Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23402 del 24/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14743-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RETE RINNOVABILE SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA SCROFA 57, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE RUSSO CORVACE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO EMMA e LAURA TRIMARCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6472/2017 della COMM.TRIB.REG.LAZIO, depositata il 13/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/05/2021 dal Consigliere Dott. DE MASI ORONZO.

RILEVATO

CHE:

Con sentenza n. 6472/17, depositata il 13/11/2017, la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate e confermava la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso proposto Rete Rinnovabile s.r.l. contro l’avviso con cui l’Ufficio aveva liquidato imposte di registro, ipotecaria e catastale, in relazione all’atto stipulato tra la società e Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a., titolato dalle contraenti come contratto di affitto, relativo ad un terreno destinato alla costruzione ed esercizio di un impianto fotovoltaico, e riqualificato dall’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come contratto di costituzione di diritto di superficie.

Secondo la CTR del Lazio “La sentenza impugnata è in linea con le numerose sentenze della CTP di Roma che non hanno ritenuto giustificata la riqualificazione operata dall’Agenzia delle Entrate. Oltre alla mancata motivazione va sottolineato la coerenza delle clausole contrattuali prescelte dalle parti col contratto di affitto laddove lo scostamento dai canoni tipici configurano una mera estrinsecazione dell’autonomia negoziale e non un mutamento del fine perseguito dalle parti (…) Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso (…) La Commissione respinge l’appello dell’Agenzia delle Entrate e tenuto conto dell’obiettiva controvertibilità della questione, compensa le spese di giudizio.”.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso la società contribuente.

E’ stata depositata memoria difensiva.

CONSIDERATO

CHE:

L’Agenzia delle entrate denuncia con un primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, e art. 132 c.p.c., stante la mera apparenza della motivazione che non consente di ricostruire l’iter logico e giuridico che ha condotto al rigetto del gravame erariale.

Deduce, altresì, che con l’atto di appello aveva censurato la sentenza del giudice di prime cure perché non conteneva alcuna pronuncia sugli effetti preclusivi della mancata presentazione, da parte della contribuente, dell’istanza di rimborso entro il previsto termine triennale dall’eseguito pagamento delle imposte Denuncia, ancora, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 52, avendo lamentato con l’appello che la insufficienza della motivazione dell’avviso di liquidazione, che ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, in quanto inidonea a consentire alla contribuente la difesa in merito alla operata riqualificazione del contratto tassato oltre i testuali confini del nomee iuris attributo dai contraenti, avuto riguardo alla prevista acquisizione gratuita dell’impianto fotovoltaico, al termine del rapporto, a favore del proprietario del terreno, alla dedotta non decisività della corresponsione di canoni di locazione ed incompatibilità con il contratto di affitto della previsione negoziale concernente gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinari dei pannelli fotovoltaici, posti ad esclusivo carico della società Rete Rinnovabile, onde non è dato comprendere perché non sia stato ritenuto soddisfatto l’obbligo di motivazione.

Denuncia, infine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nonché degli artt. 952,953,1571,1576,1587,1590 e 1615 c.c., per non avere la CTR considerato le consistenti anomalie riscontrate dall’Ufficio rispetto alla causa tipica del contratto titolato come affitto/locazione di terreno destinato alla realizzazione ed esercizio, da parte della società contribuente, di un impianto fotovoltaico.

Il primo motivo è infondato.

Si tratta nella fattispecie di motivazione per relationem alla pronuncia di primo grado che, per giurisprudenza costante di questa Corte, è ammissibile, purché il rinvio sia operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo dell’iter argomentativo seguito, essendo necessario che si dia conto delle argomentazioni delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio (tra le molte, Cass. n. 6332/2016; n. 7347/2012; n. 11138/2011).

Il giudice d’appello, seppure in forma succinta, specifica le ragioni della propria condivisione della pronuncia di primo grado, basata su “solide e comprovate affermazioni”, riportando nella parte espositiva le contrapposte ragioni recate dalle parti in ordine alla riqualificazione del contratto di affitto che l’Ufficio ha operato valorizzando il contenuto di alcune pattuizioni, “incompatibili con la locazione”, come appunto le spese straordinarie a carico del conduttore e l’acquisizione dell’impianto al proprietario del fondo gratuitamente a fine contratto.

Le censure proposte dall’Agenzia delle entrate avverso la prima decisione sono state superate in maniera consapevole e ragionata, non sulla base del recepimento meccanico ed acritico della motivazione richiamata, avendo la sentenza della CTR del Lazio rilevato la “coerenza delle clausole contrattuali prescelte dalle parti con il contratto di affitto laddove lo scostamento dai canoni tipici configurano una mera estrinsecazione dell’autonomia negoziale e non un mutamento del fine perseguito dalle parti”.

La CTR richiama la giurisprudenza di merito formatasi in materia e rileva, “oltre alla mancata motivazione” dell’avviso impugnato, che il contratto intercorso tra Terna – Rete Elettrica Nazionale S.p.A. e Rete Rinnovabile s.r.l., interpretato secondo la comune intenzione delle partì, e per quanto emerge dal suo insieme e dalle singole clausole contrattuali, presenta il contenuto e gli effetti propri di un contratto di affitto, sia pure di natura atipica, costitutivo di un diritto personale di godimento, e non quello di un contratto traslativo di un diritto reale (art. 953 c.c.), come invece sostenuto dall’Amministrazione finanziaria.

Sotto l’esaminato profilo censorio, appare evidente la ratio decidendi della sentenza di appello, atteso che la CTR ritiene non determinanti, ai fini della diversa qualificazione del contratto tassato, le peculiari previsioni contenute nelle clausole contrattuali, “laddove lo scostamento dai canoni tipici configurano una mera estrinsecazione dell’autonomia negoziale e non un mutamento del fine perseguito dalle parti”.

Anche le restanti cesure vanno disattese.

Giova osservare che l’impugnata sentenza, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione (insufficienza della motivazione dell’avviso), esamina ed accoglie anche una seconda ragione (piena compatibilità delle pattuizioni negoziali con la natura personale del diritto attribuito all’affittuario/conduttore), al fine di sostenere la decisione anche nei caso in cui la prima possa risultare erronea, per cui è stata opportunamente censurata dall’Agenzia delle entrate rispetto ad entrambe le rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, al fine di evitare la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione.

A seguito della presentazione dell’atto per la registrazione, l’Ufficio provvede al suo inquadramento in una delle categorie individuate dalla Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, e suddivise in relazione agli effetti che sono in grado di produrre o del rispettivo nomen iuris, prevedendo nel contempo aliquote d’imposta differenziate, diversi potendo essere anche i criteri di determinazione dell’imponibile, e la norma che regola tale attività è il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20.

Va subito precisato che le questioni di incostituzionalità sollevate da questa Corte in merito al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e risolte dalla Corte Costituzionale con due recenti pronunce (sentenze n. 158/2020 e n. 39/2021) non incidono direttamente sulla fattispecie in esame, per la quale non è in contestazione il collegamento con altri atti o l’utilizzo di elementi extra testuali per l’opera di qualificazione negoziale (oggetto dei giudizi di costituzionalità), ma essenzialmente l’indagine sulla corretta interpretazione dell’atto negoziale tassato.

Ciò non di meno, appare utile ricostruire il novellato quadro normativo di riferimento, così come si è andato chiarendo per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale, avuto riguardo alla individuazione dell’esatta portata e dei limiti dei poteri dell’Amministrazione finanziaria in tema di qualificazione dell’atto tassato non conforme al nomen iuris, onde applicare la tariffa più rispondente al contenuto dell’atto ed alla volontà delle parti.

Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 dispone che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Il testo attuale della disposizione è frutto delle modifiche introdotte dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1) e 2) (di “interpretazione autentica” della L. n. 145 del 2018, ex art. 1, comma 1084), che recano l’espressa previsione della irrilevanza degli elementi extra testuali e del collegamento negoziale: il legislatore ha voluto imporre una interpretazione isolata dell’atto da sottoporre a registrazione, fondata unicamente sugli elementi da esso desumibili, ribadendo così la natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro, la quale colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto.

Il Legislatore nel riaffermare, con la denunciata norma, la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, ha precisato l’oggetto dell’imposizione, in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione.

E come già affermato da questa Corte, “La detta condotta elusiva non potrà comunque ravvisarsi nella mera scelta di un’operazione fiscalmente più vantaggiosa, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà, a condizione che non si traduca in uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio ma esclusivamente o essenzialmente il beneficio fiscale.” (Cass. n. 11023/2021).

Tanto premesso, la ricorrente Agenzia delle entrate contesta la correttezza dell’interpretazione del contratto che ha portato il giudice di secondo grado a qualificare l’atto, come recante un contratto di affitto di terreni per la costruzione di un parco fotovoltaico, o piuttosto – ma senza rilievo ai fini fiscali qui considerati – come “tipo anomalo di locazione”, in cui il locatario concede il godimento di un terreno, con facoltà di farvi delle costruzioni di cui quest’ultimo godrà per un tempo determinato. Evidenzia, in particolare, la sottovalutazione di alcune anomalie rispetto alla causa tipica del contratto di locazione/affitto, segnatamente, individuate nella concessione dello ius aedificandi sul terreno affittato, negli oneri di manutenzione straordinaria posti a carico dell’affittuario, nell’acquisto della proprietà degli impianti fotovoltaici da parte del proprietario del terreno al termine del rapporto contrattuale.

Orbene, il giudice di merito, cui spetta la qualificazione dei negozi giuridici, ha analizzato le ragioni dell’accertamento dell’Ufficio, relativamente alla operata qualificazione dell’atto tassato, escludendo nella fattispecie la decisività di tali pattuizioni, le quali non snaturano l’essenza obbligatoria del contratto e congruamente motivando circa la non univocità degli elementi addotti dall’Agenzia delle entrate per un’interpretazione dell’atto diversa da quella voluta dalle parti contraenti.

La censura formulata in ricorso sotto il profilo della violazione di norme di legge (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nonché artt. 952,953,1571,1576,1587,1590 e 1615 c.c.) si infrange su un impianto motivazionale della sentenza impugnata la cui tenuta non è messa in discussione e non è censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per vizio di motivazione.

Va, in proposito, osservato che costituisce principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e s.s., e sulla (in) coerenza e (il) logicità della motivazione addotta (così, tra le tante, Cass. n. 2074/2002).

In altri termini, l’indagine ermeneutica e’, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in seae di legittimità solo per difetto della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati (Cass. n. 2465/2015).

La CTR del Lazio ha ritenuto pienamente compatibile la fattispecie contrattuale tassata con il “tipo” dell’affitto, ma anche con la figura della locazione atipica, che ne condivide la natura obbligatoria, perché la prevista manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto fotovoltaico a carico dell’affittuario, il quale ne mantiene la proprietà per tutta la durata (pluriennale) del rapporto, ed anticipatamente risolvibile, così come la pattuita corresponsione di un corrispettivo periodico, non stravolgono la funzione causale dello schema negoziale prescelto, neppure rilevando, in senso contrario, l’attribuzione del diritto (personale) di edificare e di mantenere un impianto fotovoltaico sull’area in questione.

Ne consegue che in luogo della mera riproduzione, nel ricorso per cassazione, degli stessi argomenti svolti nei gradi di merito con i quali aveva inteso sostenere la correttezza dell’interpretazione erariale del contenuto e dell’atto presentato alla registrazione, in ragione degli effetti giuridici oggettivamente prodotti, l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto attaccare la decisione in modo diverso e più specifico, stante l’onere di indicare i canoni ermeneutici violati (artt. 1362 c.c. e s.s.), profilo in concreto neppure dedotto, essendo insufficiente il mero richiamo al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, e, per altro verso, dovendo i rilievi formulati nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla integrale trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina invocata (Cass. n. 22889/2006; n. 25728/2013; n. 28319/2017).

Ad ogni buon conto, va ribadito che “Ai fini della ricostruzione dell’accordo negoziale, l’attività dei giudice del merito si articola in due fasi; la prima diretta ad interpretare la volontà delle parti, ossia ad individuare gli effetti da esse avuti di mira, che consiste in un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo della motivazione, la seconda volta a qualificare il negozio mediante l’attribuzione di un “nomen iuris”, riconducendo quell’accordo negoziale ad un tipo legale o assumendo che sia atipico, fase sindacabile in cassazione per violazione di legge, e segnatamente dei criteri ermeneutici indicati dagli artt. 1362 c.c. e s.s. ” (Cass. n. 3590/2021).

Ciò, viceversa, è mancato essendosi la ricorrente limitata ad obiettare che, sul piano civilistico dell’autonomia privata (art. 1322 c.c.), il contratto soggetto a registrazione ben può essere qualificato come “contratto (atipico) di locazione”, e che viceversa, sul piano tributario, l’atto non può non essere qualificato, in applicazione del citato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 “come contratto concessivo di un diritto di superficie ed, in base a tale qualificazione, scontare l’imposta di registro” (aliquota 15 % al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 1, comma III, tariffa allagata), ipotecaria (aliquota 2% al D.P.R. n. 347 del 1990, art. 1, tariffa allegata) e quella catastale (aliquota 1% D.P.R. n. 347 del 1990, art. 10).

Sempre a parere della ricorrente Agenzia delle entrate, in sede di qualificazione negoziale a fini impositivi “i concetti privatistici relativi all’autonomia negoziale regrediscono di fronte alle esigenze antielusive a semplici elementi della fattispecie tributaria”.

L’argomentazione della difesa erariale non appare concludente.

Proprio in relazione al principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, corollario anch’esso del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost., questa Corte ha più volte affermato che le regole civilistiche di interpretazione del contratto ex art. 1362 c.c. e s.s., incentrate sulla ricerca della comune intenzione delle parti, non risultano, di per sé sole, dirimenti in ambito fiscale, come fatto palese proprio dalla formulazione del più volte menzionato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, dal quale si ricava la preminenza degli oggettivi effetti che la regolamentazione negoziale produce, a prescindere dalla volontà delle parti di produrli ovvero dal loro accordo per produrre un determinato risultato fiscale (Cass. n. 7637/2018; n. 2007/2018; n. 19752/2013; n. 10660/2003, n. 14900/2001).

Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità cui l’Agenzia delle entrate si appella è quella che ha evidenziato come l’atto soggetto a registrazione non si identifica con il documento bensì con l’assetto negoziale sottostante, sulla base di una lettura della norma per così dire “evolutiva” della norma che oggi si deve confrontare con l’intervento chiarificatore del Legislatore e con le ricordate pronunce del Giudice dalle leggi.

Ed allora, l’interpretazione dell’atto prevista dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non può basarsi sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali, nonché dagli elementi comunque desumibili dall’atto presentato alla registrazione, e neppure può confondere gli effetti giuridici con quelli economici dell’operazione negoziale, essendo la finalità antileusiva, pure evocata dalla ricorrente, profilo affatto estraneo alla disposizione in esame.

L’azione accertatrice, ove intenda perseguire siffatta finalità, deve essere attuata mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto – a pena di nullità – da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente può fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all’interno di uno specifico procedimento di garanzia.

Un’ulteriore annotazione si impone riguardo al profilo antielusivo di cui sopra, peraltro appena abbozzato nel ricorso dell’Agenzia delle entrate, e cioè che esso non può neppure identificarsi sic et simpliciter con il risparmio fiscale.

E sotto tale profilo, non risulta adeguatamente confutata l’affermazione del giudice di appello secondo cui, anche se un impianto fotovoltaico può essere considerato alla stregua di una costruzione, si deve ritenere che il programma negoziale con il quale il proprietario di un terreno intenda concedere ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo una tale costruzione, con il diritto per il cessionario di mantenerne la proprietà, la disponibilità ed il godimento e di trasferirlo (anziché rimuoverlo) alla fine del rapporto in favore del proprietario, può essere perseguito non necessariamente attraverso un contratto ad effetti reali e, precisamente, attraverso un contratto costitutivo del diritto (reale) di superficie.

E neppure risulta confutata la differenza, dal punto di vista sostanziale e contenutistico, tra diritto reale d’uso e diritto personale di godimento, costituita dall’ampiezza ed illimitatezza del primo, rispetto alla multiforme possibilità di atteggiarsi del secondo che, in ragione del suo carattere obbligatorio, può essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto.

L’opzione ermeneutica della CTR del Lazio trova conforto nell’affermazione ulteriore, che si legge nella impugnata sentenza, circa il fatto che “la concessione (da parte di Terna quale concessionario delle attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica nel territorio nazionale e gestore e proprietario della rete elettrica nazionale) di un diritto di superficie a Rete Rinnovabile avrebbe determinato un vincolo o una restrizione sul terreno, un asset al momento improduttivo, incompatibile con il pubblico interesse al quale esso è destinato”.

Ne’, d’altro canto, v’e’ ragione per negare alle parti la possibilità di scegliere, nell’esercizio dell’autonomia privata riconosciuta dall’art. 1322 c.c., se perseguire risultati socioeconomici analoghi, anche se non identici, mediante contratti ad effetti reali o mediante contratti ad effetti obbligatori, fattispecie negoziali giuridicamente distinte, anche facendo ricorso a figure contrattuali atipiche, per interessi meritevoli di tutela (cfr. Cass. S.U. n. 8434/2020 e giurisprudenza di legittimità ivi richiamata).

Infine, qualunque forma di abuso del diritto ed elusione fiscale, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, è estranea al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e, come già detto, la relativa contestazione, da parte dell’Ufficio, non può essere ricondotta alla ermeneutica dell’atto da registrare.

Discende dall’infondatezza del terzo motivo di ricorso, l’inutilità dell’esame del secondo motivo, il quale attinge l’altra autonoma ratio decidendi della sentenza di secondo grado, atteso che il suo accoglimento, in ogni caso, non gioverebbe alla ricorrente.

Sussistono giustificate ragioni, avuto riguardo all’assenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, per disporre la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso. Dichiara compensate tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021

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