Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23386 del 24/08/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8585/2018 R.G. proposto da:

Albe S.r.l., in persona del suo legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Bianchi, con domicilio eletto in Roma, via C. Monteverdi n. 20, presso lo studio dell’avvocato Alfredo Codacci Pisanelli;

– ricorrente –

contro

Comune di Calvisano, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in Roma, via Livio Andronico n. 24, presso lo studio dell’avvocato Ilaria Romagnoli che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Mario Gorlani;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5238/23/2017, depositata in data 11 dicembre 2017, della Commissione tributaria regionale della Lombardia;

udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 21 aprile 2021, dal Consigliere Dott. Liberato Paolitto.

RILEVATO

che:

1. – con sentenza n. 5238/23/2017, depositata in data 11 dicembre 2017, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello proposto da Albe S.r.l. avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di tre avvisi di accertamento emessi dal Comune di Calvisano relativamente all’IMU dovuta dalla contribuente per gli anni dal 2012 al 2014;

– il giudice del gravame, nel condividere le conclusioni cui era pervenuta la Commissione tributaria provinciale, ha ritenuto che:

– gli avvisi di accertamento esponevano una compiuta motivazione della pretesa impositiva, avuto riguardo all’indicazione del relativo titolo e dei sottesi presupposti, così che la contribuente era stata posta nella condizione di conoscerne gli elementi essenziali e di “approntare pienamente le proprie difese”;

– per quanto la contribuente avesse presentato, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, la dichiarazione di variazione catastale prescritta dal D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis, conv. in L. n. 106 del 2011, nella fattispecie rilevava, ai fini dell’imponibilità IMU, che, – così come accertato in via dirimente dal primo giudice, – la stessa contribuente “aveva dichiarato di aver chiuso l’unità locale di ***** alla C.C.I.A.A. competente e di aver cessato ogni attività, stante il fatto che dall’anno 2011 esercitava l’attività di “locazione immobiliare dei beni propri””; accertamento, questo, che, per l’appunto, non aveva formato oggetto di impugnazione da parte dell’appellante;

2. – Albe S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi illustrati con memoria; il Comune di Calvisano resiste con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

CONSIDERATO

che:

1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, della L. n. 241 del 1990, art. 3, e della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, deducendo, in sintesi, che la gravata sentenza aveva risolto la questione relativa alla compiutezza motivazionale degli atti impugnati in formule di stile, considerando come non necessaria, ai fini in discorso, l’esposizione “degli elementi e delle argomentazioni che portano alla rettifica della denuncia del cittadino” e, nello specifico, del “ragionamento che aveva portato il Comune a negare la ruralità” degli immobili;

– il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, espone la denuncia di violazione di legge con riferimento al D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 8, conv. in L. n. 214 del 2011, ed al D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. in L. n. 133 del 1994, sull’assunto che la ruralità delle (tre) unità immobiliari iscritte in catastato nella categoria D/10, e qual indicate negli avvisi di accertamento, conseguiva automaticamente da una siffatta iscrizione catastale e, così, – nel precludere ogni difforme accertamento, – imponeva, ad ogni modo, la loro tassazione con l’aliquota dello 0,2 per cento;

– col terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.L. n. 201 del 2011, cit., art. 13, comma 14 bis, nonché al D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5-ter, conv. in L. n. 124 del 2013, assumendo, in sintesi, che, – una volta presentata (il 30 settembre 2011) la domanda di variazione catastale delle unità immobiliari (riportate in avvisi di accertamento e) non iscritte (già) nella categoria D/10, con conseguente annotazione del requisito di ruralità, – si era prodotto l’effetto automatico, relativo al riconoscimento del requisito di ruralità di dette unità immobiliari, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda (citato art. 2. comma 5-ter); effetto, questo, che precludeva, quindi, ogni diverso accertamento, rendendo incontrovertibile l’attribuzione della qualifica rurale agli immobili;

2. – il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento;

2.1 – la Corte ha statuito, con consolidato orientamento interpretativo, che l’obbligo motivazionale dell’avviso di accertamento ICI deve ritenersi adempiuto laddove il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, e, quindi, di contestare efficacemente Van ed il quantum dell’imposta, – a tal fine rilevando la puntualizzazione degli estremi soggettivi e oggettivi della posizione creditoria dedotta, e l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa (Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571);

– e si e’, altresì, precisato che detto onere di motivazione non comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (Cass., 24 gennaio 2018, 1694; Cass., 11 giugno 2010, n. 14094);

– nella fattispecie, come correttamente rilevato dal giudice del gravame, – e così come del resto emerge dalla stessa riproduzione che ne ha operato la ricorrente, – gli avvisi di accertamento recavano specifica indicazione tanto delle unità immobiliari sottoposte a tassazione, con i relativi estremi identificativi, quanto i correlati criteri di computo, e di determinazione, della base imponibile e dell’imposta dovuta, – qual articolati in relazione alla tipologia di dette unità immobiliari, – così che, alla stregua di una siffatta scansione dei presupposti impositivi, ne riusciva, per implicito (ma inequivocamente) escluso il riconoscimento della ruralità rilevante ai fini della applicazione dell’aliquota ridotta;

3. – il secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati, e vanno accolti, nei limiti di quanto in appresso precisato;

3.1 – venendo in considerazione l’imposta municipale propria (IMU) introdotta (in via sperimentale dall’anno 2012) dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214, occorre premettere che, con riferimento ai fabbricati connotati da ruralità, la relativa disciplina, – a fronte della prevista causa di esclusione dall’imposizione ICI, conseguente al D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 23, comma 1-bis, conv. in L. 27 febbraio 2009, n. 14, – ha istituito il regime di favore, delineato dall’art. 13, comma 8, cit. (a riguardo dell’aliquota applicata, ridotta allo 0,2%), che forma oggetto della domanda proposta dalla contribuente; e il relativo regime ha avuto riguardo (solo) ai fabbricati rurali ad uso strumentale “di cui al D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, comma 3-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133.” (art. 13, comma 8, cit.);

3.2 – secondo un consolidato orientamento interpretativo della Corte, l’identificazione della ruralità dei fabbricati esclusi dall’imposizione ICI (citato art. 23, comma 1 bis, in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a)) si correlava al dato oggettivo delle emergenze catastali, essendosi rilevato che l’immobile già iscritto nel catasto dei fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, cit., non è soggetto all’imposta, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), cit., laddove se l’immobile risulti iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI; e, allo stesso modo, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta (così Cass. Sez. U., 21 agosto 2009, n. 18565 cui adde, ex plurimis, Cass., 9 marzo 2018, n. 5769; Cass., 31 ottobre 2017, n. 25936; Cass., 11 maggio 2017, n. 11588; Cass., 20 aprile 2016, n. 7930; Cass., 12 agosto 2015, n. 16737);

3.3 – la rilevanza regolativa del criterio identificativo in discorso, e, dunque, la sua esclusiva attinenza al dato catastale, – è stata, poi, ribadita dalla Corte (anche) a riguardo dello jus superveniens in tema di emersione catastale dei fabbricati rurali, e con riferimento, quindi:

– al D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2 bis, conv. in L. 12 luglio 2011, n. 106, che ha previsto la presentazione di una “domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione all’immobile della categoria A/6 per gli immobili rurali ad uso abitativo o della categoria D/10 per gli immobili rurali ad uso strumentale.”, dietro autocertificazione dell’interessato;

– al citato D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 14 bis, che, – nel prorogare i termini della sopra ricordata domanda di variazione catastale, e nel confermarne “gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo.”, – ha demandato ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze la determinazione delle “modalità per l’inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo.” (v. il D.M. 26 luglio 2012);

– al D.L. 31 agosto 2013, n. 102, art. 2, comma 5 ter, conv. in L. 28 ottobre 2013, n. 124, che, con norma di interpretazione autentica, ha disposto che “il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, comma 14-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità di cui al D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda.”;

3.3.1 – disposizioni, queste, rispetto alle quali si e’, difatti, osservato che “rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione Ici; sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme.” (così, ex plurimis, Cass., 23 giugno 2020, n. 12303; Cass., 9 marzo 2018, n. 5769; Cass., 30 giugno 2017, 16280; Cass., 20 aprile 2016, n. 7930) 3.3.2 – e, in particolare, si è rimarcato che, – ai fini della variazione catastale dei fabbricati disciplinata dal D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis, cit., e dal D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 14 bis, cit., con gli effetti retroattivi di cui al D.L. n. 102 del 2013, all’art. 2, comma 5 ter, cit., – la relativa domanda di variazione, presentata, con la prevista autocertificazione, dall’interessato non determina ex se il riconoscimento della ruralità, a tal fine essendo necessaria l’annotazione in atti della sussistenza dei requisiti di ruralità qual prevista dal citato D.M. 26 luglio 2012, art. 1, comma 2 (cfr. Cass., 10 febbraio 2021, n. 3226; Cass., 19 dicembre 2018, n. 32787; Cass., 9 novembre 2017, n. 26617; v., altresì, Corte Cost., 18 giugno 2015, n. 115);

4. – a fronte del dato obiettivo che, per come deduce la ricorrente, espone il classamento di tre unità immobiliari in categoria D/10 e, quanto ai residui immobili in contestazione, l’attivazione della ricordata procedura di variazione catastale, con conseguente annotazione apposta agli atti quanto alla loro ruralità, – classamenti, questi, che non hanno formato oggetto di impugnazione da parte dell’Ente locale, inconcludente rimane, pertanto, la ratio decidendi della gravata sentenza che, nel rilevare la cessazione dell’attività agricola, non ha dato conto delle obiettive emergenze catastali degli immobili né ha operato una qualche distinzione tra fabbricati rurali a destinazione abitativa, – in quanto tali esclusi dalle citate disposizioni in tema di IMU (v. sub 3.1 che precede), – ovvero di natura strumentale (ai sensi del citato D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis);

– la gravata sentenza va, pertanto, cassata con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra esposti.

PQM

La Corte:

-accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo;

– cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio tenuta da remoto, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472