avvocato GENNARO FREDELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato OTELLO MILACRO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1520/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 2C/06/2016 R.G.N. 3426/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.
RILEVATO
CHE:
1. La Corte di Appello di Lecce ha respinto l’appello proposto da Poste italiane avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva accolto la domanda di P.V.G. per il riconoscimento dell’infermità sofferta quale dipendente da causa di servizio e condannato la società al pagamento dell’equo indennizzo.
2. La Corte territoriale ha condiviso l’esito della perizia espletata dal consulente tecnico d’ufficio in ordine alla derivazione dell’ipertensione arteriosa da causa di servizio, rilevando che la lavorazione svolta dal dipendente aveva avuto carattere usurante e tale da esplicare efficacia lesiva preponderante nell’insorgenza dell’affezione sofferta.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Poste italiane s.p.a sulla base di un unico motivo, al quale ha opposto difese il P. con tempestivo controricorso illustrato da memoria.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con l’unico motivo la società ricorrente denunzia violazione della L. n. 1094 del 1970 e del D.P.R. n. 461 del 2001, nonché illogicità, travisamento e incongruità della motivazione (ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5), essendosi basata, la Corte territoriale, solamente sugli esiti della relazione peritale e non avendo motivato la propria decisione.
2. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Invero, il motivo di ricorso difetta di decisività perché è dedotto, in termini ricognitivi, l’iter amministrativo di valutazione della causa di servizio senza alcuna censura – se non di carattere del tutto generico concernente la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata; laddove la Corte d’appello ha tenuto conto dell’esito dalla perizia medica affidata al consulente tecnico d’ufficio, rilevando, seppur succintarnenie, la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie, ossia il nesso causale fra attività lavorativa e infermità e fra quest’ultima e lesione permanente dell’integrità psico-fisica.
Va sottolineato che la dipendenza da causa di servizio, che condiziona la nascita del diritto all’equo indennizzo, è sussistente a prescindere dal suo accertamento in sede amministrativa, tanto che, ove venga erroneamente esclusa, può essere accertata in sede giudiziale. L’azione giudiziale volta al riconoscimento della causa di servizio ed alla liquidazione dell’equo indennizzo ha per oggetto non la regolarità del procedimento, o l’illogicità o contraddittorietà delle determinazioni assunte dall’organo tecnico competente per gli accertamenti sanitari, che non hanno carattere vincolante, bensì la verifica delle condizioni per la sussistenza del diritto, onde il giudice ha il potere-dovere di accertare i detti requisiti e di esercitare il proprio potere istruttorio d’ufficio, ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c., disponendo c.t.u. medico-legale (cfr. Cass. n. 14197 del 2017).
3. In conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
4. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art.13, comma 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi nonché in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza, il 25 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021