LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1818-2016 proposto da:
D.C.S., rappresentato e difeso dall’avvocato PIER MICHELE QUARTA, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
D.L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CARRACCI n. 1, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DI SIMONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO CILIEGI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1076/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 23/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/03/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
viste le conclusioni del P.G., nella persona del Sostituto Dott. CAPASSO Lucio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 5.10.2011 D.C.S. evocava in giudizio D.L.S. innanzi il Tribunale di Chieti per sentir dichiarare l’esistenza del diritto di servitù di passaggio pedonale, a favore del fondo di proprietà dell’attore, su una porzione di quello della convenuta, nonché per la condanna di quest’ultima ad astenersi dal compiere qualsiasi atto idoneo a limitare detto diritto, ivi incluso il parcheggio delle proprie vetture lungo la striscia di terreno asservita. Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda ed allegando che il parcheggio non impediva comunque il passaggio pedonale oggetto del diritto di servitù.
Con sentenza dell’11.10.2014 il Tribunale accoglieva la domanda, limitatamente al solo accertamento del diritto reale, condannando la convenuta alle spese del grado.
Interponeva appello la D.L. e si costituiva in seconde cure il D.C., spiegando appello incidentale relativamente alla domanda di condanna dell’appellante a non occupare la striscia di terreno asservita, non accolta in prime cure.
Con la sentenza impugnata, n. 1076/2015, la Corte di Appello di L’Aquila accoglieva in parte l’appello principale, rigettando quello incidentale, ed accertava il diritto della D.L. ad occupare in parte la striscia del proprio terreno adibita a diritto di passaggio, sul presupposto che, alla luce dell’ampiezza della predetta porzione, il parcheggio delle vetture non impedisse, di per sé, il libero esercizio della servitù di passaggio pedonale già accertata dal Tribunale.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D.C.S., affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso D.L.S..
La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.
Il P.G., nella persona del Sostituto Dott. Lucio Capasso, ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza e del procedimento di secondo grado, per violazione dell’art. 101 c.p.c. e art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché la Corte di Appello avrebbe deciso la causa all’udienza del 23.9.2015, ai sensi di quanto previsto dall’art. 281-sexies c.p.c., senza la partecipazione della parte appellata, odierna ricorrente, e senza che il decreto di differimento dell’udienza fosse stato a quest’ultima comunicato dall’ufficio.
La censura è infondata. Dall’esame del fascicolo, consentito al collegio in presenza di una censura di carattere processuale, emerge che l’atto di citazione in appello indicava l’udienza di comparizione del 23.7.2015, la quale era stata differita d’ufficio al 23.9.2015 ai sensi di quanto previsto dall’art. 168 bis c.p.c., comma 4, applicabile anche al giudizio di appello in virtù del rinvio di cui all’art. 359 c.p.c. Era pertanto onere dell’appellante, nell’esercizio del suo dovere di diligenza, verificare la data di fissazione della prima udienza effettiva di trattazione dell’impugnazione.
Sul punto, va ribadita la differenza esistente tra il differimento della prima udienza disposto ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4 e quello disposto ai sensi del successivo comma 5 della predetta disposizione. Nel primo caso il differimento è conseguenza automatica del fatto che, nella data indicata in atto di citazione, il giudice designato per la trattazione della causa non tenga udienza, di talché la causa viene appunto differita, appunto, alla prima udienza utile. Nel secondo caso, invece, il rinvio dipende dall’esercizio di un potere ordinatorio espressamente riconosciuto al giudice designato, il quale può, appunto, differire la prima udienza di trattazione sino ad un massimo di 45 giorni. Solo nel secondo caso la norma prevede che la data della nuova udienza sia comunicata alle parti a cura della cancelleria, mentre nessun onere di avviso è previsto nel diverso, e non assimilabile, caso di rinvio ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4. La differente previsione normativa è pienamente giustificata dal fatto che, mentre nel caso di rinvio ai sensi del comma 5, il giudice designato esercita un potere ordinatorio, il cui esercizio va dunque comunicato alle parti, nel caso di rinvio ai sensi del comma 4 il differimento è conseguenza automatica dell’organizzazione tabellare delle udienze, onde le parti sono onerate di verificare, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, quale sia la prima effettiva udienza di comparizione della causa che le vede coinvolte.
Proprio in base alla differenza esistente tra le due ipotesi di differimento, del resto, questa Corte ha recentemente ribadito (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8638 del 07/05/2020, Rv. 657693; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17032 del 23/06/2008, Rv. 604025; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20667 del 05/10/2010, Rv. 614845; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1127 del 22/01/2015, Rv. 633990) che l’appello incidentale -analogamente a quanto previsto per la domanda riconvenzionale in prime cure- va proposto, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, da depositare almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, ovvero differita d’ufficio dal giudice giusta l’art. 168-bis c.p.c., comma 5, (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 3081 del 06/02/2017, Rv. 642747). Quando invece il differimento dell’udienza di comparizione sia disposto ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4, perché nel giorno fissato con l’atto di citazione il giudice non tenga udienza, il differimento del termine non si applica (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28571 del 20/12/2013, Rv. 629294), essendo la norma di cui all’art. 168 bis c.p.c., comma 5 disposizione di natura eccezionale non suscettibile di applicazione analogica. Di conseguenza, l’appello incidentale proposto nei venti giorni antecedenti all’udienza di comparizione rinviata ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4, è inammissibile perché tardivo (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9351 del 11/06/2003, Rv. 564137; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20319 del 20/10/2005, Rv. 584202) mentre è tempestivo l’appello incidentale proposto nei venti giorni antecedenti all’udienza di comparizione rinviata ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 5, proprio in ragione della natura eccezionale di tale specifica disposizione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8897 del 27/04/2005, Rv. 581888).
Da quanto precede discende che la parte appellata non aveva alcun diritto di ricevere l’avviso del differimento dell’udienza, ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., comma 4 dal 23.7.2015 al 23.9.2015. Ne’, peraltro, il ricorrente lamenta alcuna concreta lesione al suo diritto di difesa, considerato che egli risulta essersi tempestivamente costituito in seconde cure, nei venti giorni antecedenti il 23.7.2015, svolgendo anche impugnazione incidentale.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1063 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente rilevato una discrepanza tra quanto previsto dai rispettivi atti di acquisto, del D.C. (del 15.7.1968) e della D.L. (del 20.9.2007), in relazione all’estensione del diritto di servitù gravante sul fondo della seconda.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il giudice di seconde cure avrebbe erroneamente applicato il criterio ermeneutico suppletivo dell’equo contemperamento tra le esigenze dei due fondi, servente e dominante, laddove avrebbe invece dovuto limitarsi alla mera applicazione del criterio letterale, risultando il diritto reale chiaramente descritto dal titolo.
Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili. La Corte di Appello ha ravvisato una difformità tra i rispettivi atti di acquisti, del D.C. e della D.L.. In particolare, la Corte territoriale ha affermato che “… dalla formula che si trova nel contratto del 1968, con cui il D.C. ha acquistato l’immobile e la relativa servitù di passaggio, non emerge con chiarezza assoluta la conformazione e la larghezza dell’estensione della stessa, in quanto se, da un lato, si fa riferimento ad una servitù pedonale di passaggio, dall’altro lato si precisa che la larghezza della stessa è di metri 3,40; che vi è una contraddizione tra la nozione di servitù di passaggio pedonale ed una larghezza di così grandi dimensioni” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Ed inoltre, che “… però, deve tenersi conto anche di quanto riportato nel contratto con cui D.L. ha acquistato il proprio bene dagli aventi causa dei venditori dell’attore, che ha un contenuto diverso perché non fa più riferimento alla larghezza di metri 3,40 ma alla striscia di terreno di metri 3,40 (“Il presente trasferimento comprende ogni accessione… precisandosi che l’immobile in oggetto è gravato da servitù di passaggio pedonale (da esercitarsi su una striscia di metri tre e centimetri quaranta) costituita con atto… in data 15 luglio 1968…”)” (cfr. ancora pag. 5). Secondo la Corte distrettuale, “… nel contrasto tra le due locuzioni presenti nei due differenti contratti relativi alla medesima servitù, e nell’antitesi tra la costituzione di una servitù di passaggio pedonale ed una pretesa larghezza di metri 3,40, oltre che nella dimensione del terreno che è di metri 3,30 di larghezza e non di metri 3,40 (circostanza pacifica tra le parti), devono utilizzarsi i criteri residuali di interpretazione costituiti dalla soddisfazione del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente, ai sensi degli artt. 1064 c.c. (“Il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne”) e 1065 c.c.”(cfr. pag. 6 della sentenza).
La Corte abruzzese ha fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte in tema di interpretazione del contenuto del diritto di servitù, secondo cui “In tema di servitù prediali, l’art. 1063 c.c. stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, ponendo a fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi art. 1064 e 1065 rivestono carattere meramente sussidiario. Tali precetti, pertanto, possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego di adeguati criteri ermeneutici; ove, invece, il contenuto e le modalità di esercizio risultino puntualmente e inequivocabilmente determinati dal titolo, a questo soltanto deve farsi riferimento, senza possibilità di ricorrere al criterio del soddisfacimento del bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8853 del 10/05/2004, Rv. 572765; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7639 del 30/03/2009, Rv. 607663). L’accertamento relativo all’esistenza delle suddette lacune o imprecisioni nel titolo costitutivo del diritto reale che sia stato compiuto dal giudice di merito, se correttamente motivato, è sottratto al sindacato di legittimità della Corte di Cassazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3286 del 03/04/1999, Rv. 524946; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2524 del 21/02/2001, Rv. 544024).
Peraltro, come correttamente rilevato anche dal P.G. nelle sue conclusioni, la soluzione adottata in concreto dalla Corte distrettuale costituisce certamente una coerente applicazione del criterio di cui all’art. 1065 c.c., posto che “… ove si consideri la larghezza del locus servitutus (anche nella sua effettiva dimensione di mt. 3,30) e la larghezza di veicoli lasciati in sosta (non prospettata, peraltro, quale sosta per tempi indeterminati) anche di quelli per il trasporto merci, regolamentata dal codice della strada, a meno che non si deduca che la sosta sia avvenuta in modo del tutto incongruo (ad esempio disponendo il veicolo in maniera trasversale rispetto all’asse della striscia, occludendone, in tal modo, l’intera larghezza), deve convenirsi che il “parcheggio” di veicoli sul lato del locus servitutis, sempre che non valga ad impedire o rendere estremamente difficoltosi il transito pedonale, rientri nelle facoltà residuali di utilizzo del sito (non inibite dal titolo contrattuale) in capo al titolare del fondo servente”(cfr. pag. 5 delle conclusioni del P.G.).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, regolate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 30 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021
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